mercoledì 28 agosto 2019

Manifest (1a stagione)

Recensione pubblicata su Pietro Saba World il 28/08/2019 Qui
Tema e genere: Prima stagione della serie tv fantascientifica prodotta da NBC in collaborazione con Robert Zemeckis.
Trama: Nel 2013 il volo 828 della Montego Air decolla dalla Jamaica, si imbatte in una turbolenza, e atterra a New York. Solo che per loro sono passate ore, ma nella realtà sono passati cinque anni e si ritrovano nel 2018. E tutto ciò che conoscevano è cambiato.
Recensione: Le serie tv in grado di rapire dopo un semplice pilot (come questo qui presente) si contano, ormai, sulle dita di una mano. Se vi sfidassi a citarmi cinque serie tv di cui eravate assolutamente certi, senza alcun dubbio, dopo soli 40 minuti? Difficile rispondere, non è così? Ebbene, contro ogni aspettativa (che, lo ammetto, pensavo mi avrebbe condotto all'ennesima trashata americana) il pilot di Manifest ha fatto molto più che sorprendermi. Mi ha rapito, totalmente. Oltre a consigli di blogger amici (che sono, almeno per me, l'ultima linea difensiva nella scelta tra le serie tv del catalogo sempre più vasto di novità) a spingermi tra le braccia di questo ibrido di Lost e Fringe (che è andato in onda in chiaro in televisione nei mesi scorsi) è stato Robert Zemeckis (che qui è produttore della serie), a cui sono legato cinematograficamente parlando. A proposito di LostManifest (creata da Jeff Rake, con le mani in pasta in molte serie più o meno recenti) è palesemente una figlia di Lost, appartenente a quella specie di sottogenere fatto di mistero, cast corale, drammoni filtrati dal soprannaturale/fantascientifico e, se possibile, un bell'aereo (non per caso da tutti è stata definita l'erede di quella serie che all'epoca, dolente o non dolente, fece storia). Il richiamo più evidente di Manifest alla vecchia serie sui naufraghi sta proprio qui: i protagonisti sono tutti su un aereo, un volo 828 (invece di 815) che anche in questo caso scompare dai radar. Attenzione però, perché qui non precipita nessuno, e non ci sono isole. L'aereo arriva sano e salvo e destinazione, con appena un po' di turbolenza verso metà volo. E allora dove sta il problema? Semplice, sono passati cinque anni dal momento della partenza. Ecco qui il concept semplicione e "acchiappaspettatori": un gruppo di persone che viaggia nel futuro senza neanche saperlo, e che si ricongiunge con un mondo di parenti, amici e colleghi che aveva perso ogni speranza. E da qui, come da manuale, partono tante storie continuamente intersecanti, che mescolano il drama puro (ragazze che ritrovano gli ormai ex fidanzati finite con le migliori amiche, ragazzini che trovano le sorelle gemelle invecchiate di cinque anni, padri alle prese con figli cresciuti e traumatizzati) con il mystery altrettanto puro, venato della giusta dose di complottismo (che diavolo è successo all'aereo e ai suoi passeggeri?), e come se non bastasse alcuni di loro cominciano a sperimentare strani fenomeni, capendo ben presto che potrebbero essere coinvolti in qualcosa più grande di quanto abbiano mai creduto possibile. A guidarci in questa assurda e spaventosa situazione è una famiglia newyorchese composta da Josh Dallas, il principe azzurro in C'era una volta, che interpreta un'analista e padre di famiglia che cerca in tutti i modi di trovare una cura per il figlio affetto da una rara forma di cancro. Melissa Roxburgh (Star Trek: Beyond) invece interpreta sua sorella e poliziotta alle prese con una vita completamente stravolta. Ed infine la dottoressa Saanvi (Parveen KaurThe Strain) che, prima di imbarcarsi sul misterioso volo, aveva trovato una cura proprio per la tipologia di cancro di cui soffre il piccolo Cal (ma tanti altri personaggi si affacceranno puntata dopo puntata). Ed è così che Manifest ci intrattiene pedissequamente, perché dopo appunto un pilot davvero accattivante, l'azione non si fa aspettare troppo e desta da subito la giusta curiosità nello spettatore interessato a scoprire cosa è successo sul quel volo che ha "sospeso nel tempo" i suoi passeggeri. Il ritmo incalzante dal canto suo prosegue per le puntate successive. La storia madre procede (bene) tra strani eventi, inspiegabili morti, omicidi sospetti e misteriose sparizioni, e si evolve man mano senza mai lasciare le redini. In ogni puntata viene inserita una pezzetto in più dell'enorme ed intricato puzzle che ha come soggetto i passeggeri del volo 828 e strane organizzazioni segrete (e su questo punto sempre interessante è capire ogni volta qualcosa in più di tutto). Lo stesso però non si può dire della vita privata dei protagonisti che rimane sempre sulla stessa oscillante barca di rabbia, affetti e rimpianti, che poi affoga in sentimentalismi spiccioli.

