Recensione pubblicata su Pietro Saba World il 07/02/2019 Qui - La serie tv Kidding - Il fantastico mondo di Mr. Pickles (Kidding), serie televisiva statunitense del 2018 creata da Dave Holstein (che ritorna dopo il sottovalutato Brink, cancellato dopo solo una stagione), segna il ritorno alla collaborazione di Jim Carrey e Michel Gondry dopo il fondamentale film del 2004 (il bellissimo Se mi lasci ti cancello). L'interprete di Ace Ventura (e di tanti altri piccoli cult) ha avuto un'infanzia decisamente difficile, ha vissuto con la famiglia in un camper date le ristrettezze economiche seguite al licenziamento del padre contabile, e di recente, nel 2015, ha dovuto affrontare anche il suicidio della compagna Cathriona White, ed è difficile non vederne traccia nella sua interpretazione di Mr. Pickles. Di contro, il regista di Versailles ha già dimostrato di saper rappresentare, mantenendosi coerente col suo immaginario fatto di découpage e artigianato, la malinconia e il dolore di una perdita, o almeno quasi sempre (si pensi al sopravalutato Mood Indigo: La schiuma dei giorni). E tuttavia nonostante sia una serie creata da un terzo, il segno di entrambi è ben presente, a partire dalla sigla diversa per ciascuna puntata che ripropone il meccanismo delle Instagram Stories del profilo del regista francese. Per il resto, l'altro pregio di Kidding (su Sky Atlantic da novembre a dicembre scorso) è quello di non essere lo show di Jim Carrey (anche se lui è perfettamente onnipresente), ma una vera e propria storia su una famiglia (disfunzionale come tante) che non è la nostra, ma nello stesso tempo lo è. E può esserlo perché l'attore canadese viene affiancato da signori attori come Catherine Keener e Frank Langella: loro sono i Piccirillo, nome di origine italiana il cui senso non può essere sfuggito al creatore. Il resto di Kidding è un misto di generi, tipici e molto simili alla stravagante formula di Showtime. Ma è utile sottolineare subito una cosa, il formato da poco meno di 30 minuti porterebbe subito a pensare a una commedia, illudendo lo spettatore nel migliore dei modi. Certo, non mancano nel corso degli episodi momenti divertenti, ma non saranno mai risate a cuor leggero, si tratterà perlopiù di sorrisi amari, velati da un'ombra di malinconia.
Con Kidding ci troviamo difatti a metà strada tra la commedia e il dramma, intrappolati in una storia amara che ci sbatte in faccia tutta la solitudine e la tristezza che possono nascondersi dietro una maschera da pagliaccio. Una storia drammatica che parla dell'elaborazione del lutto attraverso espedienti comici e paradossali. Una vicenda intesa, famigliare, intima che è un percorso verso la riabilitazione e la ricerca della stabilità dopo la dipartita, inaspettata, di un proprio caro. Jim Carrey è Jeff Pickles, storico protagonista di un programma per bambini di successo. Attraverso i suoi pupazzi di pezza (costruiti da sua sorella, Catherine Keener), ogni settimana, da vita ad uno show televisivo molto seguito dalle famiglie. E' un punto di riferimento per la comunità ed è una celebrità che, per immagine ed etica, deve mantenere un contegno decoroso. Tuttavia, nonostante l'anima divisa tra celebrità per bambini e padre di famiglia, Jeff è in realtà una persona buona e che aiuta il prossimo. Infatti, le due personalità sono sempre coesistite senza problemi per molti anni. A cambiare improvvisamente tutto è la morte del figlio Phil (Cole Allen, che interpreta il gemello sopravvissuto all'incidente che ha iniziato a frequentare un nuovo circolo di amici che lo spingono a trascurare le lezioni e a fumare marijuana) e l'immediato divorzio dalla moglie (Judy Greer), che lo ha lasciato per un altro uomo (Justin Kirk). Incapace di lasciarsi da parte queste dinamiche drammatiche, Jeff inizia un percorso semi-autodistruttivo alla ricerca di una stabilità emotiva. Un percorso che lo porterà a confrontarsi con suo padre, nonché produttore dello show (Frank Langella), che non lo ritiene mentalmente stabile (dato che la sua esigenza di elaborare il lutto si traduce, alla fine, nel desiderio di portare all'interno del suo show la tragicità della vita, raccontando la morte ai più piccoli) per continuare a svolgere il proprio lavoro, che non vuole rischiare di perdere il suo impero economico portando argomenti scomodi in una trasmissione per bambini e che progetta di rimpiazzare Mr Pickles con uno spettacolo sul ghiaccio o con una serie animata.
