Recensione pubblicata su Pietro Saba World il 13/09/2018 Qui - Nella prima stagione GLOW, la serie creata da Liz Flahive e Carly Mensch, aveva trafitto i cuori grazie a un mix "letale" di umorismo e lotta, di dolore e sfida (contro se stesse, contro le altre e soprattutto contro il sistema maschile), di dramma (costruito su molti livelli) e commedia (Qui la mia recensione), nella seconda stagione, messo da parte per certi versi il ring, la musica non cambia, anzi, se possibile, ogni cosa è ancora più intelligente e sovversiva, penetrando nel tessuto seriale. Se nella prima stagione la serie ha raccontato la rivincita delle protagoniste che con sudore e fatica sono riuscite a superare gli ostacoli della vita, in questa seconda stagione il tema è l'amicizia, la sorellanza, grazie alla quale nessuna delle componenti della squadra, è mai veramente sola. Una sorellanza che è legame solido, unico e irripetibile, nodo difficile da sciogliere e, anche quando sembra possibile, è solo apparenza (il rapporto tra Debbie/Betty Gilpin e Ruth/Alison Brie). La rivalità fra le due attrici principali, Ruth e Debbie, è ancora elemento fondante dell'intreccio, litigano, si rinfacciano situazioni passate (il tradimento del marito di Debbie con Ruth e di conseguenza è sua la colpa del loro divorzio), si pungolano cercando di ferirsi (la loro lite in ospedale) e ostacolarsi (Debbie tenta in ogni modo di mettere i bastoni tra le ruote all'amica/nemica), arrivano addirittura alla "rottura" ma poi proprio in nome di quella sorellanza, proprio per il bene che in fondo, nascosto tra recriminazioni, insulti e rabbia si vogliono, riescono sempre a cucire lo strappo. Sembra tutto uguale quindi in questa stagione, Zoya the Dystroyer contro Liberty Bell, le sfide tra le wrestler, soldi che scarseggiano, invece no perché GLOW è capace di prendere tutto ciò che di buono c'era nella prima e di migliorarsi senza snaturare se stessa e le protagoniste/donne. Lo show infatti, con questo secondo ciclo non solo conferma quanto di positivo avevamo visto nella stagione di debutto (un anno fa, io solo 4 mesi fa), ma fa un deciso salto di qualità in termini di scrittura (che va a tutto vantaggio dell'esperienza di visione). Non a caso tutto ciò che si poteva chiedere alla seconda stagione di GLOW era di sfruttare le potenzialità inespresse nella prima annata. Questo è esattamente quel che la serie Netflix ha fatto. Di più, è riuscita, senza negare affatto il lavoro precedente, a ritagliarsi un'identità più definita, giocando sullo sviluppo dei personaggi prima che sullo stridere tra commedia e dramma.
Perché GLOW 2, che rappresenta uno dei rari casi tra le serie TV in cui la seconda stagione è migliore della prima, ha effettivamente una marcia in più rispetto alla prima stagione grazie appunto ad un ritmo più incalzante e una maggiore consapevolezza delle protagoniste. Dove la prima stagione era un percorso di rassegnazione, auto-convincimento e risalita, questi nuovi dieci episodi vogliono essere un racconto di affermazione e rivendicazione. Dopo aver strappato un ingaggio grazie a un convincente pilot, il gruppo di wrestler guidato dal regista Sam Sylvia (Marc Maron) è adesso alle prese (inoltre è impegnato nel difficile rapporto con la figlia) con la registrazione di un'intera stagione dello show. Il nuovo corso quindi ci mostra il dietro le quinte di un mondo difficilissimo come quello dei piccoli network locali, della difficoltà per un gruppo di donne di affermarsi, perseguitate dallo spettro della fascia notturna di trasmissione, quella con meno pubblico attivo. Così come, in pieno clima #meetoo, non ci risparmia una panoramica sull'abuso di potere, sui potenti produttori in grado di far saltare una carriera, se non corrisposti. Si badi bene però che non c'è retorica in tutto questo, e anzi, forse una delle più grandi forze di GLOW è proprio la sua leggerezza di fondo, il suo tono da soap opera che permette di affrontare temi così attuali e critici con leggerezza, tralasciandoli quasi, sbadatamente, per poi accorgerci di quanto questi momenti di sfuggita siano stati efficaci. Questa seconda stagione è più smaccatamente puro entertainment, c'è più wrestling, molto di più, a tratti veramente spettacolare, c'è più divertimento e si ride in effetti di più. La questione femminile rimane il punto focale della serie, non potrebbe essere altrimenti, ma la ricchezza di declinazioni nella quale viene proposta denota un eccezionale lavoro in fase di scrittura. Che si tratti della difficoltà di una produttrice donna di esser presa sul serio dai colleghi maschi, dei ricatti sessuali di un direttore di rete, delle difficoltà di una mamma lavoratrice, della pressione conseguente alle aspettative sociali o delle difficoltà del rapporto madre-figli, il mondo delle donne diventa un caleidoscopio da cui GLOW attinge avidamente.