C'era una volta (7a stagione)

Recensione pubblicata su Pietro Saba World il 28/08/2019 Qui
Tema e genere: Settima ed ultima stagione della serie fantasy che rilegge i classici Disney e storie della letteratura fantasy.
Trama: La nuova stagione inizia con l'adulto Henry che apre la porta di casa e trova una bambina che afferma essere sua figlia.... vi ricorda qualcosa? Ovviamente Henry segue la bambina e si scoprirà affascinato da una bellissima Cenerentola... Già, stesso incipit e stessi collaudati meccanismi. Cambia l'ambientazione, non siamo più a StoryBrooke (ma a Seattle), però troveremo nuovamente molti dei nostri amati (o odiati) personaggi a ricoprire nuove cariche e lottare contro il cattivo di turno.
Recensione: Le favole sono leggende diffuse in tutto il mondo e ogni era, popolo o cultura le reinterpreta a modo suo. In un'antichissima versione greco/egiziana, Cenerentola era addirittura una prostituta. Il multiverso delle favole è affascinante: devono averlo pensato anche Edward Kitsis e Adam Horowitz, i creatori di C'era una volta, quando si sono ritrovati a dover proseguire una storia che sembrava essersi conclusa in modo minimamente soddisfacente col finale della sesta stagione. Un season finale che aveva il sapore di un series finale e che metteva un punto a una lunga saga generazionale che, tra alti e bassi, aveva saputo coinvolgere i spettatori grazie a incroci di favole sempre più improbabili, flashback in stile Lost e colpi di scena degni delle migliori soap opera. L'annuncio di una settima stagione, ambientata dopo un time skip di dieci anni, aveva lasciato tutti molto perplessi (come accennato in occasione della recensione della sesta, qui). C'era una volta aveva cominciato a esaurire i colpi in canna, tant'è che nelle ultime stagioni avevano preso vita, oltre ai miti greci, persino le storie di Jules Verne e Robert Louis Stevenson. Inoltre, alcuni tra i principali protagonisti della serie (e in particolare le attrici Jennifer Morrison/Emma Swan e Ginnifer Goodwin/Biancaneve) avevano deciso di abbandonare la nave, lasciando a Lana Parrilla/Regina, Colin O'Donoghue/Capitan Uncino e Robert Carlyle/Tremotino il compito di trainare la settima stagione insieme a una new entry: Andrey J. West, cioè il nuovo Henry trentenne. Era l'inizio della fine. Purtroppo la scelta di un soft reboot (che rivisita un po' tutto e paradossalmente vedrà l'apparizione degli attori che avevano deciso di uscire) si è rivelata quasi fallimentare, perché è praticamente la stessa storia, ancora ed ancora. La settima stagione inizia infatti come la prima, solo che questa volta è una bambina a bussare alla porta di un Henry Mills adulto: si chiama Lucy e sostiene di essere sua figlia. Henry, dal canto suo, dice di aver perso sua moglie e sua figlia in un incendio e di essere semplicemente uno scrittore divenuto famoso col libro che racconta le avventure narrate nelle stagioni precedenti. Ci risiamo: qualcuno ha lanciato un'altra maledizione che ha modificato i ricordi di alcuni personaggi, fabbricando per loro una vita alternativa nel quartiere di Hyperion Heights, a Seattle. Lucy è l'unica che ricorda come stanno le cose e che sa che Henry, in realtà, ha sposato sua madre, una versione alternativa di Cenerentola (ha le fattezze dell'attrice dominicana Dania Ramirez) che avrebbe incontrato dopo aver lasciato Storybrooke per viaggiare tra i reami. Il proseguo è prevedibile, la conclusione anche. È inutile quindi dire che l'abusatissimo twist della maledizione ha fatto il suo tempo: quasi ogni stagione di C'era una volta è ruotata intorno a un incantesimo che ha dislocato i personaggi o ha causato diverse forme di amnesia. A questo punto la maledizione è diventata un appuntamento annuale anche un po' ridicolo, soprattutto perché sappiamo che i nostri eroi troveranno sempre un modo per scioglierla. C'è da dire che quest'anno gli autori hanno effettivamente provato a rimescolare un po' le carte, inforcando una strada più cupa, ma la solita struttura (a flashback) non ha aiutato, e poi un intreccio via via più complicato a ogni puntata lo ha affossato. Un intreccio confusionario che ha inoltre sofferto anche a causa del carisma sottotono di alcuni personaggi chiave. Tra questi per assurdo anche i due principali Henry/Cenerentola, i due personaggi sono semplicemente poco interessanti nel mondo delle favole e hanno zero alchimia in quello reale, la loro immancabile love story non resa al meglio. E così che la settima assomigli troppo a quello che abbiamo già visto e rivisto nelle stagioni precedenti. E quindi non ci si stupisce se si è deciso di chiudere. Si perché, C'era una volta si unisce purtroppo a quelle serie televisive che finiscono con l'essere prolungate insensatamente, culminando in epiloghi affrettati e superficiali. Peccato, perché se gli autori avessero avuto il coraggio di tentare qualcosa di diverso forse le cose sarebbero andate diversamente.

