Recensione pubblicata su Pietro Saba World il 16/12/2023 Qui - Discreto "telefilm" dove la mano di James Gunn si vede sia nella regia (nelle prime puntate dove è regista) che nella sceneggiatura con personaggi ben caratterizzati e integrati nella trama. Nell'esagerazione si resta comunque nella coerenza e il tutto ben si adatta allo stile eroi/fumetti. Nonostante la sensazione di "già visto" inizi ben presto a farsi sentire, la serie si conferma piacevole e divertente, soprattutto grazie alla capacità dell'autore di far affezionare ai suoi personaggi. Il suo umorismo dissacrante, che mette alla berlina i classici action hero anni '80 e i supereroi, che riporta in azione (dopo The Suicide Squad uscito nel 2021) l'omonimo personaggio, perfettamente incarnato dal wrestler John Cena, seppur reiterato funziona ancora. C'è un po' di tutto, 8 episodi che vanno sempre in crescendo, davvero non male, ma non eccezionale (ad esser sincero non mi è piaciuta la sigla iniziale). Voto: 6,5
Visualizzazione post con etichetta TimVision. Mostra tutti i post
Visualizzazione post con etichetta TimVision. Mostra tutti i post
sabato 16 dicembre 2023
Peacemaker (1a stagione)
Labels:
Chukwudi Iwuji,
Danielle Brooks,
DC,
Freddie Stroma,
James Gunn,
Jennifer Holland,
John Cena,
Robert Patrick,
Serie supereroistica,
Serie thriller drammatica,
Steve Agee,
TimVision
venerdì 23 giugno 2023
Killing Eve (Serie Completa)
Recensione pubblicata su Pietro Saba World il 23/06/2023 Qui - Una storia intrigante ed interessante (all'apparenza perlomeno, perché invece non è esattamente così) con un finale mediocre. Killing Eve è infatti una di quelle serie con un enorme potenziale buttato via per scelte incomprensibili e scellerate. Uno spettacolo che è riuscito a toccare l'apice nella seconda stagione per poi essere teatro di una costante spirale discendente fino ad un finale disastroso e sgangherato, dove la narrazione è un pasticcio affrettato e scritto male che precipita a livelli bassi ed incomprensibili. Dopo un po' il costante "al gatto e al topo" tra le due protagoniste (forse l'unico elemento positivo la scelta delle attrici, anche se Sandra Oh proprio a genio non mi è andata) comincia a stufare, la loro relazione di amore ed odio se da una parte è riuscita ad alzare l'asticella e a ridefinire il genere thriller, assegnando alle donne un ruolo preminente, dall'altra è esattamente il contrario. Killing Eve è rimasto bloccato, sospeso nello stesso identico schema narrativo: Eve e Villanelle sono agli antipodi e sono attratte l'una dall'altra, ok. Ma poi? Ecco, il "poi" non c'è mai stato. È come se ci fosse stato un rifiuto generale nel dare un proseguo alla storia di questi due personaggi che sicuramente meritavano di più di quello che hanno avuto. Killing Eve rimane in bilico con le stesse domande per quattro stagioni di fila: dove porterà il deliberato scivolare nell'oscurità di Eve? Una psicopatica come Villanelle è capace veramente di un reale cambiamento e riuscire finalmente ad amare? Ma non finisce qui. La quarta stagione non solo pasticcia e non sviluppa i due personaggi principali, ma introduce anche diversi nuovi individui che hanno a malapena una profondità e una trama coerente, ciononostante riescono ad ottenere un finale migliore di Villanelle ed Eve. E qui mi fermo per non fare spoiler. Peccato, che Killing Eve sia caduto preda nel capitolo finale di quelle convenzioni narrative che aveva sovvertito abilmente nelle prime due stagioni, in particolare. Non me ne pento, ma mi aspettavo di più e di meglio. Voto complessivo: 5,5
