martedì 4 giugno 2019

American Crime Story: L'assassinio di Gianni Versace (2a stagione)

Recensione pubblicata su Pietro Saba World il 03/05/2018 Qui - L'avrei dovuto probabilmente prevedere o anche sapere che non ci fosse nessun collegamento tra la vittima e il carnefice (al massimo solo nella mente del secondo), che in verità non ci sarebbe stato un "processo" e che di storia da raccontare, quella vera, c'era in verità poca roba (anche perché la serie è "solo" tratta dal libro Vulgar Favors scritto nel 1999 dalla giornalista Maureen Orth e dalle poche informazioni della polizia), ma quando il fatto accadde ero mentalmente troppo piccolo (avevo dodici anni) per capire più in profondità e negli ultimi mesi non ho voluto conoscere, seppur abbastanza ho letto, qualcosa in più. Perché se l'avessi saputo, che The Assassination of Gianni Versace avrebbe raccontato la storia dell'assassino (di cui in verità oggi frega niente a nessuno) e non di quella del morto, molto probabilmente non l'avrei nemmeno vista. Perché lo dico fin da subito che American Crime Story: The Assassination of Gianni Versace è stata una delusione. Ammetto che sinceramente mi aspettavo un prodotto incentrato sulla figura di Versace e invece proprio perché la narrazione dopo il delitto si è spostata da un'altra parte, nel passato dell'omicida, avvicinandosi ad un dramma psicologico, sono rimasto leggermente scottato. Scottato anche nel constatare che il richiamo mediatico (di stampa e di marketing promozionale), anche perché è la prima volta che una intera serie americana è dedicata a uno dei casi mediatici più famosi della storia italiana, tanto che non stupisce che l'attesa per la serie (andata in onda dal 19 gennaio su FoxCrime), e secondo capitolo dell'antologia di Ryan Murphy "American Crime Story", era alta, fu ed è stato fuorviante. Nonostante il titolo infatti, The Assassination of Gianni Versace non dichiara subito l'intenzione di mostrare il punto di vista dell'assassino e di ricostruire perciò la sua storia (quell'Andrew Cunanan che si è suicidato 8 giorni dopo, senza mai spiegare le sue motivazioni). In tal senso quindi sarebbe stato più onesto chiamarla "L'Assassino di Gianni Versace".
Anche perché a differenza del tam tam pubblicitario che ne ha anticipato l'uscita, lo show mette la famiglia Versace in secondo piano: la seconda stagione infatti è incentrata quasi interamente sulla figura di Andrew Cunanan (Darren Criss), un serial killer che, il 15 luglio 1997, assassinò Gianni Versace (Édgar Ramírez). Non a caso nel corso dei nove episodi di The Assassination of Gianni Versace ci viene mostrata la folle storia di un uomo mediocre dal fascino irresistibile. Cunanan appunto, che per mantenere il suo alto tenore di vita, fa il gigolò d'alto bordo. Tuttavia la sua psicopatia e i suoi disturbi della personalità lo porteranno a compiere diversi delitti, oltre all'omicidio Versace (sono ancora misteriose le motivazioni che hanno portato l'assassino ad uccidere lo stilista). Perché The Assassination of Gianni Versace è in realtà l'assassinio di altre quattro persone oltre allo stilista, quelli che Cunanan aveva fatto fuori prima, raccontati in lunghe puntate in cui succede ben poco, in cui il piccolo omicida fa i conti con l'abbandono e l'identità, la realtà e la proiezione, le modeste origini filippine e il plastificato sogno americano. Insomma tutto abbastanza caotico, dopotutto la serie che procede per flashback (e non proprio tanto efficaci, perché va avanti e indietro in modo discontinuo) alternando al presente sul caso Versace, la storia di Cunanan, che soffriva il rifiuto della società per i gay e di come a un certo punto della sua vita è diventato un serial killer, soffre di una sceneggiatura deficitaria. Certo, la serie non poteva mica avere lo stesso background del precedente capitolo (soprattutto se si conosce il finale), anche perché a differenza della prima stagione (dedicata al caso O. J. Simpson) per sceneggiarla non ci sono stati atti di un processo a cui fare riferimento (non è un documentario, non è informazione), ma si fa fatica a distinguere la realtà dalla finzione, proprio perché si è semplicemente scelto di sposare una delle tante tesi che provano a spiegare le ragioni e i retroscena della morte del celebre stilista.