DuckTales (1a stagione)

Recensione pubblicata su Pietro Saba World il 28/08/2019 Qui
Tema e genere: Con una grafica completamente nuova, torna una delle serie Disney più amate degli anni '90, DuckTales riparte da zero, con una nuova storyline ma con i protagonisti di sempre, svecchiati e resi attuali dalle sapienti mani dei disegnatori (quasi tutti italiani).
Trama: Con giusto una spruzzata di trama orizzontale, a farla da padrone sono soprattutto storie auto-conclusive, dove il divertimento non manca mai.
Recensione: Per le persone cui la spensierata infanzia è coincisa con il periodo a cavallo tra gli anni '80 e '90, DuckTales è sinonimo di pomeriggi indimenticabili all'insegna di genuino intrattenimento, risate a non finire, avventure fantastiche e, adesso, tenera nostalgia. Perché in fondo la serie Disney era magia pura: quelle storie confinate per anni nella carta di incalcolabili numeri di Topolino prendevano vita, anche portando in dote personaggi e racconti nuovi di zecca, quelle voci fino a quel momento soltanto immaginate trovavano una impensabile realizzazione sullo schermo. Era un sogno poter seguire il grande Paperon de' Paperoni nelle sue mirabolanti ed esotiche imprese, accompagnato dai fidi nipoti, sempre pronti a lanciarsi all'insperata ricerca di un nuovo tesoro mentre la Banda Bassotti, Amelia o il rivale Cuordipietra Famedoro tentavano inutilmente di contrastarlo. E dopo tanto (troppo) tempo si è deciso di dare nuovamente fiducia a Paperino e soci, e un vero e proprio reboot di DuckTales è arrivato per dimostrare al mondo che quel modo di intrattenere, semplice e adatto a tutti, non è sparito o diventato all'improvviso fuori moda. La vita a Paperopoli è ancora un gran sballo. Tornare nella città dei paperi più famosi al mondo dà esattamente le stesse sensazioni di quei pomeriggi all'insegna della tranquillità: ogni cosa è al suo posto, Paperino rimane inevitabilmente il solito irascibile imbranato, Paperon de' Paperoni è ancora lo scorbutico miliardario tirchio e Qui, Quo e Qua hanno sempre una voglia insaziabile di avventure, seppur ciascuno per ragioni diverse. Anche la marea di (amatissimi) personaggi di supporto fa il suo ritorno: da Jet McQuack, con il suo irrefrenabile desiderio di schiantarsi contro qualunque cosa con qualunque mezzo di trasporto, alla dolce ma preparatissima e combattiva Gaia, non manca nessuno all'appello. Com'era prevedibile, il concept è rimasto piuttosto tradizionale, visto che le ventidue (anzi 23 da 20 minuti ciascuna) puntate che compongono la prima stagione sono storie auto-conclusive con giusto una spruzzata di trama orizzontale. Ne basta una manciata per rendersi conto della straordinaria varietà e freschezza delle situazioni proposte, dall'umorismo diversificato che i personaggi portano in scena, della semplicità giocosa che fuoriesce da ogni scena in un'esplosione di fantasia e creatività senza limiti. Da laboratori enigmatici in fondo al mare a covi di pirati nei cieli, invenzioni bizzarre e mondi mistici, DuckTales è davvero una continua gioia sorprendente, mai banale, mai fiacca, grazie anche a un comparto artistico squisito (non si fanno attendere alcune rielaborazioni di personaggi secondari, molto ben riuscite). Il character design inizialmente lasciava dubbiosi, ma dopo poco tempo il dubbio si è completamente dissipato: l'animazione scorre sempre in modo estremamente piacevole, espressiva e perfettamente contestualizzata nell'andamento della trama. Una trama che si fa più adulta con addirittura morti e lacrime, ciascuno dei nemici di Paperone rappresenta un pericolo proporzionato al suo essere, così la Banda Bassotti diventa quello che è sempre stata semplicemente una banda di ladri mentre Magica De Spell (Amelia) si trasforma nella vera minaccia, un restlyng che colpisce, con un crescendo fino al paperoso finale di stagione (un finale sorprendente, uno dei misteri più grandi della storia dei paperi sta per essere risolto, tramite una di quelle storie che mai nessun autore in 80 anni ha mai avuto il coraggio, o la licenza, di parlare). In particolare il personaggio della fattucchiera, legato a quella di Lena, che convince riguardo la crescita emotiva della serie. Una serie che a più di 30 anni dall'esordio della serie originale, appare non solo rinnovata, ma anche al passo con i tempi, compie il salto generazionale di cui aveva bisogno e propone un'avventura molto più attuale, più avvincente e anche più fantasy.

domenica 11 agosto 2019

Billions (4a stagione)