Labels:
Camille Cottin,
Fiona Shaw,
Harriet Walter,
Jodie Comer,
Kim Bodnia,
Sandra Oh,
Serie comedy,
Serie drammatica,
Serie spionistica,
TimVision
venerdì 24 marzo 2023
The Handmaid's Tale (5a stagione)
Recensione pubblicata su Pietro Saba World il 24/03/2023 Qui - Ormai il distacco dal libro è completo, però la serie ha successo e si va avanti, solito ritmo, solite cose, ma sempre tutto ben fatto. The Handmaid's Tale in questa stagione, seppur con qualche piccola lentezza narrativa in più, si conferma infatti un gioiello televisivo. I nuovi episodi preparano il terreno per una stagione finale particolarmente forte, in arrivo probabilmente nell'autunno del 2024. Il nuovo ingresso di Esther (dalla scorsa stagione) è molto valido e potente nonostante il suo ruolo sia relegato a secondario. Anche tecnicamente la serie prosegue con una qualità difficile da raggiungere. La cura nello scegliere le inquadrature è eccezionale, mai scontata, così come il montaggio dona un ritmo cadenzato rendendo gli episodi scorrevoli e gustosi. La sceneggiatura attraversa ogni sensazione grazie a una messa in scena composita, passando letteralmente e in scioltezza dall'essere come il diavolo e l'acqua santa. A un certo punto accade qualcosa che mischia completamente le carte, qualcosa le cui conseguenze generano una serie di reazioni a catena dagli esiti tutt'altro che prevedibili o controllabili. L'ultima scena mette letteralmente i brividi e traghetta la serie verso un prossimo capitolo ancor più diverso dai precedenti con sviluppi del tutto imprevedibili dovuti alle mutazioni di determinate questioni e soprattutto di alcuni personaggi. Anche perché la sesta sarà l'ultima stagione e tutti nodi in un modo o nell'altro dovranno venire al pettine e chiudersi nella maniera più risolutiva e piena di liberazione possibile. Voto: 7
Labels:
Amanda Brugel,
Ann Dowd,
Bradley Whitford,
Elisabeth Moss,
Madeline Brewer,
Max Minghella,
Mckenna Grace,
O-T Fagbenle,
Romanzo,
Sam Jaeger,
Samira Wiley,
Serie fantasy drammatica,
TimVision,
Yvonne Strahovski
lunedì 21 febbraio 2022
Quiz (Miniserie)
Recensione pubblicata su Pietro Saba World il 21/02/2022 Qui - Quiz è una (mini)serie che sfrutta una storia molto potente già di suo,
due concorrenti sono riusciti a vincere 1 milione di sterline nella
versione inglese di "Chi Vuol Essere Milionario?" grazie all'aiuto di un
terzo concorrente e dei colpi di tosse. Una storia impensabile, una
storia incredibile che ha mostrato le vulnerabilità del Quiz e delle
procedure di sicurezza, ma anche l'ingegno e la frustrazione dei fan del
programma che non riuscivano a qualificarsi. Fan che si organizzavano
in gruppo per migliorare le loro strategie, e perché no, trovare un modo
per vincere una volta entrati. La storia è già scritta e la serie non
poteva di certo fallire (Stephen Frears è una garanzia), grazie anche a un lavoro di casting perfetto,
tra Michael Sheen, Matthew Macfadyen e Sian Clifford che danno vita a
dei personaggi per circa tre ore di buon intrattenimento. Avvincente e coinvolgente Quiz è da non perdere (la si trova su TimVision). Voto: 6,5
Labels:
Helen McCrory,
Mark Bonnar,
Matthew Macfadyen,
Michael Jibson,
Michael Sheen,
Miniserie,
Serie biografica,
Serie drammatica,
Sian Clifford,
Stephen Frears,
TimVision
venerdì 10 dicembre 2021
The Handmaid's Tale (4a stagione)
Recensione pubblicata su Pietro Saba World il 10/12/2021 Qui - Dopo tre stagioni di altissima qualità, la serie interpretata e prodotta