La storia è minimalista, volutamente concentrata sul microcosmo di una famiglia per penetrare maggiormente nell'emotività e nella percezione dei protagonisti. Fulcro assoluto della storia è Jeff, un uomo distrutto e che sta vivendo una parabola negativa, tanto che, non avendo nessuno con cui confrontarsi ed elaborare il lutto, inizia a perdere la bussola e si auto-convince che nonostante i suoi sforzi per il bene del mondo, in realtà, nel nostro pianeta prevalgono sentimenti personali come l'egoismo e l'auto-compiacimento. Un cambiamento repentino che, a causa della sua natura di maschera comica in uno show per bambini, rendono la sua personalità instabile e che vive di sbalzi improvvisi. La psicologia di Jeff è perciò schiacciata sia dal punto di vista personale che lavorativo. Anche la sua maschera è in una spirale buia. Vista la sua incapacità di superare il lutto, suo padre, il manager dello show cerca in tutti i modi di preservare il brand che ha costruito insieme a lui e quindi si adopera per svincolarlo dalla figura di Jeff, sfruttando il marchio in altri contesti (giocattoli, cartoni animati e spettacoli di pattinaggio sul ghiaccio). Una scelta comprensibile che però crea ancora più malincuore a Jeff che si sente tagliato fuori e tradito. Vive uno stato di completo abbandono. Incompreso e sofferente. E tuttavia nonostante ciò non smette mai di far ridere e far felici i bambini. In tal senso Jim Carrey si conferma, anche sul piccolo schermo, di essere bravissimo nel passare da situazioni comiche in drammatiche in pochissimo tempo. Riesce a interpretare entrambe le maschere con efficacia e credibilità. Un breve sorriso che sotto cela un alone di malinconia. Il ruolo gli è cucito addosso e la storia parla appunto di maschere, di un uomo diviso tra celebrità e normalità che si avvicinano e si allontano. Un conto è il comportamento "fuori dalla telecamera" e un altro nella quotidianità. Una dualità di cui tutti noi siamo consci ma che lo show rende molto bene nel mostrare una sorta di "dietro le quinte", mostrandoci la vita di Jeff e dei suoi parenti. Le dinamiche famigliari e il suo rapporto con gli esterni.
A tal proposito visivamente si sente molto la mano di Michel Gondry, soprattutto nelle parti dello show di Jeff con i suoi animali di pezza. Un mondo di finzione colorato, bizzarro, onirico e pieno di canzoncine dolci e orecchiabili. Anche nella dualità di genere, commedia-dramma, sembra proprio di vedere un classico film alla Gondry. Una storia surreale che però tratta, ed è ancorata, ad una vicenda con dinamiche reali, dove l'ironia e i pensieri positivi combattono la depressione e la malinconia. Incanalare le situazioni disperate, tragiche, senza mai dimenticarle, e di andare avanti e di voltare pagina. L'accettazione della morte attraverso l'elaborazione del lutto, seguendo varie fasi di rielaborazione. Non è un caso infatti che Kidding ci dica che il dolore può essere insopportabile, che il lutto può annientare, ma che nulla, dei nostri sentimenti, può essere risolto semplicemente facendo finta che non ci sia, come lo si può fare con una puntata sulla morte da non mandare in onda. E quindi Kidding (che non cerca il grottesco mostrando il lato oscuro della tv dei bambini, non è una dark comedy, anzi) puntando in alto, ci spinge a misurarci con le nostre paure, a cambiare prospettiva. Ci dice che l'ascolto a volte è più importante del saper parlare, e che la bontà ha un costo (ed è forse la cosa più rivoluzionaria e sconvolgente). Kidding ci parla dell'importanza di essere se stessi e di esprimere sempre i propri sentimenti attraverso una storia di legami familiari complicati, di rapporti frantumati che hanno bisogno di essere ricomposti con delicatezza, come nell'arte giapponese del kintsugi, in cui gli oggetti rotti vengono riparati con l'oro: i segni delle fratture rimarranno ben visibili, ma renderanno l'oggetto ancora più unico e prezioso. A volte, specialmente vedendo gli episodi 4 e 10, si ha la sensazione che Kidding ci parli di cose così grandi che per noi è difficile assumerle senza soffrire.
