Recensione pubblicata su Pietro Saba World il 15/05/2019 Qui - Stiamo vivendo un periodo particolarmente denso di novità in termini di produzione e distribuzione televisiva. Dopo Netflix e Amazon Prime Video, con Disney ormai pronta a mettere giù i suoi carri armati e Apple che si dice stia investendo miliardi in produzioni originali, anche Youtube si è affacciato al mondo delle produzioni originali attraverso il suo nuovo "canale" Youtube Red. L'esordio è stato di quelli che fanno parlare, e hanno fatto parlare, e tanto. Karate Kid, un vero e proprio caposaldo per chiunque sia stato un ragazzino negli anni Ottanta, riportato ai giorni nostri. Una serie che, a differenza del tentativo di reboot di qualche tempo fa, prende ambientazioni, situazioni e protagonisti dei film originali e li riporta ai giorni nostri, mescolando abilmente (anche di più) le cose. Sì perché Cobra Kai, serie televisiva statunitense, creata da Jon Hurwitz, Hayden Schlossberg e Josh Heald, basata sulla serie di film The Karate Kid, creata da Robert Mark Kamen, sorprendentemente è una gran bella serie tv. Le aspettative erano basse, e invece stupisce alla grande. Diciamocelo, sono ormai anni che ci propinano sequel, reboot e prequel di film rimasti nell'immaginario popolare, fallendo molto spesso miseramente perché il problema di fondo è uno, secondo me: una storia appartiene ad un momento storico, a quell'epoca e basta. Appartiene al colpo di genio, ad un momento irripetibile che un autore, un regista o uno sceneggiatore hanno avuto e che non potrà mai essere eguagliato. In più l'offerta di film e serie è ormai quasi saturata da prodotti che puntano sulla nostalgia degli anni '80, che sono appunto l'ennesimo remake o reboot tutto fondato sull'hype, o che per far tifare per i "cattivi" prendono la via facile di ridurre i "buoni" a macchiette, e quindi era lecito essere curiosi ma anche tenere tutte le spie accese approcciandosi a Cobra Kai, serie seguito sui generis dei film originali di Karate Kid, di cui soprattutto il primo è uno dei miei film preferiti dell'infanzia. E dico "dell'infanzia" perché mi vergogno un po' a dire "di sempre" (ma di questo dirò dopo). Poi succede il miracolo e a rispondere ad un prodotto dimenticabile quale può essere The Karate Kid con Jackie Chan, arriva qualcosa che ha passione e rispetto per ciò che è stato. Cobra Kai è il risultato di questi due ingredienti. Prodotto anche da Ralph Macchio (il fu Daniel Larusso) e William Zabka (Johnny Lawrence) stessi, questa serie è infatti l'ideale e perfetto sequel della trilogia di Karate Kid (che per quanto citato, parodiato e richiamato, non era ancora stato protagonista di un vero e proprio ritorno) diretta dal compianto John G. Avildsen dall'84 all'89, conservandone tutte le caratteristiche ci hanno fatto amare Daniel Larusso, Sensei John Kreese e soprattutto il mitico maestro Miyagi.
Pat Morita non c'è più, ma vi assicuro che in molti momenti di questi dieci episodi della prima stagione, ne avvertiamo la presenza con commozione. Che se non sapete chi sia, o di cosa con Karate Kid sto parlando, le cose sono due: o siete davvero troppo giovani, oppure siete immeritevoli. Ora non mi metto a fare tutta la storia di Karate Kid, non ne usciamo più. È necessario però (ritornando al discorso interrotto prima) ricordare in poche parole l'impatto che quel film ebbe sulla cultura pop dell'epoca, e su una generazione di ragazzini che, a fronte di una rappresentazione completamente irrealistica delle arti marziali e del loro insegnamento, nel film trovò un prezioso racconto di amicizia, onore, saggezza, e una filosofia di vita improntata al rispetto per gli altri ma anche e soprattutto per se stessi. Oltre, naturalmente, a uno dei mentori più teneri e affascinanti che il cinema abbia mai prodotto, ovvero il mitico maestro Miyagi, interpretato appunto dal defunto Pat Morita che per la parte ottenne addirittura una nomination agli oscar. Era un film che gli adulti di allora digerirono male per la sua semplicità e le sue componenti più folkloristiche, e che i ragazzi degli anni Ottanta ormai cresciuti possono anche trovare stucchevole o, semplicemente, "vecchio". Ma faceva parte di un preciso modo (zuccheroso ma solido, paraculo ma commovente) di concepire il cinema per ragazzi, quello stesso modo che, ormai da un po' di tempo, è diventato oggetto di una feroce nostalgia. Gli Stranger Things, GLOW e il "nuovo" It, per non parlare dei revival