da Elisabeth Moss continua a non deludere le elevate aspettative, anche
se la stanchezza comincia a farsi sentire. E l'impressione che The
Handmaid's Tale 4 sia stata concepita come una stagione di passaggio,
complici forse anche le difficoltà di produzione dovute alla pandemia,
in vista di una season 5 confermata ma di cui non è ancora nota la data
di rilascio, non aiuta. Sarebbe stato meglio infatti se fosse già finita
qui (lo spazio di tre puntate dopotutto c'era). In ogni caso la quarta
stagione di The Handmaid's Tale mette un tassello fondamentale
nell'evoluzione di June, completa il suo percorso da antieroina,
conservando il linguaggio cadenzato, lento e, a volte, anche
pesantemente mono passo delle stagioni precedenti. E questa volta ogni
idea di redenzione o perdono lascia il campo a un desiderio di vendetta
talmente radicale da arrivare perfino dalle ancelle fin qui apparse meno
forti e decise. Con questa quarta stagione The Handmaid's Tale esplora a
fondo l'animo umano e, soprattutto, il complesso e intricato garbuglio
di emozioni che June si porta dietro in quanto sopravvissuta a Gilead,
che la gagliarda attrice de L'uomo invisibile, riesce ancora una volta a
veicolare con incredibile veridicità. Tuttavia, per quanto i contenuti
continuino a risuonare forti nello show di Bruce Miller, The Handmaid's
Tale 4 patisce più delle stagioni passate le trame strascicate e le
storyline abbandonate. Non solo il succoso piano politico aperto nella season 3
è qui completamente dimenticato, ma l'intero impianto corale sembra
ricevere una brusca battuta di arresto che penalizza alcuni dei
personaggi più interessanti. Nonostante ciò carisma e coinvolgimento non
si perde. La quarta stagione di The Handmaid's Tale finalmente fa anche
un grosso passo avanti nella trama, chiudendosi con un colpo di scena
che si aspettava da tempo e con un addio inevitabile. Nel complesso ho
davvero apprezzato anche questa stagione anche se, lo ammetto, mi
aspettavo di più. La lotta per abbattere Gilead è ben lungi dall'essere
conclusa o anche solo vicina alla sua fine. Come potranno June e le
altre ex ancelle sconfiggere Gilead? Voto: 7+
Labels:
Alexis Bledel,
Amanda Brugel,
Ann Dowd,
Bradley Whitford,
Elisabeth Moss,
Joseph Fiennes,
Madeline Brewer,
Max Minghella,
O-T Fagbenle,
Romanzo,
Samira Wiley,
Serie fantasy drammatica,
TimVision,
Yvonne Strahovski
martedì 26 novembre 2019
The Handmaid's Tale (3a stagione)
Recensione pubblicata su Pietro Saba World il 19/11/2019 Qui
Tema e genere: Terza stagione per la distopica (drammatica) serie di produzione Hulu tratta dal romanzo Il Racconto dell'Ancella di Margaret Atwood.
Tema e genere: Terza stagione per la distopica (drammatica) serie di produzione Hulu tratta dal romanzo Il Racconto dell'Ancella di Margaret Atwood.
Trama: June ha messo al sicuro sua figlia Nichole in Canada insieme all'amica Emily, ma è rimasta a Gilead per cercare di salvare anche la sua prima figlia, Hannah. La situazione a casa Waterford prevedibilmente precipita e June viene affidata a un nuovo comandante, Joseph Lawrence, lo stesso che aveva avuto in affidamento Emily. Lawrence è stato un importante ideologo del regime e tutt'ora riveste una posizione di grande potere, anche se in realtà nutre grandi sensi di colpa. La sua prima preoccupazione però non è la propria coscienza, bensì la salute della moglie, sull'orlo della follia. Nel mentre Serena Waterford inizia a tessere il proprio piano per riavvicinarsi a Nichole.
