venerdì 14 giugno 2019

X-Files (11a stagione)

Recensione pubblicata su Pietro Saba World il 10/05/2018 Qui - Dopo la (solo momentanea) conclusione con la nona annata nel 2002, la serie cult X-Files creata da Chris Carter era tornata nel 2016 con sei nuovi episodi, ora è nuovamente tornata con altri dieci episodi, due stagioni-evento che hanno riportato sul piccolo schermo le avventure degli agenti FBI Fox Mulder (David Duchovny) e Dana Scully (Gillian Anderson). Un ritorno che tuttavia non solo ha messo probabilmente il punto definitivo sulla serie (visto il finale e le notizie non proprio positive sugli ascolti e l'abbandono probabile della Anderson), ma che purtroppo si conclude nuovamente in modo frustrante, danneggiando in parte un'operazione non priva di pregi. Perché se anche nel complesso questa undicesima stagione diverte abbastanza, se questa dovesse essere la stagione finale viene quasi da pensare che si poteva evitare del tutto il revival. Giacché non solo questo nuovo X-Files è certamente qualcosa di molto diverso e, ahimè, inferiore, da quella in onda dal 1993 al 2002, che sostanzialmente aveva rivoluzionato la qualità delle serie tv, ma perché sia due anni fa che ora, una cosa è chiara, e cioè che con due stagioni ridotte come le due del revival di X-Files sarebbe stato difficile riprodurre l'alternanza di storie auto-conclusive e mitologiche che aveva sapientemente caratterizzato la serie di Chris Carter dalla sua prima trasmissione fino all'ultima. Era stato il punto debole della 10a stagione di due anni fa, che aveva visto i suoi momenti migliori nei quattro episodi dal secondo al quinto che separavano le due parti di My Struggle, e si è confermato in misura minore quest'anno. La stagione 11 di X-Files è infatti riuscita a mitigare questo problema, sia grazie ad un numero totale di episodi superiore alla precedente, da sei a dieci, sia per il modo in cui la storyline orizzontale è stata in qualche modo ripresa o citata anche in molti degli episodi standalone che hanno separato le parti tre e quattro di My Struggle, ovvero Memorie dal futuro e Il figlio perduto. Proprio quest'ultima, può rappresentare il vero finale della serie Fox andata in onda dal 29 gennaio al 2 aprile.
Il finale infatti, e in cui gli sceneggiatori anche questa volta hanno deciso di chiuderla con un cliffhanger, sembra tornare alla storia principale dando un senso a tutto, anche se dopo l'esperienza della scorsa stagione non si capisce se il tutto sia stato un sogno o una premonizione di Scully o se sia la realtà. Il tutto difatti rimane altamente confuso. Come confusa è la puntata che apre X-Files 11, ovvero My Struggle III, che si riallaccia direttamente ai due episodi con lo stesso titolo della decima stagione, annullando però del tutto quanto visto in My Struggle II e incentrando definitivamente la mitologia della serie (ovvero la linea narrativa orizzontale dedicata alla cospirazione aliena, da distinguersi rispetto agli episodi standalone) sulla ricerca da parte di Mulder e Scully del figlio William, dato in adozione 15 anni prima. Un episodio che apre l'annata davvero malamente, con un andamento impacciato e senza capo né coda. Mancano la finezza di sceneggiatura, la qualità tecnica e registica, lo stile autoriale che erano elementi distintivi della serie originale, senza contare il perfido colpo di scena finale che riguarda William e L'Uomo che fuma (William B. Davis). Anche perché sinceramente, seppur Mulder e Scully rimangono una delle coppie più belle ed efficaci della televisione americana, non solo ciò che accade intorno a loro continua a essere gestito in maniera discontinua, ma i buoni (talvolta ottimi) episodi auto-conclusivi collocati tra una prémiere e un finale contengono i peggiori istinti creativi di Chris Carter, ancora alle prese con una trama orizzontale che però non ha più motivo di esistere. Dopo 26 anni e 11 stagioni dopo l'inizio della serie, si può infatti con tutta serenità dire che la parte complottista di X-Files ha fatto il proprio tempo, anche se lo spirito di paranoia nei confronti delle istituzioni è più vivo che mai (e forse, proprio per questo, molto meno affascinante rispetto al passato), così come il punto di vista apocalittico di Mulder verso la scienza e la tecnologia. Ma Mulder non era un uomo del suo tempo neanche nella serie originale, e parte del fascino del suo personaggio era proprio radicata nel suo essere un outsider, nella sua ricerca di una "truth out there".