Recensione pubblicata su Pietro Saba World il 07/08/2019 Qui
Tema e genere: Quarta stagione della serie sul mondo della finanza di produzione Showtime con protagonisti Damian Lewis e Paul Giamatti.
Trama: La storia riprende precisamente da dove si era interrotta, ovvero il momento più buio dei due protagonisti: Chuck è stato sconfitto dal suo rivale, il procuratore generale Jock Jeffcoat (un biblico Clancy Brown), e ha perso il suo lavoro e importanza politica, mentre Bobby è costretto ad affrontare il tradimento di Taylor (Asia Kate Dillon), fuggito trionfante dalla Axe Capital e nuovo CEO di un suo fondo speculativo. Nasce allora una sorta di perversa alleanza tra i vecchi rivali, pronti a darsi sostegno reciproco pur di placare la loro sete di vendetta. Da questa premessa la trama si biforca in due estesi archi narrativi, che all'occasione si intersecano, e che daranno vita ad una lotta senza esclusioni di colpi dei due per fermarli e riprendersi la propria posizione.
Recensione: Arrivato alla quarta stagione e con una quinta già assicurata, Billions non ha bisogno di presentazioni (ormai non più), se ti siedi su una poltrona, accendi Sky (metti su Sky Atlantic) e scegli di vedere Billions sai già cosa ti aspetta (l'hai già visto nelle precedenti stagioni, qui la recensione della terza). Sei pronto a una lotta esagerata a colpi di inganni, sotterfugi, corruzione, una sfida costante a dimostrare la superiorità sull'altro su un nemico da identificare di volta in volta. Un po' come la politica italiana in cui c'è sempre la gara a chi la spara più grossa, a chi attacca un nemico diverso per difendere le proprie mancanze e mantenere il potere. Cadenzata dal ritmo incessante della parola, Billions è infatti una serie ricca di movimento pur non essendo un action, ricca di suspense pur non essendo un thriller, è un drama potente e elitario, una serie non destinata a tutti a cui non interessa parlare a tutti, a cui non interessa far capire tutto e a tutti del suo mondo "complicato". Anche perché non è importante capire ogni parola finanziaria, ogni risvolto tecnico che viene elencato nella serie, tanto il senso è abbastanza chiaro: fregare (termine più gentile possibile ma si capisce quello più "giusto") il proprio nemico. Ma attenzione non ci sono nemici fissi, tutto cambia alla velocità della luce nel mondo di Billions. Una serie esagerata, piena di frasi e scene ad effetto, sopra le righe ma proprio questa sua esagerazione che la rende quasi un "fantasy finanziario" come se rappresentasse un mondo che non esiste, è proprio la sua forza. Una serie che continua a mostrarci il lato peggiore di quello che viene definito l'1%, quella parte della popolazione ricca e potente che controlla il mondo e passa il tempo giocando tra loro, sfidandosi costantemente, ignorando il restante 99% spesso più un fastidio per loro. Ma andiamo con ordine. Dopo essersi combattuti Bobby e Chuck capiscono che è arrivato il momento di unire le forze, che non sono l'uno il nemico dell'altro ma che il nemico è fuori e spesso se lo sono coltivato in casa. Taylor erano i pupilli di Bobby (il personaggio è di genere non binario quindi non ha un'identificazione di genere) ma si rivelano il suo peggior nemico, Brian era il delfino di Chuck, l'ha pugnalato in nome della giustizia ma la sete di potere sconfigge la presunzione di onestà. Li sconfiggeranno? Presumibilmente, ma non ne siamo sicuri. La quarta stagione (che è comunque il perfetto proseguimento del racconto iniziato 4 anni fa) elimina definitivamente il personaggio dell'ex moglie di Bobby (e i relativi figli) diventati inutili nell'economia globale della serie, e trova al suo personaggio una compagna più simile a lui con cui può non solo avere una relazione ma anche sfidarla negli affari. In parallelo il rapporto tra Chuck e Wendy si complica e la loro intima relazione dalle venature sadomaso avrà una svolta completamente inaspettata, evolvendosi da semplice elemento di colore a componente psicologica importante dei personaggi e soprattutto per Chuck, capiremo meglio quanto la ricerca del dolore sia fondamentale per il suo successo.

Catch-22 (Miniserie)

