mercoledì 12 giugno 2019

The Handmaid's Tale (1a stagione)

Recensione pubblicata su Pietro Saba World il 20/03/2018 Qui - In attesa della seconda stagione, che godrà presto di molte attenzioni (anche da me), perché eccezionale è stato il primo intermezzo, ho finalmente recuperato, grazie e tramite a TimVision (che manderà in onda da aprile il secondo attesissimo intermezzo) la prima stagione di The Handmaid's Tale, la serie televisiva statunitense del 2017 ideata da Bruce Miller, di produzione Hulu e basata sul romanzo omonimo distopico del 1985 dell'autrice femminista Margaret Atwood. La serie infatti (dai contenuti forti e spiazzanti) ha disorientato in positivo anche me, anche perché la suddetta si basa su di un mondo distopico davvero inquietante, oscuro e ambiguamente attuale, poiché se per noi maschiacci la serie può appartenere al filone del dramma distopico, per una donna (e per una madre soprattutto) The Handmaid's Tale (letteralmente Il racconto dell'ancella) fa presto a trasformarsi in un horror-psicologico-distopico, nel quale il mondo è diventato letteralmente un inferno, un mondo in cui a confronto quello di Mad Max è Mirabilandia. Una volta al mese difatti, il padrone di casa violenta la sua ancella durante la Cerimonia, un atto legale (anzi, perfino religioso) per ingravidarla, e se per caso l'ancella dovesse rimanere incinta, nove mesi dopo il figlio le verrà strappato senza tanti complimenti subito dopo lo svezzamento, il neonato così sarà affidato alla famiglia del patriarca, e lei spedita in un'altra casa, a farsi ingravidare da un altro patriarca. Tutto perché in un immaginario futuro non nascono quasi più bambini, e quindi le donne fertili (tenute nelle famiglie più abbienti, sostanzialmente come madri surrogato, ma completamente prive di libertà e della possibilità di esprimersi in qualunque ambito) vengono utilizzate per ripopolare il mondo. Tuttavia oltre ad una riflessione in questo senso davvero utile (d'altronde potrebbe questa distopia diventare realtà?), si parla anche di come la paranoia riesca ad influenzare il comportamento umano, di come la religione possa diventare l'arma dei governi per schiacciare le masse, di società anti-femministe e di rivoluzioni. Ma anche di amore, amore fra uomini e donne e amore fra madri e figlie. Il tutto raccontato attraverso impressionanti interpretazioni di molti (ora ma anche prima) grandi attori.
Perché è grazie soprattutto alla grande forza espressiva degli attori, che assistiamo a qualcosa che sembra al contempo distante da noi e vicino, ovvero la caduta di una realtà simile alla nostra e l'adattarsi di persone comuni ad un mondo del tutto nuovo, dove tanti individui normali diventano improvvisamente mostri e carnefici. D'altronde ci vengono mostrate scene di grande violenza, non solo corporale ma esercitata attraverso l'asservimento e l'umiliazione, ed è difficile non immedesimarsi con il personaggio di Offred (nome che deriva da "of- Fred" cioè "di Fred", in appartenenza al suo nuovo padrone). Un personaggio, fatto di mille sfaccettature, una donna che viene privata della sua essenza in nome di qualcosa di più grande, interpretata magistralmente da Elisabeth Moss (famosa soprattutto per la serie Mad Men con Jon Hamm, recentemente visto in Le Spie della porta accanto e tanti altri film, tra cui ultimamente Truth e High-Rise). Dopotutto la serie, altresì difficile e cruda, ci racconta appunto attraverso gli occhi di Offred, il cui dovere è proprio quello di procreare, subendo sistematicamente violenza sessuale mascherata sotto forma di un rituale, come la democrazia si sia trasformata rapidamente in totalitarismo, dove le donne vengono trattate come meri oggetti e come proprietà dello Stato. In tal senso la serie ovviamente è composta da numerosi salti temporali che spiegano come la società sia arrivata a tal punto, con una rivoluzione silenziosa che piano piano cerca di prendere forma. Una società governata da uomini che basano il loro mondo su un concetto preso in prestito dalla Bibbia, ma che nei loro comportamenti di religioso e spirituale hanno ben poco. Proprio perché le donne e non solo sono sottoposte a torture indicibili (fisiche e psicologiche), ma anche chiunque cerchi di sovvertire il sistema o non si attenga perfettamente alle regole.
