Recensione pubblicata su Pietro Saba World il 25/09/2018 Qui - E' innegabile che Benedict Cumberbatch sia un grande talento, talento che ha dimostrato ancora una volta in Patrick Melrose, la miniserie Showtime in 5 puntate sbarcata settimane fa su Sky Atlantic, che è sembrata l'occasione giusta per valorizzare le doti interpretative della star di Hollywood. Peccato che la serie e la storia, ispirata ai romanzi semi-autobiografici di Edward St Aubyn, creata da David Nicholls e diretta da Edward Berger, nonostante la sua grande prova (che gli è valsa una nomination agli Emmy) sia di una tristezza fine a se stessa, senza spunti costruttivi e in cui la pesantezza la fa da padrona. Il filo conduttore delle cinque puntate (dove ognuna è l'adattamento a un romanzo del ciclo ed è da considerarsi come un film a sé stante, dedicato a un particolare periodo della vita del protagonista) sono le sofferenze inflitte a Patrick quand'era bambino da chi più di tutti avrebbe dovuto amarlo senza riserve, ovvero i genitori, due esponenti dell'alta borghesia britannica. Da una parte il padre, sadico e crudele che abusa di lui, dall'altro la madre, incapace di difenderlo perché a sua volta traumatizzata dal marito, e troppo presa a bere e impasticcarsi per accorgersi di quanto succede al figlio. Questi drammi faranno di Patrick Melrose un uomo distrutto, incapace di affrontare la vita, che si rifugia in alcol e droghe per evitare di restare lucido e ripensare a quanto ha subito da bambino. A salvare la situazione dal dramma totale e a rendere la serie più una dark comedy che una tragedia in piena regola, c'è quel filo di humor inglese tanto difficile da soffocare. Un aspetto deprimente dell'intera storia è che sotto la patina di disperazione che lo ricopre, si intravede l'uomo brillante e di successo che Patrick avrebbe potuto diventare se non avesse dovuto vivere simili indicibili traumi. La prima puntata ambientata negli anni '80, che vede il protagonista apprendere la notizia della morte del padre, farsi una bella risata per questo e successivamente drogarsi e ubriacarsi all'inverosimile, sorprende in positivo, grazie a Cumberbatch che convince del tutto nella sua prova di drogato schizofrenico, tanto da risultare quasi eccessivo ed antipatico. La seconda puntata, la più difficile da digerire e vedere fino alla fine, che ci porta in una splendida villa nel sud della Francia negli anni '60 dove vediamo il piccolo Patrick alle prese col padre sadico, convince meno, anche se plauso al regista che tratta questo argomento con i guanti, riuscendo a trasmettere tutta l'angoscia e la drammaticità della vicenda mostrando poco e niente.
La terza puntata, dove ritroviamo Patrick nel 1990, egli che adulto e (parzialmente) disintossicato, durante uno sfarzoso party dell'aristocrazia inglese, decide di confidare ad un amico gli abusi subiti durante l'infanzia (anche se ciò non basterà a salvarlo) convince ancora meno. La quarta puntata, ambientata 13 anni dopo la precedente, dove Patrick Melrose è marito e padre di due figli delude, ci ritroviamo al punto di partenza (atteggiamenti distruttivi a go go) e l'alcol la fa da padrona. L'ultima puntata, siamo nel 2006 e Patrick deve tenere un discorso al funerale della madre, ed ecco la botta finale a lui e alla storia, scopriamo un'aneddoto sulla (stronza) madre (interpretata comunque benissimo da Jennifer Jason Leigh), i demoni del passato ritornano e tutto (sul futuro e presente) rimane un'incognita. Dicevo la storia, qui alla fine di questa serie comunque di altissimo livello, diretta bene e recitata ancora meglio, si rivela eccessivamente deprimente e quel filo di humor inglese non basta a renderla digeribile e brillante. Sarebbe stato più costruttivo mostrare una sorta di soluzione per il protagonista, uno spunto positivo magari rappresentato da un medico in grado di aiutarlo seriamente. Invece il povero Patrick si dibatte da solo nelle sue sofferenze dall'inizio alla fine della serie e anche chi lo ama sinceramente, come per esempio la moglie, non è in grado di aiutarlo davvero perché maneggiare una psiche devastata come la sua non è una faccenda per persone non adeguatamente qualificate. Oltre a sviscerare le sofferenze del protagonista, nella serie succede ben poco mentre abbondano le angosce. I temi trattati vanno dalla pedofilia alla depressione, dall'abuso di stupefacenti alla schizofrenia, dal suicidio (anche assistito) alle violenze domestiche, e chi più ne ha, più ne metta. Non c'è un dramma umano che questa serie non sfiori almeno, e questo la rende a dir poco pesante se non addirittura morbosa (non dimenticando che il ritratto che viene fatto della classe aristocratica inglese è vomitevole e disumanizzante). Gli attori sono bravi (del cast fanno parte anche la Allison Williams di Scappa: Get Out, Holliday Grainger e Indira Varma), su tutti svetta il terrificante Hugo Weaving e davvero dotato risulta essere il piccolo attore che interpreta Patrick bambino, ma fondamentalmente la serie (seppur esteticamente curata ed affascinante, musicalmente interessante e concettualmente originale, in cui tuttavia sembri che l'età non conti) rimane un "one man show" in cui il bel Doctor Strange di Marvel la fa meritevolmente da padrone. E quindi la serie è vedibile solo per lui (e se siete amanti del bell'attore inglese e volete vederlo in una delle sue migliori interpretazioni, ancora meglio) ma di per sé la storia è deprimente, pesante e con pochi spunti realmente interessanti. Tanto che, seppur la sufficienza la strappa, la serie rimanga leggermente indigesta. Voto: 6
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