di mille mila vecchie serie tv, sono la cifra stilistica più vistosa di questi anni, e Karate Kid era e resta uno dei simboli di quella stagione cinematografica. Insomma faceva pensare ad un prodotto pensato solo per l'effetto nostalgia. Inoltre quando ancora non avevo visto il primo episodio, una punta di cinismo faceva anche pensare alla necessità, per Macchio e Zabka, di rilanciare una carriera ormai ammuffita, fatta di tante comparsate e piccole parti secondarie. Né mancavano le perplessità, più in generale, sull'idea di riportare in vita una saga che aveva trovato una dimensione precisa e forse non replicabile in un periodo tutto particolare, in cui il tono favolistico del racconto metteva radici in un terreno fertile che oggi, in un mondo in cui la gente questiona pure quanti peli nel naso ha Thanos, non sarebbe più stato disponibile. La sorpresa, inaspettata e deliziosa, è che Cobra Kai è una bella serie. Ma bella sul serio. E lo è proprio nella misura in cui, non potendo riproporre gli stessi schemi e toni di allora, trova un difficile ma riuscitissimo equilibrio fra dramma e commedia, fra autoironia e voglia di raccontare qualcosa di nuovo. A stupire, fin da subito, è il twist nella prospettiva: il protagonista vero e proprio di Cobra Kai non è Daniel, eroe indiscusso della saga originale, bensì Johnny, il bullo odioso (ma a sua volta vittima di un cattivo maestro) che Daniel sconfiggeva nella finale del torneo di karate.
Quello, insomma, che si prendeva in faccia il calcio della celeberrima tecnica della gru. Da quella sconfitta, ci dice Cobra Kai, Johnny non si è mai davvero risollevato: ha avuto un figlio ormai adolescente che praticamente non vede mai, si arrabatta con lavoretti precari da cui rischia sempre di essere licenziato, beve troppo e si crogiola colpevolmente nei ricordi di un lontano passato in cui era il più figo di tutti. È diventato quindi un personaggio malinconico, un po' patetico, le cui spigolosità di oggi ci appaiono molto più giustificate di allora. Allo stesso tempo, Daniel ha cavalcato l'onda della sua vecchia popolarità locale, e ha aperto un autosalone di discreto successo dando seguito alla passione per le auto che gli aveva instillato proprio il maestro Miyagi, ormai defunto. E nel vedere Daniel usare il karate per promuovere la concessionaria, in spot televisivi dal sapore un po' trash, ecco che si completa il giro: se Johnny merita ora un po' di simpatia, Daniel è diventato uno spocchiosetto antipatico. Tutto sommato potrebbe già bastare così. Se Cobra Kai avesse nuovamente raccontato la storia di un Daniel sfigato che combatte i soprusi sarebbe stata semplicemente irricevibile, totalmente fuori tempo massimo. Il twist invece ci dà subito un motivo di curiosità, che però a sua volta si sarebbe potuto esaurire in poco spazio, diventandone parodia. Ma il bello arriva qui. Bastano pochissimi episodi, che cerco di spoilerare il meno possibile, per accorgersi che dietro Cobra Kai c'è un pensiero, un progetto che va oltre la nostalgia. Invece di forzare la mano per ricreare atmosfere ormai passate, gli autori aggiornano la saga, la fanno diventare realmente "adulta", e danno ai loro personaggi uno spessore e una sfumatura di cui all'epoca, da ragazzini degli anni Ottanta, non avevano bisogno. L'abilità degli autori è stata infatti quella di riproporre i due personaggi che tutti conosciamo catapultandoli nella All Valley odierna e affiancandogli una nuova generazione di teenagers alle prese con i problemi che affliggono tutti gli adolescenti (incarnati da tanti attori parecchio sconosciuti, a parte forse Mary Mouser). L'altro grande merito è quello di aver attualizzato in modo coerente anche le dinamiche di contorno, non limitandosi come spesso accade nei sequel "generazionali" a mutuare le situazioni dalla storia originale aggiornandone semplicemente pochi aspetti in un'operazione cosmetica buona per spostare la storia avanti o indietro. Viene da dire insomma: Ecco finalmente una serie che fa un vero servizio agli anni '80, non badando solo a sfruttare uno dei suoi film cult ma riuscendo ad arricchire la saga nel suo complesso. Cobra Kai è la miglior cosa che potesse capitare a Karate Kid perché regala ad una storia per ragazzi abbastanza bidimensionale (e dove l'eroe era già servito) una complessità e delle sfaccettature che le mancavano, e lo fa con humor e un buon numero di personaggi in cui ciascuno può identificarsi con pregi e difetti.