Recensione: La terza stagione di The Handmaid's Tale si riconferma come uno show di grande effetto e di grande impatto, sia sul piano contenutistico sia sul piano estetico (Gilead è ancora lì, sui piccoli schermi, e da lontano ci osserva, ci minaccia e ci inquieta). Questa stagione infatti (disponibile su TimVision), è il perfetto terzo atto di un racconto la cui evoluzione rispecchia sempre di più i nostri tempi. La prima stagione dell'acclamata serie Hulu aveva colpito per il mondo distopico che era riuscita a portare in scena: dal libro di Margaret Atwood (che a quanto pare starebbe lavorando ad un sequel letterario) alla serie tv, The Handmaid's Tale aveva scosso l'opinione pubblica, acceso dibattiti e fatto pensare che non sarebbe stato possibile essere ancora più cupi. La smentita è arrivata con la seconda stagione, sicuramente non perfetta ma non una passeggiata dal punto di vista emotivo, che è servita a porre le basi per il terzo atto rappresentato, appunto, dalla terza stagione. Se nella seconda stagione la protagonista, ormai chiamata definitivamente con il suo nome di battesimo e non da Ancella, ha affrontato una gravidanza, la rassegnazione e quindi il distacco dalla figlia appena nata, nella terza deciderà di alzare la testa (non è un caso che il suo sguardo ora sia decisamente ben differente da quello che sì è conosciuto). The Handmaid's Tale 3 è difatti la stagione della rivolta, tanto auspicata nelle prime due stagioni ma vista ancora da lontano. Ora, invece, è arrivato il momento di passare dalle parole ai fatti: la prima a pensarla così è proprio la protagonista, che sceglie di non scappare in Canada e salvarsi, ma di affidare la figlia ad Emily (Alexis Bledel) e di restare a Gilead per combattere il nemico dall'interno. Ad aiutarla, oltre ad alcune Ancelle ribelli, anche un insolito alleato, il Comandante Joseph Lawrence (Bradley Whitford), ed alcune Marte.
Labels:
Alexis Bledel,
Amanda Brugel,
Ann Dowd,
Bradley Whitford,
Elisabeth Moss,
Joseph Fiennes,
Madeline Brewer,
Max Minghella,
O-T Fagbenle,
Romanzo,
Samira Wiley,
Serie fantasy drammatica,
TimVision,
Yvonne Strahovski
venerdì 11 ottobre 2019
Vikings (5a stagione)
Recensione pubblicata su Pietro Saba World il 09/10/2019 Qui
Tema e genere: Quinta stagione per la serie televisiva canadese di genere storico creata e scritta da Michael Hirst, incentrata sulle gesta del popolo vichingo.
Tema e genere: Quinta stagione per la serie televisiva canadese di genere storico creata e scritta da Michael Hirst, incentrata sulle gesta del popolo vichingo.
Trama: Ivar, ancora pieno di rabbia per la morte del padre, dopo l'uccisione del fratello Sigurd al termine di Vikings 4, continua a sfogare la sua rabbia muovendo ancora guerra sul suolo inglese per espandere le conquiste dei Norreni (ma anche altro vorrebbe ed avrà). Floki, dopo la morte di Helga, parte per seguire la voce degli dei e si imbarca su una minuscola barca alla ricerca di una nuova vita (la troverà ma ad un prezzo). Dopo che Re Ecbert ha firmato il trattato per cedere parte delle sue terre ai Norreni, suo figlio, Re Aethelwulf, cerca di sfuggire ai pagani con l'aiuto del Vescovo Heahmund. I figli del Re Aethelwulf, Alfred e Aethelred, però non saranno in accordo col modo di agire del padre (che ben presto morirà, e complicata sarà la successione, ingombrante lo zampino della madre). Lagherta continuerà a regnare a Kattegat, ma sarà sempre più minacciata.