Recensione pubblicata su Pietro Saba World il 25/07/2019 Qui
Tema e genere: Miniserie dalla vena ironica per raccontare il crudele paradosso della guerra, qualsiasi guerra. 
Trama: Catch-22, uno dei classici satirici della letteratura americana del XX secolo, è incentrato sulle (dis)avventure del giovane capitano John Yossarian, che non vorrebbe combattere i nemici, ma è costretto a farlo. YoYo, come lo chiamano gli amici e i commilitoni, è un anti-eroe ribelle e iconico, che si sforza di mantenere il suo equilibrio mentale, lottando contro il sistema militare. Ma il suo disagio interiore valica la vita nel campo di addestramento sotto l'ambizioso Tenente Scheisskopf e poi sul fronte italiano ai comandi del Colonnello Catchcart e del Maggiore de Coverley. La battaglia di John, in realtà, non è contro i nemici, né contro l'esercito, né contro la guerra: YoYo combatte il sistema, una macchina fangosa, burocratica, paradossale e corrotta.
Recensione: Basato sull'omonimo romanzo antimilitarista di Joseph Heller (classico della letteratura americana del XX secolo e vero e proprio romanzo di formazione per intere generazioni) Catch-22 (andata in onda su Sky Atlantic) segna il ritorno sul piccolo schermo di George Clooney a vent'anni dall'uscita dal cast di E.R. L'attore, oltre che produttore e regista di due dei sei episodi che compongono la miniserie, si è infatti ritagliato per sé il ruolo di uno dei personaggi più grotteschi e, in tal senso, paradigmatici di questa duro apologo contro la guerra (questo studio sul rapporto tra l'America e i concetti di "guerra" e di "difesa della nazione", che arriva dopo l'analisi sui rinati suprematismi in Suburbicon): l'ambizioso e sadico tenente Scheisskopf, letteralmente, "testa di cazzo" in tedesco. Al centro della storia ci sono le avventure di uno squadrone di giovani aviatori dell'esercito americano di stanza in Italia (che fa benissimo da sfondo), in un mondo segnato dal secondo conflitto mondiale e dagli abusi di potere. Tra di loro c'è il Capitano John Yossarian, detto YoYo, (Christopher Abbott), un bombardiere che, per evitare la guerra, sceglie di arruolarsi in aviazione sperando che il conflitto duri meno del suo addestramento. Si trova invece, suo malgrado, nel mezzo dello scacchiere europeo, con il solo obiettivo di tornare a casa il prima possibile e il limite massimo di missioni sostenibili da un soldato prima di essere congedato, che continua ad aumentare ogni volta che YoYo pensa di essere ormai prossimo a tornare a casa. Per essere esentato dalle missioni