Questo non significa che sia una serie perfetta o rivoluzionaria. L'equilibrio fra i vari toni del racconto è saldo, ma non sempre efficace, e ogni tanto ci sono botte di ironia o, al contrario, di retorica spicciola, che suonano forzate e un po' ridicole. Allo stesso tempo, dal punto di vista visivo la serie ha poco di nuovo da offrire, e rimane quasi sempre su un livello di generale ordinarietà, eccezion fatta per l'uso molto preciso degli spezzoni del vecchio film, che compongono ricordi e brevi flashback che ci colpiscono con la forza della loro pasta ingiallita e rugosa, con quell'atmosfera da vecchia estate d'infanzia che contrasta magnificamente con l'immagine pulita e un po' fredda delle moderne tecniche di ripresa. Come se non bastasse, ogni tanto si cade nel melenso, e soprattutto la serie soffre il dover far fronte a due esigenze: accelerare lo sviluppo dei due ragazzi protagonisti e mettere le basi per la seconda stagione (si capisce chi saranno i/la prossimi/a protagonisti/a). Cosi l'allievo di Daniel evolve in karateka provetto in una settimana, e il giovane protégé di Johnny diventa un proto-villain nel corso di una notte: si invertono ruoli e rapporti di forza, non sempre coerentemente, e si aprono nuove trame in vista della seconda stagione. Sì perché come è facile immaginare, le storie di Johnny e Daniel tornano a incrociarsi, e la vecchia rivalità risorge da ceneri che si credevano ormai spente. Ne nascono equivoci e ripicche anche buffe, in cui si incastra anche la vita dei rispettivi figli, adolescenti come lo erano loro tanti anni fa. Il difetto maggiore è però uno, la serie, disponibile su Youtube Red, è godibile sì dagli spettatori italiani, ma solo grazie ai sottotitoli, che a volte distolgono l'attenzione (tutti difetti che comunque e tuttavia pesano sul voto). Ma tolto ciò la serie è molto valida ugualmente. Soprattutto è una serie che, magari tutti i revival, reboot e sequel fossero così. Una serie ricca di colpi di scena, e di una sceneggiatura brillante, che non propone uno schema con un buono-buonissimo e un cattivo-cattivissimo, anzi, perché nel 2018, con i due personaggi ormai cinquantenni, è necessario scavare nella personalità di ognuno, scoprendo che tutti e due hanno i loro pregi e i loro difetti, caratteri diversi ma forse non più così incompatibili. E quindi se conoscete Karate Kid, se avete amato il film che era e ciò che rappresentava, allora Cobra Kai vi stupirà. Semplicemente perché è più intelligente, ragionata e stratificata di quello che ci si aspettava. Perché si prende la briga di far crescere i propri personaggi, dandoci l'impressione di una realtà vertiginosa: Daniel e Johnny non sono simboli cristallizzati nel tempo, creature mitiche che possiamo solo guardare con nostalgia, bensì persone vere, concrete, che in gioventù hanno imparato qualcosa della vita, ma che come tutti noi hanno dimenticato qualcosa, e altro devono ancora imparare. Attendo quindi con trepidazione di vedere la seconda stagione, da poco disponibile su Youtube Premium. Voto: 7+
Quello, insomma, che si prendeva in faccia il calcio della celeberrima tecnica della gru. Da quella sconfitta, ci dice Cobra Kai, Johnny non si è mai davvero risollevato: ha avuto un figlio ormai adolescente che praticamente non vede mai, si arrabatta con lavoretti precari da cui rischia sempre di essere licenziato, beve troppo e si crogiola colpevolmente nei ricordi di un lontano passato in cui era il più figo di tutti. È diventato quindi un personaggio malinconico, un po' patetico, le cui spigolosità di oggi ci appaiono molto più giustificate di allora. Allo stesso tempo, Daniel ha cavalcato l'onda della sua vecchia popolarità locale, e ha aperto un autosalone di discreto successo dando seguito alla passione per le auto che gli aveva instillato proprio il maestro Miyagi, ormai defunto. E nel vedere Daniel usare il karate per promuovere la concessionaria, in spot televisivi dal sapore un po' trash, ecco che si completa il giro: se Johnny merita ora un po' di simpatia, Daniel è diventato uno spocchiosetto antipatico. Tutto sommato potrebbe già bastare così. Se Cobra Kai avesse nuovamente raccontato la storia di un Daniel sfigato che combatte i soprusi sarebbe stata semplicemente irricevibile, totalmente fuori tempo massimo. Il twist invece ci dà subito un motivo di curiosità, che però a sua volta si sarebbe potuto esaurire in poco spazio, diventandone parodia. Ma il bello arriva qui. Bastano pochissimi episodi, che cerco di spoilerare il meno possibile, per accorgersi che dietro Cobra Kai c'è un pensiero, un