Regole che, la Repubblica di Gilead, questo il nome dato alla teocrazia totalitaria che ha assunto il potere, ha tenuto nascoste, salvo poi, nel momento giusto, metterle in atto. Regole e dettami che, seguendo alla lettera quanto espresso nella Bibbia in merito alle relazioni fra i generi vede il corpo femminile e le sue funzioni riproduttive totalmente asservite agli uomini. Cosicché le donne vengono conseguentemente suddivise in categorie, mentre al vertice del potere nel "mondo" degli uomini si ergono i Comandanti. Oltre alle Ancelle e ai Comandanti, vi sono però anche le Mogli dei Comandanti (compagne ufficiali degli uomini al vertice del potere), gli Angeli, ovvero i soldati, le Marte, col ruolo di serve, i Custodi, con mansioni simili a quelle delle Marte e il divieto di avere rapporti sessuali, gli Occhi, spie dei servizi segreti, le Zie, che impartiscono e monitorano il rigore morale delle altre donne, e le prostitute (come in una sorta di Sodoma ambiguamente contrapposta a Gomorra), la cui esistenza è celata poiché non consentita ufficialmente. Ogni ancella viene così assegnata alla casa di uno dei Comandanti, e gli viene dato un nome che si compone con quello della casa di cui fanno parte (nel caso della protagonista appunto "Fred" Waterford). Come detto, il compito principale di un'ancella (affiancato a piccole mansioni come fare la spesa), è quello appunto di subire in silenzio un tremendo rituale mensile, ma quello che sconvolge di più è che ciò (attuabile nel momento considerato più fertile), avviene in presenza anche della Moglie. Mogli che altresì, seppur sembrerebbero coloro dotate di maggiore libertà, sono anch'esse semplici pedine. Molte sono ad esempio a conoscenza della sterilità dei propri mariti ma non è concesso dirlo apertamente.
In questa pseudo Repubblica di ispirazione biblica, infatti, la sterilità può essere attribuita soltanto alle donne. Non fa eccezione in questo scenario di assenza di libertà Serena Joy, la Moglie del Comandante Fred Waterford, interpretata dalla bellissima Yvonne Strahovski. Ma Serena (cattiva perché emotivamente frustata) è disposta a usare qualunque mezzo pur di ottenere quello che desidera, ovvero un bambino da parte di Offred. Spogliate del nome e della loro identità (un elemento molto comune nei regimi totalitari) e impossibilitate a parlare della loro vita precedente, le ancelle (che dopo aver fatto il loro "dovere" vengono spostate proprio come si trattasse di una semplice merce) vivono dunque in una prigione di terrore. L'unica via di fuga sembra essere la morte, le più coraggiose provano comunque a combattere, la cosa sorprendente è che la protagonista sembra sempre sull'orlo della resa ma riesce a trovare un modo per rimanere in piedi. Quello che tutto muove e smuove è sempre l'amore, quello per la figlia da ritrovare e un marito che crede(va) morto, un amore nuovo da inventare e reinventare, Difred è circondata da donne che come lei hanno scelto di continuare a sperare e altre che non reggono il peso di una società che le ha completamente annullate, rese oggetti inanimati di cui abusare. Anche perché lei (come forse le altre) non dimentica il suo passato. Anche perché contrariamente a molti altri universi distopici, i personaggi in The Handmaid's Tale ricordano la loro vita precedente, e i flashback che mostrano i passi che hanno condotto a questo cambiamento radicale della società sono fra le parti più interessanti della serie. Si tratta di un aspetto molto rilevante perché il ricordo di una realtà diversa, vissuta sulla propria pelle, riesce a dare spazio alla speranza e ad alimentare il fuoco della ribellione anche in una società così opprimente.
Una società che, anche attraverso la paura data dalle tremende punizioni previste per i "peccati", obbliga (anche con parole di conforto, ma non sempre) le donne a far accettare i loro nuovi ruoli. A tal proposito uno degli esempi più emblematici è il personaggio di Zia Lydia, interpretata da un'impeccabile Ann Dowd (che dopo la conclusione di The Leftlovers è sempre ambiguamente una spina nel fianco), che oscilla fra la cieca accettazione del suo ruolo, che sembra anzi addirittura vivere con vera vocazione, e una compassione verso le ragazze scelte. In particolare, appare contraddittorio il suo rapporto con Janine, una delle ancelle, trattata al tempo stesso con gentilezza e crudeltà. In ogni caso ogni angheria è presentata come un rituale necessario per salvaguardare la purezza e assistiamo a scene di inaudita violenza, non solo quelle di natura sessuale altresì davvero esplicite, ma anche di altro tipo, dopotutto in The Handmaid's Tale la violenza è in ogni aspetto della città. Perché oltre ai tanti corpi di uomini impiccati sulle mura della città, lasciati come monito a quanti vorrebbero ribellarsi (o anche solo per chi sbaglia ad essere gay, cattolico o a lavorare in una clinica per aborti), uno dei rituali più agghiaccianti a cui assistiamo vede protagoniste le ancelle stesse. Per alcuni reati che prevedono come punizione la morte infatti, viene data alle ancelle l'opportunità di eseguire la condanna. Sembrerebbe quasi una valvola di sfogo a loro concessa saltuariamente, o forse un'illusione di potere, quando le ancelle possono uccidere con le loro mani uomini accusati ad esempio di violenze sessuali, ma se fai qualcosa di sbagliato puoi subire le più crudeli punizioni esistenti, strappati gli occhi solo per aver detto la parola sbagliata e tra le punizioni si arriva all'infibulazione e addirittura alla lapidazione. Tutte cose che non lasciano indifferenti.