Non per caso la famiglia Versace ha preso le distanze (due volte!) dalla produzione, considerando il tutto come un'opera di finzione, giacché Murphy ha scelto di mettere in scena quella sponsorizzata dalla giornalista Maureen Orth, senza però avere notizie certe. Certo, invero negli ultimi vent'anni varie teorie complottiste hanno cercato la verità verosimile, ma mai certa, non per caso ancor oggi resta un mistero, dato che nessuno ha potuto chiederne le ragioni all'omicida, ma sfruttare l'occasione per parlare e sviscerare temi più "attuali" mi è sembrato eccessivamente ingannevole. E pensare che dopo una convincente première, la seconda stagione di American Crime Story, sembrava non solo procedere sugli stessi binari dell'acclamato The People vs O.J. Simpson, ma lasciava intravedere un grandissimo potenziale. C'erano infatti tutti i presupposti (e tutti gli ingredienti, una storia affascinante, un cast carismatico e una produzione di altissimo livello) per replicare lo straordinario successo dello scorso anno. Nel corso degli episodi però cominciava chiaramente a delinearsi un quadro in cui Gianni (interpretato comunque da un fantastico Édgar Ramírez) e Donatella Versace (una sempre splendida Penélope Cruz) si trasformavano in vere e proprie comparse di lusso per lasciare spazio al grande protagonista di American Crime Story: The Assassination of Gianni Versace, il controverso killer Andrew Cunanan. E questo purtroppo ha minato (soggettivamente s'intende) le tante certezze e le alte aspettative. Tuttavia se si parte con la consapevolezza che è pur sempre fiction, qualcosa di buono c'è e lo si è trovato. Anche perché seppur da prendere, appunto, come finzione, la sequenza d'apertura, dedicata a quella mattina del 15 luglio 1997 in cui Versace fu ucciso a colpi di pistola da Andrew Cunanan davanti alla sua famosa casa di Miami Beach, fa venire i brividi, la sua è infatti un'immagine senza tempo, quella dello stilista morto sulla scalinata di villa Casuarina (villa che ora è stata convertita in un hotel di lusso).
Ma non si dimentica altresì un buon gusto musicale, seppur fastidiosamente "convertito" a costumi strettamente omosessuali, un arco narrativo in ogni caso accattivante (soprattutto stilisticamente) e interessante, dove il pathos non manca (angosciante quanto basta) e un eccellente cast (almeno in larga parte). Perché sì, buona è la prova di Édgar Ramírez, che il trucco ha reso un perfetto Gianni Versace, intensa è Penelope Cruz nei panni di Donatella, incredibilmente convincente è la prova di Darren Criss che, con Murphy, lavora dai tempi di Glee, ma qui (nel ruolo del killer, gay represso e bugiardo patologico) è sicuramente alla sua prova più difficile (e superata), mentre deludente resta la prova di Ricky Martin, che al suo primo ruolo di spessore, appare troppo teatrale e vago nel dar vita ad Antonio D'Amico (il compagno di una vita). Ma come detto, non tutto funziona egregiamente ed efficacemente, siamo infatti ormai abituati alla rappresentazione in TV di antieroi affascinanti tuttavia capaci di compiere terribili delitti, però, mentre dietro questi personaggi (molti che si sono affacciati nel mondo serial ce ne sono tanti), c'è un grandissimo lavoro di sceneggiatura in grado di mettere in difficoltà lo spettatore, sottolineando esemplarmente il loro lato oscuro, nella seconda stagione dello show FX invece questo elemento non è evidenziato in maniera soddisfacente, soprattutto nelle due puntate finali, poiché dopo averci presentato un personaggio odioso, totalmente privo di empatia e di umanità, ecco che lo sceneggiatore compie l'errore di "giustificare" le sue azioni. Mostrare nel finale il difficile percorso di crescita di Cunanan (che indubbiamente ha alimentato la sua natura omicida, anche per colpa di un padre ambiguamente bugiardo e più imbroglione del figlio) per renderlo agli occhi del pubblico più umano è stata una mossa estremamente poco felice (e ambigua) da parte sua. Tanto che per questo, questa seconda stagione risulti essere una grande occasione sprecata.
