martedì 28 gennaio 2020

City on a Hill (1a stagione)

Recensione pubblicata su Pietro Saba World il 09/01/2020 Qui
Tema e genere: Serie televisiva statunitense di genere drammatico che, creata da Charlie McLean, basata su un'idea originale di Ben Affleck (firmata Showtime), racconta e segue il cosiddetto Boston Miracle, il fenomeno che iniziò a debellare la violenza dalla città di Boston e che ne rappresentò realmente la sua rinascita, dopo un periodo cupo.
Trama: Un assistente procuratore distrettuale forma un'insolita alleanza con un veterano dell'FBI corrotto. Insieme i due si mettono sulle tracce di una banda criminale facendo nascere un caso per coinvolgere ad alto livello il sistema giudiziario di Boston.
Recensione: Bisogna partire con dei presupposti importanti prima di cominciare la recensione di questa serie americana fino al midollo, una serie classica che, mettendosi al punto di incontro tra drama, thriller e noir, che fondendo bene i generi crime e procedural, quasi al livello ma senza raggiungere quell'intensità drammatica che contraddistinse il bel Show Me A Hero (che è poi il mondo di riferimento) di David Simon (che era di produzione HBO), riesce comunque a farsi valere. Nella serie infatti, trasmessa in Italia su Sky Atlantic, si parla tanto e soprattutto si discute di cose di cui noi italiani sappiamo poco o nulla, di quartieri sconosciuti (di Boston) e di rinascite (culturali o meno) di poco significato, un argomento insomma forse interessante per gli americani, ma non per il resto del mondo. Tuttavia limiti culturali a parte, comunque importanti ai fini di tutto, City on a Hill, che inizia (bene da una parte male dall'altra per il discorso di prima) senza introduzioni (solo qualche piccolo riferimento per spiegare il contesto), ha dalla sua una qualità di produzione (ovviamente tutta americana) di tutto rispetto. Tra i produttori nomi di spicco, da Ben Affleck (che aveva già ambientato nel quartiere di Charlestown il suo The Town) a Matt Damon (nato nei pressi di Boston), quest'ultimi principali artefici nel coinvolgimento di importanti personalità di Hollywood come James Mangold, Barry Levinson e Michael Cuesta (regista del primo episodio). In tal senso è quindi strano che abbiano deciso di affidare la regia "principale" allo sconosciuto Chuck MacLean il quale, bisogna ammetterlo, rielaborando un'idea concepita assieme allo stesso Affleck, si è sorprendentemente dimostrato molto abile a svolgere il compito assegnatogli, mostrandoci una Boston corrotta fino al midollo, in cui la differenza tra buoni e cattivi appare spesso molto sottile, e dove chi cerca di portare dei miglioramenti alla città viene subito isolato o peggio, deriso. Lo sceneggiatore americano sceglie di non puntare i riflettori solo su pochi protagonisti, ma di dedicare ampio spazio anche a parecchi personaggi secondari. E così inevitabilmente, anche i criminali e le loro famiglie diventano parte integrante della vicenda. Proprio per questo, per lo spettatore risulta ancora più difficile distinguere tra cosa è bene e cosa è male: per quanto Jonathan Tucker (che interpreta il capobanda Frankie Ryan) si riveli meno espressivo di un blocco di marmo (molto meglio Amanda Clayton nei panni di sua moglie), la difficoltà del suo personaggio a far quadrare i conti di casa, che lo costringe a organizzare di continuo nuove rapine, non porta il pubblico a vederlo necessariamente come il cattivo di turno.
Nello stesso modo, anche l'idealista Decourcy Ward (un efficace Aldis Hodge) spesso è costretto a scendere a compromessi, pur di mettere fine al diffuso malaffare delle istituzioni, e sebbene questo sia indiscutibilmente un nobile obiettivo, a volte si ha l'impressione che esso sia solo il mezzo che egli ha deciso di utilizzare per fare carriera politica. Persino il cinico agente del FBI Jackie Rohr (un grande Kevin Bacon, autentico mattatore della serie), nonostante non mostri il minimo rispetto nei confronti della moglie, non si faccia scrupoli a sacrificare i suoi informatori o a sfruttare il lavoro dei colleghi, e a commettere tutta una serie di altre nefandezze, quando ci viene mostrato nella sua quotidianità, e in particolare nel rapporto con sua figlia, diventa un normale essere umano. Questa coralità così articolata e variegata, costruita con personaggi ben caratterizzati, costituisce il risultato migliore di MacLean e, indiscutibilmente, la vera attrattiva della serie (oltre ad un comparto tecnico, sonoro e qualitativo notevole). Anche i lunghi dialoghi tra i personaggi, sarebbero da annoverare tra le qualità dello show, ma sebbene i gustosi duetti tra l'agente Rohr e il procuratore Ward siano sempre tra i momenti più attesi di ogni episodio, essi sono difficilmente associabili a due personaggi di quel tipo, e a volte, sembrano niente di più che uno sfoggio di bravura un po' narcisistico da parte dello sceneggiatore (un'impressione accentuata anche dalla scelta di utilizzare titoli troppo ricercati per i vari episodi e superflui riassunti all'inizio degli stessi). D'altra parte, proprio l'eccessiva circoscrizione degli eventi alle vite dei protagonisti, rende vano il tentativo di rievocazione di quegli anni così travagliati per la città (la delinquenza giovanile si intravede appena, così come le misure per contrastarla). MacLean, infatti, è evidentemente più interessato a mostrarci come le scelte delle persone siano generate da marcate differenze sociali o, semplicemente, da visioni del mondo discordanti, finendo, però, per sacrificare la realtà storica a favore di sotto-trame, onestamente, poco interessanti, come quella che vede coinvolto un pastore protestante accusato di molestie sessuali. Forse lo sceneggiatore americano, ansioso di dimostrare le sue qualità, ha usato la serie più come una vetrina per sé stesso, che per arrivare all'obiettivo (ascrivibile alla trama) con cui era stata concepita. Vedremo, comunque, come andranno i nuovi episodi (la serie è stata infatti rinnovata per un'altra stagione), anche se l'epilogo di questa prima stagione non sembra preannunciare un repentino cambio di direzione. In ogni caso da non sottovalutare la serie (e questa prima stagione) nel complesso. Sa intrattenere, sa coinvolgere e sa il fatto suo.
Giudizio in sintesi: Esordio non fulminante ma comunque apprezzabile per una serie televisiva non innovativa, ma abile a sviluppare un contesto, una storia potente, in modo sufficientemente efficace.
Consigliato: Sì, soprattutto agli amanti del genere, se questi però non cercano il classico thrillerone.
Voto: 6,5

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