Recensione: La serie Vikings, al termine della quarta stagione (qui la recensione), aveva gettato le basi per un'importante svolta nella trama mostrando la morte di Ragnar Lothbrok e le prime anticipazioni su chi avrebbe assunto un ruolo da protagonista nelle puntate inedite. Il creatore dello show, Michael Hirst, ha chiuso (forse sbagliando) un importante capitolo della storia e ha dato vita a spunti narrativi inediti che, tuttavia, forse per colpa dell'assenza della sua punta di diamante, non sono riusciti a mantenere intatta l'atmosfera che aveva contraddistinto fin dal suo inizio il progetto targato History. Questa stagione infatti, segna non solo il punto più basso, ma lascia nello spettatore un senso di frustrazione notevole. Rabbia per aver lasciato che un prodotto valido, innovativo ed indipendente venisse abbandonato a sé stesso. Rabbia per una sceneggiatura quasi inesistente, se non in alcuni momenti di tensione davvero alta (che si possono contare sulle dita di una mano). Delusione per la mancanza di personaggi nuovi a cui appassionarsi, a cui interessarsi e legarsi, come era accaduto nelle stagioni precedenti. Guardando questa stagione si ha l'impressione di osservare una nave che affonda senza la possibilità di salvarla. Una stagione povera di novità e dove quei pochi personaggi che potevano sembrare interessanti scadono nella banalità, prima di essere eliminati completamente per mancanza di logica o coerenza di trama (la suddetta è infatti abbastanza confusa). Il personaggio di Jonathan Rhys Meyers, che prometteva di portare nuova linfa vitale, è stato sballottato da un lato all'altro, finendo in una rete di monotona inutilità. Si tratta tuttavia soltanto di un rappresentante di quella che è una serie lunga di esempi. Personaggi male utilizzati o poco sfruttati, in questo contesto, sono stati davvero tantissimi. Sono mancate le fondamenta che avevano reso la serie tv di Michael Hirst un punto di riferimento tra gli sceneggiati storici. Vikings era un'innovazione nel suo genere: per i dialoghi, le dinamiche e le trame. In questo caso, dato che si è già detto come i personaggi siano allo sbaraglio, non si può che sottolinearne anche la scialba parlantina. Forse si poteva definire Vikings ai suoi albori come "acerba" nei dialoghi, ma quest'ultimi non sono mai stati così brutti come in queste circostanze (e il doppiaggio non aiuta).
Labels:
Alex Høgh,
Alexander Ludwig,
Ferdia Walsh-Peelo,
Gustaf Skarsgård,
History Channel,
Jonathan Rhys-Meyers,
Katheryn Winnick,
Peter Franzén,
Serie storica drammatica,
Steven Berkoff,
TimVision,
Vikings
giovedì 20 giugno 2019
The Handmaid's Tale (2a stagione)
Recensione pubblicata su Pietro Saba World il 25/10/2018 Qui - Nel 2017 (personalmente solo pochi mesi fa, esattamente prima di questa seconda stagione) The Handmaid's Tale aveva trascinato gli spettatori nel mondo distopico immaginato da Margaret Atwood con una crudezza feroce (tale che non serviva comunque essere madri o donne per sentire il timore agghiacciante del mondo tratto dall'omonimo romanzo della scrittrice canadese, un mondo che condivideva le ansie distopiche di George Orwell con il look grigissimo de I Figli degli Uomini e soprattutto col fanatismo religioso di un romanzo di Stephen King) dalla quale non si riusciva a staccarsi per il fascino magnetico di una sceneggiatura attenta, dei temi profondi, della bravura impareggiabile di un cast dove Elisabeth Moss era la luce più calda e brillante in un cielo dove splendevano stelle altrettanto ammirevoli (qui la mia recensione). La storia di Offred e delle altre ancelle vessate dalla teocrazia di Gilead era riuscita ad attirare su di sé le luci della critica e del pubblico anche per la capacità di insinuare il ferale dubbio che la distopia immaginata dalla scrittrice canadese oltre trent'anni fa non fosse poi un incubo tanto irrealizzabile in una società moderna dove femminicidi e discriminazioni sessuali sono ancora troppo presenti. In tal senso e per davvero si ha la sensazione che Gilead sia il posto (in cui tornare non è facile) più orribile, crudele e disumano che l'immaginazione possa mai concepire, una specie di specchio distorto ed estremizzato all'ennesima potenza dell'attuale governo USA. Non a caso il Canada, vicino di casa più piccolo e più verde (e soprattutto più liberale, come vedremo spesso in questa seconda stagione) è visto come il luogo idilliaco da raggiungere. A tal proposito una delle sequenze più riuscite di questo nuovo intermezzo è proprio quella ambientata a Toronto, quando una delegazione dello stato autoritario di Gilead viene invitata per discutere una serie di accordi bilaterali fra i due governi, ebbene, fino a quel momento abbiamo passato talmente tanto tempo nei confini di questa spregevole nazione estremista da iniziare a considerarla distante anni luce dalla nostra mentalità e soprattutto dal nostro mondo...solo per scoprire che, appena spingiamo la testa fuori, è proprio del nostro mondo che si sta parlando. E' quasi destabilizzante come viene bilanciato il rapporto fra Gilead e il Canada: quella che fino ad allora avevamo considerato una fantascienza distopica viene immediatamente trapiantata nel nostro presente. In quella scena c'è tutta la forza politica di The Handmaid's Tale, perché la serie non ci sta raccontando un ipotetico domani, ci sta raccontando l'oggi. E ci rendiamo conto che in questo momento, nel mondo in cui viviamo, ci sono donne i cui diritti vengono calpestati ancora di più rispetto a quanto accada nell'immaginario stato dei Comandanti.