E tuttavia in tutto ciò non mancano anche aspetti meno rassicuranti, come quello della spietata competizione che può instaurarsi tra donne, che passando per un rapido climax arriverà a un momento di grande drammaticità (quello in cui Debbie si vendicherà vigliaccamente di Ruth) per poi trovare appunto un processo di sintesi in una rinnovata e più matura sintonia nel gruppo di lottatrici. A contribuire ulteriormente alla ricchezza d'insieme, troveremo poi tematiche come l'uso delle droghe, l'omosessualità, l'AIDS e il successo. E in tal senso GLOW stupisce per la sua capacità di mettere così tanta carne al fuoco e riuscire a risultare completo e significativo nonostante un arco narrativo di appena dieci episodi da circa mezz'ora, un format che sembra nato per il binge watching e che tuttavia coniuga perfettamente l'evasione con la qualità. Perché se l'acme della rivalità tra Debbie e Ruth rappresenta certamente la scena più forte del ciclo, sono molte le puntate particolarmente riuscite, e tra queste colpisce l'episodio dedicato al personaggio fino ad ora poco esplorato di Tammé "Welfare Queen", in cui una bravissima Kia Stevens regala alcuni dei momenti più emozionanti della serie. Una serie in cui a rimanere anch'esso fulcro principale è proprio il programma stesso GLOW (Gorgeous Ladies of Wrestling), che appunto per cause di forza maggiore subirà alcuni cambiamenti. Le ragazze (più consapevoli di loro stesse e che si godono la realizzazione di sé ottenuta grazie a quello strampalato lavoro in costumi colorati di cui non si vergognano più) dovranno allenarsi più intensamente e fare più acrobazie, per garantire uno spettacolo più intenso e realistico. Emergeranno nuovi personaggi e nuove tecniche di combattimento, che uniscono la danza alla lotta libera. Il tutto circondato dalla magnificenza di quel periodo smaccatamente anni '80, fatto di capelli cotonati, abiti sgargianti, balli scatenati e scenografie kitsch (dopotutto in questa seconda stagione lo stile è più pop, i glitter più luminosi, il trucco più pesante e le battute più pungenti). Ciò non toglie che ci sia anche un approfondimento sui personaggi.