Kidding fa piangere, ma non di un pianto empatico, quello che si prova per i personaggi di una serie o di un romanzo, Kidding ci fa piangere di noi stessi, della nostra terribile condizione di esseri umani alle prese con l'irragionevole ragione di esistere e di essere. Kidding sembra tutto questo e poi con un rovesciamento finale sembra il contrario. Ma forse è la serie che serviva per una enorme seduta di autocoscienza universale. E tuttavia vista l'ottima dualità di genere e la durata breve (come detto 30 minuti a episodio), Kidding non soffre però di pesantezza e di alto impatto drammatico. Lo show tratta di argomenti tragici ma attraverso espedienti leggeri e perciò, la serie si guarda molto bene ed è di facile comprensione. Uno show molto bello e che affronta una tragedia situazioni comiche, paradossali e bizzarre. Una prospettiva interessante e che gioca sulla dualità della maschera del palcoscenico. Un approccio non del tutto nuovo ma che in questo show viene utilizzato in modo congruo. Una serie improntata sui buoni sentimenti e all'importanza della famiglia per vivere una vita piena e stabile. Una serie in cui anche Frank Langella è perfetto per il ruolo e risulta anche divertente come personaggio Sebastian. Una serie che, seppur non sfrutta quasi a dovere gli altri attori: la moglie (Judy Greer) passa la maggior parte del tempo a rimproverare il marito e Catherine Keener è bloccata in una sotto-trama troppo ampia e vaga della serie, riesce ad emozionare e divertire. Una serie che, nonostante la non altissima qualità tecnica e sonora (ed alcuni piccoli difetti, alcuni già accennati), convince. Una serie che, grazie a dei pupazzi in stile Muppet e situazioni "particolari", sorprende, coinvolge ed appassiona. Una serie insomma che nel complesso è valida, tanto valida (così tanto che non vedo l'ora di vedere la confermata seconda stagione), in cui Jim Carrey vale la visione, dove nei panni di Jeff Pickles vuole approfondire i lati più tragici della vita, riuscendoci in pieno. Voto: 7,5
Kidding fa piangere, ma non di un pianto empatico, quello che si prova per i personaggi di una serie o di un romanzo, Kidding ci fa piangere di noi stessi, della nostra terribile condizione di esseri umani alle prese con l'irragionevole ragione di esistere e di essere. Kidding sembra tutto questo e poi con un rovesciamento finale sembra il contrario. Ma forse è la serie che serviva per una enorme seduta di autocoscienza universale. E tuttavia vista l'ottima dualità di genere e la durata breve (come detto 30 minuti a episodio), Kidding non soffre però di pesantezza e di alto impatto drammatico. Lo show tratta di argomenti tragici ma attraverso espedienti leggeri e perciò, la serie si guarda molto bene ed è di facile comprensione. Uno show molto bello e che affronta una tragedia situazioni comiche, paradossali e bizzarre. Una prospettiva interessante e che gioca sulla dualità della maschera del palcoscenico. Un approccio non del tutto nuovo ma che in questo show viene utilizzato in modo congruo. Una serie improntata sui buoni sentimenti e all'importanza della famiglia per vivere una vita piena e stabile. Una serie in cui anche Frank Langella è perfetto per il ruolo e risulta anche divertente come personaggio Sebastian. Una serie che, seppur non sfrutta quasi a dovere gli altri attori: la moglie (Judy Greer) passa la maggior parte del tempo a rimproverare il marito e Catherine Keener è bloccata in una sotto-trama troppo ampia e vaga della serie, riesce ad emozionare e divertire. Una serie che, nonostante la non altissima qualità tecnica e sonora (ed alcuni piccoli difetti, alcuni già accennati), convince. Una serie che, grazie a dei pupazzi in stile Muppet e situazioni "particolari", sorprende, coinvolge ed appassiona. Una serie insomma che nel complesso è valida, tanto valida (così tanto che non vedo l'ora di vedere la confermata seconda stagione), in cui Jim Carrey vale la visione, dove nei panni di Jeff Pickles vuole approfondire i lati più tragici della vita, riuscendoci in pieno. Voto: 7,5
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