Labels:
Alexis Bledel,
Amanda Brugel,
Ann Dowd,
Elisabeth Moss,
Joseph Fiennes,
Madeline Brewer,
Marisa Tomei,
Max Minghella,
O-T Fagbenle,
Romanzo,
Samira Wiley,
Serie fantasy drammatica,
TimVision,
Yvonne Strahovski
mercoledì 12 giugno 2019
The Handmaid's Tale (1a stagione)
Recensione pubblicata su Pietro Saba World il 20/03/2018 Qui - In attesa della seconda stagione, che godrà presto di molte attenzioni (anche da me), perché eccezionale è stato il primo intermezzo, ho finalmente recuperato, grazie e tramite a TimVision (che manderà in onda da aprile il secondo attesissimo intermezzo) la prima stagione di The Handmaid's Tale, la serie televisiva statunitense del 2017 ideata da Bruce Miller, di produzione Hulu e basata sul romanzo omonimo distopico del 1985 dell'autrice femminista Margaret Atwood. La serie infatti (dai contenuti forti e spiazzanti) ha disorientato in positivo anche me, anche perché la suddetta si basa su di un mondo distopico davvero inquietante, oscuro e ambiguamente attuale, poiché se per noi maschiacci la serie può appartenere al filone del dramma distopico, per una donna (e per una madre soprattutto) The Handmaid's Tale (letteralmente Il racconto dell'ancella) fa presto a trasformarsi in un horror-psicologico-distopico, nel quale il mondo è diventato letteralmente un inferno, un mondo in cui a confronto quello di Mad Max è Mirabilandia. Una volta al mese difatti, il padrone di casa violenta la sua ancella durante la Cerimonia, un atto legale (anzi, perfino religioso) per ingravidarla, e se per caso l'ancella dovesse rimanere incinta, nove mesi dopo il figlio le verrà strappato senza tanti complimenti subito dopo lo svezzamento, il neonato così sarà affidato alla famiglia del patriarca, e lei spedita in un'altra casa, a farsi ingravidare da un altro patriarca. Tutto perché in un immaginario futuro non nascono quasi più bambini, e quindi le donne fertili (tenute nelle famiglie più abbienti, sostanzialmente come madri surrogato, ma completamente prive di libertà e della possibilità di esprimersi in qualunque ambito) vengono utilizzate per ripopolare il mondo. Tuttavia oltre ad una riflessione in questo senso davvero utile (d'altronde potrebbe questa distopia diventare realtà?), si parla anche di come la paranoia riesca ad influenzare il comportamento umano, di come la religione possa diventare l'arma dei governi per schiacciare le masse, di società anti-femministe e di rivoluzioni. Ma anche di amore, amore fra uomini e donne e amore fra madri e figlie. Il tutto raccontato attraverso impressionanti interpretazioni di molti (ora ma anche prima) grandi attori.
Labels:
Alexis Bledel,
Amanda Brugel,
Ann Dowd,
Elisabeth Moss,
Joseph Fiennes,
Madeline Brewer,
Max Minghella,
O-T Fagbenle,
Romanzo,
Samira Wiley,
Serie fantasy drammatica,
TimVision,
Yvonne Strahovski
Iscriviti a:
Post (Atom)