Perché anche mettendo in conto che il "cambio" di scena era giustificato, lo show non riesce nemmeno lontanamente a ripetere l'exploit della prima stagione. Certo, bisogna mettere in conto che la differenza tra due stagioni è evidente, è totalmente diversa, perché la prima raccontava con precisione da cronaca il processo a O.J. Simpson, questa niente di tutto ciò. Ma non era tutto, perché oltre a ricostruire fedelmente il processo e il caso mediatico, The People v. O.J. Simpson (che ha ottenuto un grande successo di critica, pubblico e vinto 9 Emmy e due Golden Globe, inclusi quelli alla miglior miniserie dell'anno) era stato un espediente per raccontare il razzismo, la distorsioni delle notizie da parte dei tabloid, il ruolo delle donne (grazie alla storia dell'avvocato dell'accusa Marcia Clark). The Assassination of Gianni Versace, invece, è concentrata sull'omofobia degli anni Novanta, un tema molto caro a Murphy. Che forse, proprio per questo, si lascia scappare la mano, dedicandovi un po' troppo spazio. Ed ancora proprio per questo, che seppur la scelta di focalizzarsi solo su Andrew Cunanan (la sua parabola criminale e il ritratto ambiguo di un personaggio borderline) è stata coraggiosa da un certo punto di vista, egli in questa occasione, è stato disonesto nei confronti dei fan. Tutta la campagna pubblicitaria della seconda stagione di American Crime Story infatti è stata costruita attorno alla famiglia Versace. Prendere appunto Édgar Ramírez e Penélope Cruz per attirare il pubblico e poi relegare i due attori al ruolo di comprimari, lasciando a Darren Criss (che ce la mette tutta e che si distingue per bravura, pur non riuscendo ad essere al loro livello in quanto talento e carisma) un'intera stagione sulle spalle, è un atteggiamento ingannevole e irrispettoso per chi guarda lo show. Che poi strano a dirsi ma le parti più interessanti (anche se tutto è finzione, non dimentichiamolo), sono incredibilmente quelle, dedicati alla vita e i retroscena della famiglia Versace.
Le altre parti invece (e in verità) abbastanza banali, non originali e alquanto fini a se stessi. In tal senso lo sceneggiatore di tutti gli episodi, non gestisce il ritmo narrativo in modo ottimale e inserisce strumentalmente un tema delicato come i diritti civili della comunità LGBT (a tal proposito sconvolgente l'inettitudine della polizia) ma senza aggiungere nulla di concreto alla trama, perché non basta un buon finale, in cui emerge prepotentemente il parallelismo tra Versace e Cunanan, per risollevare le sorti di un prodotto che ha perso una grande occasione: quella di far chiarezza su una vicenda non ancora del tutto limpida. Che American Crime Story stia seguendo la parabola discendente di American Horror Story? Come visto nella deludente ultima stagione American Horror Story: Cult? Certo, potrebbero essere solo congetture, un paragone forse fuori luogo, anche perché lo scenario in casa Fox è cambiato dopo l'acquisizione della Disney, spingendo Ryan Murphy a lasciare il network. Ma per fortuna (si spera) l'accordo firmato dallo sceneggiatore/regista con Netflix non mette a rischio, in linea di principio, le creature televisive di FX del comunque sempre bravissimo e geniale showrunner americano ma è pur vero che il loro futuro diventa sempre più incerto: recentemente Murphy ha annunciato che la quarta stagione di American Crime Story non tratterà il caso Clinton/Lewinsky (e io personalmente spero proprio sia così, perché sinceramente mi frega poco), mettendo in discussione lo show stesso (anche se è già stato confermato il terzo capitolo, dedicato alla tragedia dell'uragano Katrina, che in linea di massima potrebbe piacermi di più). La serie antologica in passato è stata capace di raccontare perfettamente l'America basandosi su un celebre fatto di cronaca: il mio augurio è che American Crime Story possa ritornare quindi ad una narrazione che metta al primo posto la Storia, non solo i suoi aspetti glamour. Intanto però giudizio negativo alla personalmente (forse anche oggettivamente) seconda stagione. Voto: 5

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