Anche perché grazie ad una sceneggiatura e ad una regia messa su magistralmente da Reed Morano, lo spettatore viene letteralmente catapultato in questo mondo. Questi ultimi che riescono a sfruttare appieno il potenziale dei propri attori, da una Elisabeth Moss che ha strappato credo meritatamente la statuetta come miglior attrice una serie Drama agli ultimi Emmy Awards (perché l'attrice è straordinaria, la sua interpretazione claustrofobica, sempre ansimante, sempre sull'orlo della crisi di nervi, che soffoca continuamente le emozioni per cercare di rimanere in vita, regala ad ogni episodio una tensione costante), passando dai comunque superbi Joseph Fiennes (il comandante, bravo comunque a veicolare tutto lo squallore del maschilismo imperante) e Yvonne Strahovski (di Ann Dowd già detto), fino alle amabili Alexis Bledel (Una mamma per amica) e Samira Wiley (Orange is the new black). Senza dimenticare Janine (Madeline Brewer, sempre da Orange is the new black), bravissima ad esternare gli effetti sulla personalità di donne apparentemente folli e Max Minghella, ovvero Nick, forse l'unico che umanamente crede ancora nei sentimenti. Questo è possibile grazie a primi piani (soprattutto alcuni geniali della Moss) che rendono concreti i pensieri degli attori, discorsi che non potrebbero essere pronunciati, pena la tortura. Emozioni come la rabbia, la frustrazione, la delusione, la speranza, che traspirano e arrivano allo spettatore con il semplice potere di un fugace sguardo, di un ammiccamento del labbro, di un sospiro di troppo. Effettivamente in The Handmaid's Tale quasi nulla viene spiegato direttamente, ma la struttura del serial è ideata così egregiamente da non lasciare nulla in sospeso.
Alla fine infatti riusciremo a capire comunque leggi, modi e costumi, captare tutti i cambiamenti, costruire una gerarchia mentale, unicamente grazie al potere delle immagini e di dialoghi scritti a pennello. Una fotografica che lascia il segno, sempre sul pezzo, sempre originale. Ogni episodio propone un colpo d'occhio sublime, capace di catturare dettagli importantissimi, velati ma chiarificatori. Anche perché ognuno di questi dettagli in The Handmaid's Tale (che traccia bene ogni singolo tratto psicologico dei suoi protagonisti, facendoli conoscere meglio attraverso i flashback, che non risultano mai eccessivi) è al posto giusto. Dopotutto tutti gli attori sono perfettamente calati nel ruolo e ognuno di loro mostra una diversa sfaccettatura del personaggio di Offred/DiFred. Altresì ogni personaggio ha delle sfumature che portano lo spettatore a riflettere su quanto sia facile il ribaltamento di ruoli, perché i buoni per forza di cose sono costretti a diventare cattivi (si tratta di spirito di sopravvivenza) e i cattivi anche se hanno scelto di schierarsi all'inizio, non sempre sono convinti delle loro decisioni. Comunque non dimentichiamo i fantastici colori dei costumi, rossi quelli distintivi delle ancelle, con delle cappe imponenti per proteggere i volti, in contrapposizione con le mogli sterili dell'alta borghesia, sempre coperte da abiti austeri tendenti al blu, fino al nero degli "Occhi", i soldati del regime che pattugliano ogni angolo delle strade. Tutti dettagli che grazie alla sceneggiatura risaltano, anche perché la sceneggiatura è ben costruita e nonostante racconti un futuro sconvolgente e i colori stessi della fotografia risultino angoscianti e fortemente simbolici, viene attraversata da un sottile filo di ironia e da un'impeccabile selezione musicale che rende tutto equilibrato. Così tanto che, seppur Hulu non sarà ancora ai livelli di Netflix o HBO (le sue altre produzioni più famose, come 22.11.63 o The Path, non hanno avuto molto successo di critica, anche se la prima mi è piaciuta abbastanza) di certo The Handmaid's Tale è un passo in quella direzione. E non solo, è una delle serie televisive migliori di sempre, e per quel che ha da dire e per come lo dice, e fra tanti anni da adesso verrà ancora ricordata e acclamata. Voto: 8,5

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