Recensione pubblicata su Pietro Saba World il 06/03/2019 Qui - All'epoca ci furono molte discussioni, che continuano tuttora, sull'utilità o meno di una seconda stagione, anche perché la storia sembrava conclusa (dopotutto era stato trasposto tutto ciò che l'autore del romanzo aveva raccontato nella sua opera, quindi il compito della serie pareva essere ormai concluso), le cassette erano terminate, le storyline avevano raggiunto il loro culmine (Clay Jensen aveva svelato la realtà sul suicidio di Hannah, così i suoi genitori avevano intentato causa alla scuola e il suo violentatore, Bryce, sembrava destinato a fare i conti con la legge, insomma tutto lasciava presagire che la vita per gli altri sarebbe continuata senza troppi patemi), ma soprattutto il finale della prima stagione di Tredici (la serie televisiva statunitense basata sul romanzo 13 di Jay Asher) era meraviglioso, così come le tante domande le cui risposte venivano lasciate all'immaginazione dello spettatore. Brian Yorkey era infatti riuscito a realizzare una serie teen come non la si vedeva da anni, un gioiellino di recitazione e straordinariamente attuale. Vedendo però la seconda stagione (comunque prodotta complice l'enorme successo) ci si rende conto che una continuazione ha tutto il senso del mondo. Perché certo, forse non l'ha detto sempre nel modo esatto e non usando le tempistiche esatte, ma il prosieguo risulta nel complesso plausibile. In tal senso di nessuna utilità sarebbe invece una terza stagione (ahimè già in cantiere) perché tutto quello che poteva essere ancora svelato, quello che ancora non si era detto, viene definitivamente qui svelato e detto, lasciando praticamente zero margine. Non sarebbe un rischio incentrare un nuovo racconto senza la protagonista principale, senza il fulcro di tutto? Per me sì, infatti non sentivamo la necessità di un cliffhanger a fine di questa stagione, che anche per questo fatto perde mezzo voto, era meglio concludere e basta. In ogni caso sono passati cinque mesi dal suicidio di Hannah e Clay sembra aver voltato pagina, iniziando una relazione con Skye, vecchia amica d'infanzia. Sembra. La notizia che, dopo mesi in cui il patteggiamento appariva certo, i genitori di Hannah abbiano deciso di fare causa alla scuola, coglie impreparato il giovane Clay, che improvvisamente comincia a vedere la ragazza defunta dappertutto, iniziando anche delle lunghe e drammatiche conversazioni con lei. Il tutto mentre qualcuno mette nella sua cassetta delle foto scattate con una polaroid che mostrano Bryce e altri atleti della Liberty High intenti a violentare delle ragazze, rivelando un pozzo nero di misfatti che supera persino le violenze subite da Hannah e Jessica.
La nuova impostazione della seconda stagione di Tredici si prefigge così di miscelare diversi livelli narrativi, qualcosa che vada ben oltre il racconto fatto da Hannah e i postumi del suo suicidio come visto nella precedente stagione. Abbiamo quindi il processo, in cui vengono coinvolti uno alla volta i vari protagonisti della precedente stagione, ma soprattutto ci sono le storie che alcuni di loro stanno vivendo dopo i fatti avvenuti. Assistiamo così al ritorno di Jessica e Alex a scuola, la prima dopo aver elaborato la violenza subita e il secondo dopo essersi ripreso dal tentato suicidio, alla spirale distruttiva di Tyler e a quella autodistruttiva di Justin, ai rimorsi di Zach, costretto a continuare una strana amicizia con Bryce e, infine, ai tentativi di Clay di comprendere quello che gli sta succedendo, tra le polaroid e un processo dove la principale linea della difesa scolastica è quella di screditare la figura di Hannah. In effetti il dubbio è lecito: nella scorsa stagione abbiamo assistito alla versione di Hannah, messa in discussione da diversi personaggi da lei accusati. In un caso particolare il dubbio che la ragazza non stesse dicendo l'intera verità è stato concreto. La domanda perciò appare legittima: quanto di ciò che ha raccontato Hannah corrisponde al vero? Ognuno sembra pronto a fornire una propria verità, tra chi ammette le proprie colpe, chi mente sotto giuramento e chi rivela qualche piccolo particolare in più di quanto successo nei mesi precedenti l'insano gesto della ragazza. La cosa, ovviamente, si riflette anche sull'ambiente scolastico, dove tutti entrano in uno stato di guerra dichiarato, complicato da Clay che poco alla volta scopre la verità sulle polaroid che gli sono state consegnate. La scelta diventa perciò quella di impostare la serie in maniera non dissimile da quanto fatto nella precedente stagione, sostituendo al racconto di Hannah registrato sulle cassette le deposizioni delle persone chiamate a testimoniare in tribunale, durante le quali emergono nuovi fatti sulla vita della giovane Baker. Se, tutto sommato, l'idea di mostrare parte dei fatti precedenti sotto una nuova luce potrebbe apparire interessante, l'intera gestione della cosa presenta due grossi difetti.