progetto che va oltre la nostalgia. Invece di forzare la mano per ricreare atmosfere ormai passate, gli autori aggiornano la saga, la fanno diventare realmente "adulta", e danno ai loro personaggi uno spessore e una sfumatura di cui all'epoca, da ragazzini degli anni Ottanta, non avevano bisogno. L'abilità degli autori è stata infatti quella di riproporre i due personaggi che tutti conosciamo catapultandoli nella All Valley odierna e affiancandogli una nuova generazione di teenagers alle prese con i problemi che affliggono tutti gli adolescenti (incarnati da tanti attori parecchio sconosciuti, a parte forse Mary Mouser). L'altro grande merito è quello di aver attualizzato in modo coerente anche le dinamiche di contorno, non limitandosi come spesso accade nei sequel "generazionali" a mutuare le situazioni dalla storia originale aggiornandone semplicemente pochi aspetti in un'operazione cosmetica buona per spostare la storia avanti o indietro. Viene da dire insomma: Ecco finalmente una serie che fa un vero servizio agli anni '80, non badando solo a sfruttare uno dei suoi film cult ma riuscendo ad arricchire la saga nel suo complesso. Cobra Kai è la miglior cosa che potesse capitare a Karate Kid perché regala ad una storia per ragazzi abbastanza bidimensionale (e dove l'eroe era già servito) una complessità e delle sfaccettature che le mancavano, e lo fa con humor e un buon numero di personaggi in cui ciascuno può identificarsi con pregi e difetti.
Questo non significa che sia una serie perfetta o rivoluzionaria. L'equilibrio fra i vari toni del racconto è saldo, ma non sempre efficace, e ogni tanto ci sono botte di ironia o, al contrario, di retorica spicciola, che suonano forzate e un po' ridicole. Allo stesso tempo, dal punto di vista visivo la serie ha poco di nuovo da offrire, e rimane quasi sempre su un livello di generale ordinarietà, eccezion fatta per l'uso molto preciso degli spezzoni del vecchio film, che compongono ricordi e brevi flashback che ci colpiscono con la forza della loro pasta ingiallita e rugosa, con quell'atmosfera da vecchia estate d'infanzia che contrasta magnificamente con l'immagine pulita e un po' fredda delle moderne tecniche di ripresa. Come se non bastasse, ogni tanto si cade nel melenso, e soprattutto la serie soffre il dover far fronte a due esigenze: accelerare lo sviluppo dei due ragazzi protagonisti e mettere le basi per la seconda stagione (si capisce chi saranno i/la prossimi/a protagonisti/a). Cosi l'allievo di Daniel evolve in karateka provetto in una settimana, e il giovane protégé di Johnny diventa un proto-villain nel corso di una notte: si invertono ruoli e rapporti di forza, non sempre coerentemente, e si aprono nuove trame in vista della seconda stagione. Sì perché come è facile immaginare, le storie di Johnny e Daniel tornano a incrociarsi, e la vecchia rivalità risorge da ceneri che si credevano ormai spente. Ne nascono equivoci e ripicche anche buffe, in cui si incastra anche la vita dei rispettivi figli, adolescenti come lo erano loro tanti anni fa. Il difetto maggiore è però uno, la serie, disponibile su Youtube Red, è godibile sì dagli spettatori italiani, ma solo grazie ai sottotitoli, che a volte distolgono l'attenzione (tutti difetti che comunque e tuttavia pesano sul voto). Ma tolto ciò la serie è molto valida ugualmente. Soprattutto è una serie che, magari tutti i revival, reboot e sequel fossero così. Una serie ricca di colpi di scena, e di una sceneggiatura brillante, che non propone uno schema con un buono-buonissimo e un cattivo-cattivissimo, anzi, perché nel 2018, con i due personaggi ormai cinquantenni, è necessario scavare nella personalità di ognuno, scoprendo che tutti e due hanno i loro pregi e i loro difetti, caratteri diversi ma forse non più così incompatibili. E quindi se conoscete Karate Kid, se avete amato il film che era e ciò che rappresentava, allora Cobra Kai vi stupirà. Semplicemente perché è più intelligente, ragionata e stratificata di quello che ci si aspettava. Perché si prende la briga di far crescere i propri personaggi, dandoci l'impressione di una realtà vertiginosa: Daniel e Johnny non sono simboli cristallizzati nel tempo, creature mitiche che possiamo solo guardare con nostalgia, bensì persone vere, concrete, che in gioventù hanno imparato qualcosa della vita, ma che come tutti noi hanno dimenticato qualcosa, e altro devono ancora imparare. Attendo quindi con trepidazione di vedere la seconda stagione, da poco disponibile su Youtube Premium. Voto: 7+
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