domenica 2 giugno 2019

The Deuce (1a stagione)

Recensione pubblicata su Pietro Saba World il 25/01/2018 Qui - Ricordando a tratti la sfortunata Vynil (cancellata dopo una eccezionale prima stagione), The Deuce (che al contrario ha già avuto conferma di una seconda stagione), la serie televisiva statunitense creata da David Simon (famoso autore televisivo americano, artefice della serie cult The Wire e della bella miniserie Show me a hero) e George Pelecanos per HBO, ci conduce in un mondo perennemente vivo e rumoroso (un inebriante e denso spaccato della vita nei sobborghi di New York negli anni Settanta, un universo parallelo, una terra di confine in cui confluisce la più varia umanità, di ogni etnia, orientamento sessuale e vissuto), dove la prostituzione dilagava a macchia d'olio, tanto che insieme ad essa si diffondeva un nuovo tipo d'intrattenimento erotico (rimasto nell'anonimato di qualche cinema ma diventato ben presto mainstream), ovvero il cinema pornografico. Ed è su questo che gli ideatori volevano puntare e parlare, ma personalmente non l'hanno fatto in modo del tutto efficace, perché anche se era chiaro che in realtà il porno sarebbe stato solo una delle diverse linee narrative, e non il fulcro della serie (quello che spetta al sesso di tutti i tipi, e comunque non tutti interessanti da vedere), non convince la scelta di non raccontare, come invece ci si aspettava (dal trailer e trama), la storia della realizzazione del primo film a luci rosse Gola Profonda. La serie infatti, descrive solo il contesto (e l'epoca) tramite personaggi che non c'entrano (almeno al momento) niente. Cosicché non solo la narrazione, seppur corale, manca di un protagonista assoluto, ma anche la trama, che non approfondisce a sufficienza, lascia un po' stupiti. Certo, la ricostruzione della città, la musica e le atmosfere (con le macchine americane quadrate, i vestiti dei papponi che sembrano usciti da una parodia, negozi per affittare i VHS), dialoghi, i costumi, il crudo e realistico ritratto di un'epoca fatta di contraddizioni ed estremismi, è verosimile e ben rappresentato (anche grazie alla discreta sigla e la colonna sonora ricchissima, a base di soul e qualche pezzo rock), ma se visivamente lo spettatore è catapultato nella disinvolta oscenità sbattuta sullo schermo da inquadrature che non risparmiano carne e degrado (a volte anche gratuitamente e senza senso), la sceneggiatura, che intreccia diversi punti di vista e si sposta tra ambienti apparentemente distaccati ma segretamente connessi come bar e bordelli, cantieri e tribunali, politica e cinema, ha qualche lacuna.
Alcune storyline difatti sono troppo affrettate e alcuni personaggi ci vengono presentati in modo ambiguo, fatti sembrare prima molto importanti e interessanti, quando invece sono marginali. L'esempio è Abigail "Abby" Parker (la bellissima Margarita Levieva), che nelle prime puntate ha una linea narrativa tutta sua, ma che poi dopo un incontro diventa secondario. Ovviamente mettere in secondo piano un personaggio non significa, com'è ovvio, che nella stagione successiva non possa avere un ruolo più centrale, e visto il carattere della ragazza, non sarebbe nemmeno così strano, ma al momento è insoddisfacente. Secondo me infatti (anche se tutta la prima stagione è di preparazione a quello che verrà) si sarebbe dovuto insistere sull'importanza della rivoluzione e sul connubio tra la nuova Hollywood e il cinema a luci rosse, e non trattare sempre l'argomento prostituzione con papponi e prostitute. Tuttavia al di là della trama, a esser importanti sono i personaggi (così come nella maggior parte delle serie HBO), che offrono sempre molte riflessioni. La serie infatti compie un ottimo lavoro nella scrittura dei personaggi, interpretati benissimo grazie ad attori di un certo calibro. In questo ampio affresco difatti risaltano naturalmente le vicende di James Franco, nel doppio ruolo dei gemelli italo-americani Vincent e Frank (entrambi caratterizzati bene da Franco che, gigione e divertito a puntino non ha problemi con la sua versatilità), un abile gestore in ascesa il primo, uno scapestrato che vive di espedienti il secondo, e di Maggie Gyllenhal (spregiudicata e incendiaria come non fu neppure in Secretary), strepitosa negli scomodi panni di Eileen-Candy, una prostituta imprenditrice di se stessa che si imbarca (trasformandosi da semplice attrice a co-regista) nell'industria del porno. A tal proposito sarà probabilmente Candy a segnare (spero) la vera svolta della serie, quella che tratterà dell'industrializzazione massiccia della pornografia. Parlando sempre di attori, bravi sono tutti a nascondere la malinconia, dato che Gary Carr che interpreta CC (un pappone veramente odioso), la stessa Gyllenhaal o (la bella e sensuale) Emily Meade, Lori nella serie, una prostituta giovane e ambiziosa, nasconde una gran tristezza. Ma nonostante ciò, e nonostante gli aspetti tecnici e visivi di livello, e come detto, qualcosa non m'ha convinto, chissà se la seconda sarà migliore, ma al momento rimango un po' freddo. Giacché The Deuce, anche conservando delle qualità pregevoli che spesso, prodotti televisivi più conosciuti, hanno dimenticato, e anche se con una messa in scena di buon livello descrive benissimo il contesto, essa non approfondisce alcune situazioni, lasciando per strada qualcosa e non convincendo fino in fondo. Tuttavia la visione è consigliabile, anche se è meglio non guardarla con i vostri genitori, altrimenti passerete tutta la visione in imbarazzo per la quantità di scene di sesso. Voto: 6,5

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