Il primo è quello di dare una forte sensazione di déjà-vu allo spettatore. I temi trattati sono gli stessi, in fondo: il bullismo, le violenze, le droghe e il perbenismo di chi cerca di nascondere tutto sotto il tappeto per evitare che la scuola e altre personalità importanti vengano coinvolte in una faccenda sempre più torbida. Niente che non si sia già visto nella prima stagione. E, purtroppo, niente che non sia stato trattato in maniera abbastanza originale da permettere allo spettatore di provare la medesima sensazione di novità che aveva sperimentato precedentemente. Il grosso difetto di questa seconda stagione risiede tutto qui: nella sostanziale incapacità di rinnovare lo show, portando in scena gli stessi concetti, tentando in maniera molto timida di fornire loro un'impalcatura che sia realmente nuova. Nel racconto degli imputati ci troviamo perciò a rivivere più o meno quanto abbiamo già visto in precedenza, in maniera approfondita ma tutto sommato inutile e, anzi, talvolta dannosa. Sì, perché è qui che emerge la seconda grande pecca dello show: alcune delle ricostruzioni fatte qui sembrano sconfessare i racconti di Hannah, facendo apparire la violenza subita e la mancanza di aiuto da parte della scuola solo come una parte, alla fine minore, della scelta di porre fine alla sua vita. C'è sempre il dramma, il dolore e l'umiliazione per l'abuso subito, ma a questo si aggiunge un contesto familiare infelice che fa sembrare anche i genitori colpevoli del gesto estremo compiuto dalla ragazza. E questo, oltre a cozzare violentemente con quanto narrato nel libro (quest'ultimo infatti si fermava alla conclusione della prima), finisce per intaccare anche il ricordo della precedente stagione. A un lavoro praticamente perfetto, capace di far ignorare alcune pecche è seguito uno show decisamente inferiore, che cerca di emulare nelle modalità il proprio predecessore senza riuscirci. Sembra, insomma, che il grande incubo paventato da molti quando fu annunciata la seconda stagione si sia concretizzato: orfana del soggetto di Jay Asher, Tredici inizia a imbarcare acqua. Parecchia. Eppure, anche se detto ciò si potrebbe pensare che questa seconda stagione di Tredici sia un prodotto assolutamente mediocre, noioso e da evitare, in verità e realmente non lo è, o almeno non per tutti gli spettatori potrebbe esserlo.
Il racconto, nonostante delle evidenti lacune e qualche incongruenza sparsa qua e là riesce comunque a scorrere via abbastanza bene. La curiosità c'è, gli episodi si fanno guardare e tutto sommato la noia sembra restare alla porta, anche se la sensazione è quella di una spada di Damocle pronta a crollare e trafiggerci il cranio durante la visione. Infatti, la seconda stagione di Tredici è ben lungi dall'essere esente da difetti: se da una parte abbiamo infatti scene ed interpretazioni ben riuscite (il cast si è dimostrato nuovamente all'altezza di ciò che viene proposto, da Miles Heizer a Devin Druid, entrambi ben in grado di mostrare quelle potenti emozioni che proverebbero in una situazione reale, da Alisha Boe a Brandon Flynn, fino a Kate Walsh) e una colonna sonora che ancora una volta si conferma essere uno dei punti di forza della serie (la canzone "The night we met" nell'ultimo episodio porta indietro nel tempo non solo gli studenti della Liberty, ma anche gli spettatori, con non poca malinconia), dall'altro ci ritroviamo scene che hanno dell'inverosimile, poco convincenti sia livello interpretativo (e sì, mi riferisco ad un Dylan Minnette evidentemente una spanna al di sotto dei suoi colleghi) sia per quanto riguarda le dinamiche. Un esempio è quello di non aver sfruttato appieno alcuni eventi che avrebbero potuto costituire uno spunto interessante, l'altro la messa in scena di scene non proprio convincenti (era davvero necessario sfruttare le allucinazioni "fantasmino" di Clay per dare maggiore minutaggio a Katherine Langford?). Inoltre la lentezza con cui emerge quello che dovrebbe essere il tema portante di questa stagione, le fotografie (le similitudini con Life is Strange sono complete), è snervante, completamente diverso dall'incalzante ritmo delle cassette della stagione precedente. Non siamo ancora di fronte all'attesa di un evento lontano e quasi impercettibile, ma si tratta comunque di qualcosa con cui fare i conti. Altra nota dolente generale di tutta la stagione sono le tempistiche con cui si sono volute affrontare certe tematiche che, per la loro complessità, meritavano e avrebbero potuto avere uno sviluppo decente e ritmato al punto giusto.
