Recensione pubblicata su Pietro Saba World il 23/04/2021 Qui - Serie di eccellente qualità caratterizzata da una tensione narrativa puntualmente ben bilanciata, in grado, cioè, di restare costante non solo durante i 50 minuti di ciascun episodio, ma (soprattutto) lungo tutta la stagione (niente tempi morti, mai noiosa, totalmente coinvolgente, molti i temi affrontati, anche molto politici, ma comunque appassionanti). Quello di Pablo Escobar è (ahimè) un personaggio (qui in particolar modo) magnetico (capace pure di attrarre tante produzioni hollywoodiane soprattutto ultimamente), non solo per merito della sceneggiatura e dell'eccellente interpretazione di Wagner Moura. Ambivalente, contraddittorio per natura (un personaggio mai del tutto intellegibile nelle sue scelte e nei suoi comportamenti), non può non affascinare. L'ascesa internazionale del più grande narcotrafficante della storia (e la storia vera sulla diffusione della cocaina), anni '80/inizio anni '90, viene infatti raccontata magnificamente da José Padilha (ideatore e regista della serie), anche se con spunti in certi casi troppo "cinematografici", disegnando un personaggio oscuro, discutibile, offrendone intriganti sfaccettature (difficile appiccicargli l'etichetta di "cattivo" della storia, l'unico antagonista di questa serie è il destino). La serie si snoda tuttavia seguendo un doppio punto di vista: anche quello degli agenti della DEA Javier Peña (il poi futuro "Mandaloriano" Pedro Pascal) e Steve Murphy (Boyd Holbrook) impegnati nella loro battaglia contro i narcotrafficanti (ad aiutarli il colonnello Horacio Carrillo, uno dei pochi esponenti incorruttibili delle forze armate colombiane). Quest'ultimo "gringo", specie nei primi episodi espresso attraverso un voice over invasivo, fortunatamente poi moderato con lo svilupparsi della stagione. Entrando nel merito, la ricostruzione d'epoca risulta molto convincente sia per costumi sia per ambientazione. Il montaggio però non conferisce una chiarezza cristallina, talvolta si ha la sensazione di aver perso un passaggio e infatti capita che l'avanzamento cronologico avvenga con ritmi troppo variabili. La regia è asciutta e concreta, a tratti documentaristica (specie quando inserisce filmati di repertorio), ma anche di grande qualità. Interessante invece l'impossibilità di avere un doppiaggio sullo spagnolo che ti colloca forzosamente e a tutti gli effetti nella schiera dei "forestieri", le recitazioni sono impeccabili e molto credibili, dai personaggi secondari fino (appunto) al protagonista, e va dato merito per una cercata somiglianza degli interpreti, a tal punto che talvolta ti dimentichi che stai guardando un prodotto di intrattenimento. Bella la colonna sonora (a partire dalla calzante sigla), con brani sudamericani (a me) sconosciuti che spaziano tra i generi più disparati. Tra i vari dettagli della serie tv che mi hanno colpito particolarmente, c'è la rappresentazione della donna nella società colombiana, incarnata da alcuni precisi (forse, eccessivi, non saprei) archetipi e rappresentata pressoché esclusivamente come oggetto sessuale, probabilmente in una maniera troppo insistita. L'atteggiamento di queste figure femminili non viene rappresentato come semplice connivenza e mi domando dove (e se) si fermi la realtà e dove inizi l'esagerazione televisiva. La (presumibile) fotografia di un paese surreale come nessun altro (dove il realismo magico è nato), che pone più di un interrogativo morale. Voto: 8
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