Una ricerca che però nella contemporaneità ha completamente perso di senso: la velocità del mondo contemporaneo, la messa in dubbio di ogni realtà e di ogni competenza sono andati così oltre qualunque dubbio Mulder potesse avere negli anni '90 da rendere la ricerca di segreti nascosti sotto la superficie delle cose uno standard universale all'interno del quale gli X-Files, forse, non hanno nemmeno più senso di esistere. Tuttavia, e nonostante ciò e tutto, non posso fare a meno di consigliarne la visione. Giacché dopo un inizio leggermente imbarazzante e lontano anni luce anche dai più stanchi episodi mitologici delle altre stagioni precedenti, fortunatamente, le cose cambiano con il terzo episodio: da questo momento, per quanto comunque e probabilmente inferiore rispetto ai tempi d'oro, questa undicesima stagione regalerà non pochi guizzi interessanti. Perché non solo l'inizio, ma anche la seconda puntata, l'altrettanta confusa standalone This (Simulazione, che ripropone tuttavia la villain già vista in My Struggle III, la Erika Price interpretata comunque da un'efficace Barbara Hershey) non aiuta ad allontanare la tentazione di abbandonare la visione. Dopo un inizio action che onestamente c'entra davvero poco con lo stile della serie, la trama vira verso una nuova fenomenologia complottistica che vede l'Fbi alleata ad agenzie private dai metodi a dir poco criminali e l'esistenza di un'arcana realtà virtuale alternativa creata dai nuovi cattivoni che cospirano nell'ombra. Sostanzialmente incomprensibile, This se non altro ha forse il pregio di far tornare "in vita" un vecchio amico dei Pistoleri Solitari, di parlare di un argomento molto attuale come la sorveglianza dei cittadini americani da parte dell'Nsa (con la location dell'autentico Titanpointe, il grattacielo-spia citato da, e dal film omonimo, Snowden) e di regalare una chicca ai fan, quale la rivelazione dell'identità del celebre informatore di Mulder, Gola Profonda. Ma è In Plus One (Doppioni) in cui Mulder e Scully sono finalmente impegnati in una vera e propria indagine old style nell'inquietante mondo della provincia americana (che tradizionalmente fa da sfondo alla serie) a dare "vivacità" alla serie.
Al centro c'è l'elemento del "doppelgänger", con una serie di morti misteriose connesse a una coppia di gemelli, uomo e donna, che a loro volta si sdoppiano nei rispettivi duplicati malvagi. Un episodio non perfetto eppure affascinante, soprattutto per la parentesi "romantica" che risolve finalmente i rapporti tra i due protagonisti. Uno dei punti più alti della stagione è poi raggiunto (grazie certamente alla verve ironica e sarcastica dello sceneggiatore) in The Lost Art of Forehead Sweat. Superiore al già divertente Mulder & Scully Meet the Were-Monster (La lucertola mannara) della decima stagione, questo episodio è infatti un fantastico e complicatissimo puzzle giocato intorno all'Effetto Mandela (di cui il buon Moz è un esperto), il fenomeno per cui alcune persone condividono ricordi leggermente alterati di fatti reali (una distorsione della memoria collettiva che, secondo qualcuno, proverebbe l'esistenza di universi paralleli). Forse indirizzato a un pubblico di conoscitori della serie, The Lost Art è tuttavia un eccezionale instant cult, una girandola infinita di citazioni e autocitazioni che riscrive l'intera storia di Mulder e Scully con l'inserimento del folle Reggie (Brian Huskey) e l'utilizzo di spezzoni dei vecchi episodi modificati con il digital composing. Da Ai confini della realtà a Ultimatum alla Terra, i riferimenti al genere sci-fi si sprecano ed è indubbia la potenza visiva dell'episodio. Si cambia completamente con il quinto episodio Ghouli, finalmente incentrato sulla figura del figlio William (interpretato da Miles Robbins) che scopriamo dotato di poteri molto speciali. Narrativamente decisivo ma non eccelso, con una svolta probabilmente discutibile agli occhi dei fan, Ghouli merita però di essere ricordato per la sua natura ibrida: parte come uno standalone sul classico "Monster of the Week" per poi svelare la sua appartenenza al filone mitologico. Segue Kitten, episodio incentrato sulla figura di Walter Skinner (Mitch Pileggi), capo di Mulder e Scully e loro alleato (spesso ambiguo, come vedremo durante la storyline).
Una puntata che con la partecipazione di Haley Joel Osment, è una riflessione critica (e in cui non mancano momenti suggestivi) sul grande rimosso della storia americana, ovvero la guerra in Vietnam. Veniamo quindi all'episodio decisamente più riuscito: Rm9sbG93ZXJz (IA), che incredibilmente sembra essere, al contrario di quella parte complottista di X-Files che dovrebbe aver fatto appunto il proprio tempo soprattutto in questi tempi, di stretta attualità. Oggettivamente, un finissimo gioiellino d'autore di perturbante efficacia sulla "rivolta delle macchine" e sulle implicazioni aberranti della tecnologia (non di un remoto futuro, ma quella che ci accompagna già oggi). È la fantascienza distopica e realista in cui negli ultimi anni l'ha fatta da padrone la serie cult Black Mirror, non solo per l'inquietudine mista a ironia, ma soprattutto per il suo sperimentalismo radicale, dato che IA (che mantiene inalterato lo spirito della serie a cui si ispira, anche se infinitamente meno retorico rispetto allo show di Charlie Brooker e senza nessuna finalità morale o educativa) è quasi interamente privo di dialoghi e costruito in tempo reale. Al contrario di Black Mirror, infatti, che è una serie antologica tout court con un punto di vista unico, X-Files (senza la quale peraltro Black Mirror non sarebbe neppure esistita) ha l'indubbio vantaggio di presentare questi temi con la cornice orizzontale di due personaggi che non solo hanno caratterizzazioni forti e godono dell'affetto del pubblico, ma mostrano anche una duplice ottica verso il problema che rende di conseguenza l'approccio della serie meno monolitico, meno scolastico, più ricco di sfumature. Il legame tra Mulder e Scully e il loro passato, presente e futuro resta quindi il grande collante della serie, su cui l'undicesima stagione punta moltissimo non solo come filo conduttore emotivo, ma anche come base narrativa sulla quale improvvisare una serie di episodi che da una parte rafforzano la mitologia, aggiornandola al presente, ma dall'altra non si pongono mai il problema della coerenza e del realismo.