Infatti, si nota un andamento sin troppo lento per le prime dieci puntate e una sterzata improvvisa nelle ultime tre, in cui si è cercato di risolvere le questioni tenute in sospeso fino ad allora, intavolando nuovi spunti per un'ipotetica terza stagione, con la conseguenza di aver accelerato il tutto, come se all'improvviso ci fossero sfuggiti dalle mani tutti gli ingredienti in un calderone non più in grado di contenerli. Prima su tutte la tematica delle armi e delle sparatorie, quasi tutta "risolta" da in una scena alquanto inverosimile alla fine di questa seconda stagione. Si è insomma a cospetto di un lavoro che sicuramente lascia un po' l'amaro in bocca, soprattutto a chi si aspettava una conferma o un miglioramento della serie che, pur nella sua incapacità di innovarsi, è ancora in grado di trattare argomenti estremamente delicati in maniera cruda (talvolta, come nel finale di stagione, troppo cruda) e realistica, almeno finché non sceglie di ammiccare un po' troppo verso il pubblico di teenager. E quindi avevamo bisogno di questa seconda stagione? Alla luce di ciò che hanno proposto, probabilmente non era indispensabile. Forse le cassette e i perché di Hannah bastavano, tuttavia quel che resta più di tutto non sono le incongruenze o i buchi di trama o l'irrealtà di alcune scene, ma la volontà di continuare a parlare di temi scomodi, attuali e sottovalutati. In alcuni casi poteva essere fatto meglio, in altri casi con modalità e tempistiche giuste, ma di certo resta la rabbia dello spettatore dinanzi a certi risvolti (molto più frequenti nella vita reale di ciò che spesso siamo disposti ad ammettere), rabbia di cui gli autori sono ben consapevoli e di cui ci chiedono di far tesoro per continuare a non tenere la bocca chiusa o la testa girata dall'altro lato. Ci resta la bellissima scena del ballo, in cui tutti i ragazzi, nonostante i problemi che attanagliano ognuno di loro, compiono finalmente un primo passo verso un futuro che non li figura più come "isole in mezzo al mare", ma li vede finalmente capire che certe cose le si possono affrontare insieme, ad amici, affetti, genitori, ognuno a modo loro e con le loro tempistiche, ma non da soli. Di certo ci resta la denuncia e il coraggio che da essa deriva, e queste sono cose che vanno oltre le cassette, le polaroid o qualsiasi altro elemento vintage (mancano le VHS) che vorranno inserire nell'inutile (questo sì) terza stagione. Voto: 7
Il primo è quello di dare una forte sensazione di déjà-vu allo spettatore. I temi trattati sono gli stessi, in fondo: il bullismo, le violenze, le droghe e il perbenismo di chi cerca di nascondere tutto sotto il tappeto per evitare che la scuola e altre personalità importanti vengano coinvolte in una faccenda sempre più torbida. Niente che non si sia già visto nella prima stagione. E, purtroppo, niente che non sia stato trattato in maniera abbastanza originale da permettere allo spettatore di provare la medesima sensazione di novità che aveva sperimentato precedentemente. Il grosso difetto di questa seconda stagione risiede tutto qui: nella sostanziale incapacità di rinnovare lo show, portando in scena gli stessi concetti, tentando in maniera molto timida di fornire loro un'impalcatura che sia realmente nuova. Nel racconto degli imputati ci troviamo perciò a rivivere più o meno quanto abbiamo già visto in precedenza, in maniera approfondita ma tutto sommato inutile e, anzi, talvolta dannosa. Sì, perché è qui che emerge la seconda grande pecca dello show: alcune delle ricostruzioni fatte qui sembrano sconfessare i racconti di Hannah, facendo apparire la violenza subita e la mancanza di aiuto da parte della scuola solo come una parte, alla fine minore, della scelta di porre fine alla sua vita. C'è sempre il dramma, il dolore e l'umiliazione per l'abuso subito, ma a questo si aggiunge un contesto familiare infelice che fa sembrare anche i genitori colpevoli del gesto estremo compiuto dalla ragazza. E questo, oltre a cozzare violentemente con quanto narrato nel libro (quest'ultimo infatti si fermava alla conclusione della prima), finisce per intaccare anche il ricordo della precedente stagione. A un lavoro praticamente perfetto, capace di far ignorare alcune pecche è seguito uno show decisamente inferiore, che cerca di emulare nelle modalità il proprio predecessore senza riuscirci. Sembra, insomma, che il grande incubo paventato da molti quando fu annunciata la seconda stagione si sia concretizzato: orfana del soggetto di Jay Asher, Tredici inizia a imbarcare acqua. Parecchia. Eppure, anche se detto ciò si potrebbe pensare che questa seconda stagione di Tredici sia un prodotto assolutamente mediocre, noioso e da evitare, in verità e realmente non lo è, o almeno non per tutti gli spettatori potrebbe esserlo.