Se quello che al primo impatto cattura l'attenzione sono gli strambi alter ego delle protagoniste, un buon lavoro è fatto anche sul loro lato umano di donne non più disperate costrette ad accettare un lavoro umiliante, ma adesso fieramente appartenenti a un gruppo, una variegata famiglia fatta di suplex e costumi in spandex. Seppur lo sguardo si posi maggiormente, rispetto alla prima stagione, anche sulle altre ragazze, con un interessante particolare su Carmen "Machu Picchu" Wade (Britney Young), Rhonda "Britannica" Richardson (Kate Nash) e Tammé "The Welfare Queen" Dawson, ancora una volta (come detto) motore della serie è il rapporto tra le due amiche-nemiche Debbie "Liberty Belle" Eagan (Betty Gilpin) e Ruth "Zoya the Destroya" Wilder (Alison Brie), con la seconda che si conferma vera mattatrice dello show. Sono tutti personaggi che funzionano perché, per quanto semplici nella scrittura, risultano veri, sempre credibili, merito soprattutto dell'intero cast, coeso e a proprio agio (in tal senso le new entry, ovvero la nuova Junkchain ispanica interpretata da Shakira Barrera e Victor Quinaz, nei panni del fugace interesse amoroso di Ruth, sono perfettamente inseriti). Sembra una costante della serie questa sua semplice funzionalità. Così come la scrittura infatti, anche la messa in scena subisce gli effetti benefici di questa direzione. Non c'è niente di stupefacente a schermo, eppure funziona tutto, ne siamo attratti, sicuramente per l'estetica anni Ottanta, con i suoi colori, gli outfit improbabili e le grafiche laser, un'estetica che trova la sua massima espressione nell'ottavo episodio, forse il più riuscito e sicuramente più particolare, che per trenta minuti ci fa assistere a un intero episodio del GLOW fittizio che girano le protagoniste, in un'operazione di meta-tv sfiziosa. E poi attira anche per le simpatiche coreografie dei momenti sul ring, che donano più ritmo all'intera stagione. È una serie in definitiva senza retoriche, che punta al divertimento senza disdegnare un tocco di riflessione, che in questa seconda stagione acquisisce una maggiore identità, raggiungendo una rinnovata efficacia.
Non è un capolavoro, e non vuole esserlo, anzi (anche perché questa seconda stagione ha comunque dei difetti, un inizio onesto ma non scoppiettante come la prima stagione e soprattutto il fatto che le soluzioni non sono elaborate bene, specialmente se vengono messe a confronto con i problemi, che sono stati ben gestiti, infatti alcune soluzioni della serie portano ad alcuni buchi di sceneggiatura o svolte narrative non analizzate a dovere). Eppure cattura, colpisce (non c'è difatti alcun dubbio, le grandiose lottatrici del wrestling continuano a stupire e la speranza è che non smettano di avere la stessa grinta dimostrata finora), e ci lascia prospettive interessanti per una eventuale terza stagione, per cui c'è lo spazio ma non la forzata necessità. Dovesse arrivare, non ci dispiacerebbe affatto. Intanto però e in ultima analisi torniamo a questa stagione, una stagione questa seconda che prende la formula originaria espandendola, con una netta virata verso un intrattenimento più ritmato e divertito (la stagione è non a caso più divertente e avvincente, non dimenticando in tal senso le due fantastiche sigle, iniziali e del programma). Infatti la semplicità, mai banale, della scrittura e della messa in scena (la chiusura degli episodi, la successione degli eventi e gli scambi di battute, persino la scelta di usare o meno una colonna sonora nei momenti più intensi e la scelta di andare a nero sono valorizzati per provocare botte di adrenalina nello spettatore, accompagnandolo al momento clou) si concretizzano in un prodotto efficace, coinvolgente e gustoso (soprattutto nelle ultime tre puntate), soprattutto grazie all'incredibile talento del cast. Un cast che come la serie corre veloce, non fa in tempo ad accennare qualcosa che l'ha già superato (e per questo probabilmente godrebbe di un metraggio meno fulmineo e di un numero di episodi più generoso), ma rimane un prodotto dal grande carattere e le cui potenzialità iniziano finalmente ad essere sfruttate. Dopo aver visto la prima stagione di GLOW avevo infatti il timore che il seguito sarebbe stato sminuito da questa grande aspettativa, invece mi sono trovato davanti un blocco di nuovi episodi che ha saputo alzare ulteriormente il livello della serie. E quindi tra gli originali Netflix recenti (di quelli che ho visto, che in verità non sono tanti), senza dubbio uno dei meglio riusciti. Voto: 7,5
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