La capacità di leggere la realtà contemporanea così come quella di intercettare i recenti modelli cinematografici e televisivi è indubbia in X-Files 11, come ribadisce Familiar (Caccia alle streghe), che parte con un evidente omaggio a It ma, dietro a una storia di bambini barbaramente uccisi e arcani incantesimi di magia nera, sottende una più concreta critica al giustizialismo cieco della società americana. C'è da chiedersi dove sia finita la suspense e l'orrore puro cui la serie di Chris Carter ci aveva abituati, ma in Familiar non mancano trovate visive agghiaccianti: in primis i paradossali pupazzi idolatrati dai bimbi, Mr. Chuckleteeth (con tanto di canzoncina in stile Profondo rosso) e i Bibble Tickles, terrificanti sosia dei (già di per sé inquietanti) Teletubbies. Ci si avvicina alla conclusione con Nothing Lasts Forever (Niente dura per sempre), l'episodio decisamente più splatter. Il tema è l'ossessione per la bellezza e l'eterna giovinezza, incarnato da una setta di abulici cannibali che eliminano le proprie deformità nutrendosi di sangue e organi umani, guidata da un'estrosa attrice e da un folle chirurgo. Davvero raccapricciante e fascinoso al tempo stesso, con due guest, Fiona Vroom e Jere Burns, efficaci. Infine, My Struggle IV chiude il cerchio (per sempre o c'è la possibilità di una dodicesima stagione questo ancora non si sa, nonostante appunto le notizie non proprie positive di cui ho accennato all'inizio e che trovano parzialmente riscontro dopo questa mia "freddina" recensione). In ogni caso in questa puntata, finalmente conosciamo davvero le potenzialità di William e finalmente Mulder e Scully ne portano a termine la ricerca. Il finale, com'era da prevedersi, è aperto, per nulla risolto e (ancora) con un colpo di scena tutt'altro che convincente. Poiché a parte la discutibile dipartita di alcuni personaggi, tutto si chiude in fretta e in modo troppo approssimativo.
Così tanto che per questo motivo, si può ritenere ed è meglio pensare che il vero finale di X-Files 11 sia in quel momento d'amore di Nothing Lasts Forever che vede Mulder e Scully in chiesa, davanti alle candele, spiegarsi una volta per tutte qual è il legame che li unisce. Con lei che gli sussurra all'orecchio parole che a noi non è concesso sentire (come in In the Mood for Love?), ma che non smetteremo di immaginare. Questo per ribadire ancora una volta che a funzionare meglio sono stati gli episodi standalone, che furono uno dei punti di forza della decima stagione e che qui si confermano il mezzo più intelligente per sviluppare trama e caratteri, aggiornare l'universo di riferimento e sviluppare la trama senza bisogno di twist sconvolgenti o sforzi disumani alla ricerca del big moment. Anche perché, ad esser obbiettivi e trovandoci in un mondo completamente diverso da quello immaginato a cavallo degli anni 2000, non c'era una vera giustificazione per riportare in tv X-Files senza un progetto creativamente forte alla base (se non diverso da quel clima complottista che sembra esser ormai "concluso"), quindi il massimo che si poteva sperare era una serie di episodi divertenti e inaspettati, che dessero un senso al progetto "mercenario" quale è spesso, a conti fatti, un revival: questo è indubbiamente successo, e abbiamo avuto una serie di storie interessanti, brillanti, in un paio di casi straordinarie. Ma se l'obiettivo del creatore è quello di continuare a tenere in vita lo show anche senza Scully, sarà necessario fare ben di più. Perché sì, per il momento, si può dire che questo pazzo, pazzo revival ci ha regalato comunque molto di più di quello che ci saremmo aspettati, e se fosse stato in grado di buttare via con più decisione quello che non funziona più, avrebbe senza dubbio sfiorato il capolavoro. Dopotutto in questa seconda stagione, a parte appunto gli errori narrativi e tematici, la qualità non è stata mai in dubbio, con una sigla nostalgica sempre eccezionale, una colonna sonora efficace e soprattutto interpretazioni di tutto il cast ottimi e quasi senza sbavature. Ed è solo per questo che il giudizio è, nonostante tutto, perlopiù positivo. Voto: 7-

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