Il racconto, nonostante delle evidenti lacune e qualche incongruenza sparsa qua e là riesce comunque a scorrere via abbastanza bene. La curiosità c'è, gli episodi si fanno guardare e tutto sommato la noia sembra restare alla porta, anche se la sensazione è quella di una spada di Damocle pronta a crollare e trafiggerci il cranio durante la visione. Infatti, la seconda stagione di Tredici è ben lungi dall'essere esente da difetti: se da una parte abbiamo infatti scene ed interpretazioni ben riuscite (il cast si è dimostrato nuovamente all'altezza di ciò che viene proposto, da Miles Heizer a Devin Druid, entrambi ben in grado di mostrare quelle potenti emozioni che proverebbero in una situazione reale, da Alisha Boe a Brandon Flynn, fino a Kate Walsh) e una colonna sonora che ancora una volta si conferma essere uno dei punti di forza della serie (la canzone "The night we met" nell'ultimo episodio porta indietro nel tempo non solo gli studenti della Liberty, ma anche gli spettatori, con non poca malinconia), dall'altro ci ritroviamo scene che hanno dell'inverosimile, poco convincenti sia livello interpretativo (e sì, mi riferisco ad un Dylan Minnette evidentemente una spanna al di sotto dei suoi colleghi) sia per quanto riguarda le dinamiche. Un esempio è quello di non aver sfruttato appieno alcuni eventi che avrebbero potuto costituire uno spunto interessante, l'altro la messa in scena di scene non proprio convincenti (era davvero necessario sfruttare le allucinazioni "fantasmino" di Clay per dare maggiore minutaggio a Katherine Langford?). Inoltre la lentezza con cui emerge quello che dovrebbe essere il tema portante di questa stagione, le fotografie (le similitudini con Life is Strange sono complete), è snervante, completamente diverso dall'incalzante ritmo delle cassette della stagione precedente. Non siamo ancora di fronte all'attesa di un evento lontano e quasi impercettibile, ma si tratta comunque di qualcosa con cui fare i conti. Altra nota dolente generale di tutta la stagione sono le tempistiche con cui si sono volute affrontare certe tematiche che, per la loro complessità, meritavano e avrebbero potuto avere uno sviluppo decente e ritmato al punto giusto.
Infatti, si nota un andamento sin troppo lento per le prime dieci puntate e una sterzata improvvisa nelle ultime tre, in cui si è cercato di risolvere le questioni tenute in sospeso fino ad allora, intavolando nuovi spunti per un'ipotetica terza stagione, con la conseguenza di aver accelerato il tutto, come se all'improvviso ci fossero sfuggiti dalle mani tutti gli ingredienti in un calderone non più in grado di contenerli. Prima su tutte la tematica delle armi e delle sparatorie, quasi tutta "risolta" da in una scena alquanto inverosimile alla fine di questa seconda stagione. Si è insomma a cospetto di un lavoro che sicuramente lascia un po' l'amaro in bocca, soprattutto a chi si aspettava una conferma o un miglioramento della serie che, pur nella sua incapacità di innovarsi, è ancora in grado di trattare argomenti estremamente delicati in maniera cruda (talvolta, come nel finale di stagione, troppo cruda) e realistica, almeno finché non sceglie di ammiccare un po' troppo verso il pubblico di teenager. E quindi avevamo bisogno di questa seconda stagione? Alla luce di ciò che hanno proposto, probabilmente non era indispensabile. Forse le cassette e i perché di Hannah bastavano, tuttavia quel che resta più di tutto non sono le incongruenze o i buchi di trama o l'irrealtà di alcune scene, ma la volontà di continuare a parlare di temi scomodi, attuali e sottovalutati. In alcuni casi poteva essere fatto meglio, in altri casi con modalità e tempistiche giuste, ma di certo resta la rabbia dello spettatore dinanzi a certi risvolti (molto più frequenti nella vita reale di ciò che spesso siamo disposti ad ammettere), rabbia di cui gli autori sono ben consapevoli e di cui ci chiedono di far tesoro per continuare a non tenere la bocca chiusa o la testa girata dall'altro lato. Ci resta la bellissima scena del ballo, in cui tutti i ragazzi, nonostante i problemi che attanagliano ognuno di loro, compiono finalmente un primo passo verso un futuro che non li figura più come "isole in mezzo al mare", ma li vede finalmente capire che certe cose le si possono affrontare insieme, ad amici, affetti, genitori, ognuno a modo loro e con le loro tempistiche, ma non da soli. Di certo ci resta la denuncia e il coraggio che da essa deriva, e queste sono cose che vanno oltre le cassette, le polaroid o qualsiasi altro elemento vintage (mancano le VHS) che vorranno inserire nell'inutile (questo sì) terza stagione. Voto: 7
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