di volo, Yossarian arriva addirittura a dichiararsi pazzo, finendo per incappare nel Comma-22, che stabilisce che chi è pazzo può chiedere di essere esonerato ma, nel momento stesso in cui lo richiede, dimostra di non essere veramente pazzo. Perché solo un pazzo potrebbe voler continuare a volare in quelle missioni. Il paradosso di questo cavillo (che non sarà l'unico dei paradossi che saranno sciorinati lungo le sei puntate volti a simboleggiare l'assurdità della guerra, qualunque essa sia, in qualunque tempo essa avvenga, qualunque popolo, nazione, stato essa coinvolga) che impedisce di fatto a chiunque di sfuggire alla follia del conflitto diventa la chiave di lettura di una storia (già paradossale di suo) che affronta la guerra soffermandosi spesso sui suoi lati più ironici e contraddittori. Ma soffermandosi anche sulle assurde idiosincrasie della guerra. La follia dilagante durante i conflitti, l'assurdità delle (non) logiche che animano gli esseri umani in condizioni precarie dove perfino la sopravvivenza è messa a repentaglio, ma soprattutto le imprevedibili reazioni di quest'ultimi a impulsi come potere, desiderio, morte: sono questi i temi portanti della miniserie, stemperati da un graffiante senso dell'umorismo surreale che tanto ricorda da vicino quello dei fratelli Coen, dei quali Clooney è stato spesso attore "feticcio". La particolarità di Catch-22 risiede soprattutto nel taglio della serie: nessun giudizio morale accompagna i personaggi, sono le loro azioni e le scelte che compiono (o che scelgono di non compiere) ad identificarli, a mostrare la loro vera natura agli occhi degli spettatori, portatori sani di una scomoda verità che possono focalizzare con critica lucidità grazie alla "distanza di sicurezza". Le risate che generano le situazioni mostrate sullo schermo possono ingannare, perché come diceva Freud: "Con una risata si può dire tutto, perfino la verità". Guardando Catch-22 non si può non pensare alla presidenza Trump, ai problemi del possedere armi negli Stati Uniti oggi, questo la rende una storia attuale e senza tempo allo stesso modo. Si riflette, ci si addolora coi personaggi, soprattutto coi sottoposti e il loro non vedere una via d'uscita dalla Guerra, che gli è stata imposta e non hanno scelto, ma senza mai smettere di sorridere (amaramente). Una chiave di lettura non nuova ma certamente fresca nel panorama generale e che deve sicuramente molto a quella sadica ironia e crudeltà di opere come Full Metal Jacket, dove temi come follia e guerra si intrecciavano inesorabilmente.