Recensione pubblicata su Pietro Saba World il 04/10/2017 Qui - Ho aspettato forse troppo a vedere la terza stagione di Black Mirror, la serie antologica che ho adorato nelle precedenti due incarnazioni e che Netflix ha preso in mano producendo ben sei nuovi episodi, ma l'attesa è stata ripagata. Perché la serie tv britannica sulla distopia tecnologica creata da Charlie Brooker, ha nuovamente fatto centro, inquietando, divertendo e facendo riflettere, anche meglio e più che nelle precedenti stagioni. La serie infatti ci costringe a fare i conti con la nostra realtà, un vero e proprio pugno nello stomaco che ti lascia al tappeto. Sedersi davanti ad una puntata di Black Mirror difatti, assicura allo spettatore, dalla prima ignaro e poi avvezzo, che dopo un'ora di visione, prima di alzarsi, dovrà spendere 10 minuti buoni a riprendere fiato e raccogliere l'ammasso di budella che gli si sono lentamente colate ai piedi per la tragicità degli eventi che hanno travolto i caratteri in scena. Giacché anche Black Mirror 3 si preoccupa di mostrare l'ignoranza, la pericolosità e l'importanza dell'essere umano di fronte a quelli che sono i nuovi mezzi tecnologici. Un essere umano vulnerabile, apparentemente innocente, ma che al suo interno può celare i misteri più oscuri. Dopotutto la serie non si pone mai in maniera critica nei confronti della tecnologia in sé, ma piuttosto ci mostra come un singolo individuo possa abusare di tali strumenti o trovarsi completamente soggiogato ad essi. Fin dalla sua prima puntata (e via via tutte le altre comprese queste sei) è risultato chiaro difatti come l'intento autoriale fosse quello di esplorare il rapporto tra uomo e tecnologia. Ognuna delle puntate infatti analizza e sviscera una tecnologia (in un paio di occasioni estremamente velata) che nella contemporaneità tutti possiamo concepire o, quantomeno, comprendere. Puntate, sei episodi stand-alone (tutte auto-conclusive e totalmente sconnesse tra loro come format ormai consolidato) di circa un'ora (con eccezione dell'ultimo episodio che è praticamente un film di 90 minuti) che ci raccontano appunto sei diverse vite, sei diversi mondi soggiogati dall'abuso della tecnologia. Sei episodi così incredibili, originali e spiazzanti, su ognuno dei quali, credetemi, si potrebbe parlare per decine di articoli (soprattutto uno), ma mi limiterò a dei soli giudizi tecnici e personali, anche se molto comunque c'è da dire e dirò.
Davvero eccezionale è la prima puntata Caduta Libera (che è un'inquietante parodia degli schiavi dei social network), un episodio soffocante ed intelligente, che mette ogni spettatore con le spalle al muro sbattendogli in faccia la triste realtà. Tanto che, terminato questo capitolo ho avuto una certa riluttanza nei confronti del mio cellulare e del mio computer. Purtroppo, però, è durata soltanto una giornata. Ed è proprio questa la morale terribile e preoccupante della storia. Ci troviamo infatti in un mondo in cui ogni persona viene classificata in base a un voto da una o cinque stelle. Qui vive un impiegata, interpretata in maniera veramente ottima (come riscontrato ne Il drago invisibile) dalla bella e sorridente Bryce Dallas Howard e che vedrà nel matrimonio di una sua amica (l'altrettanto bella Alice Eve), un'ottima opportunità per raggiungere il ranking ideale definitivo, ma ovviamente non tutto andrà secondo i piani e qualcosa nel finale (comunque leggermente troppo buonista e poco coraggioso) scombinerà (in meglio o in peggio dipende da punti di vista, il suo e il nostro) la sua vita. La puntata ben presto si rivelerà infatti una "satira" sull'accettazione, sulla consapevolezza della nostra immagine e su quanto le nostre vite, noiose e ripetitive, possano diventare "apparentemente" accettevoli e felici al mondo odierno. Accompagnato da un'ottima messa in scena, diretta da Joe Wright, Caduta Libera risulta quindi in fin dei conti un episodio ben fatto e che offre numerosi spunti di riflessione. (Voto episodio 8/10)
Anch'esso intelligente, anche se poco convincente (soprattutto per il finale leggermente poco incisivo, non del tutto "conclusivo" nonché non del tutto spiegato) è Giochi Pericolosi, che è molto horror non tanto per ciò che vediamo su schermo quanto per l'idea che la realtà virtuale (sono già in commercio visori e giochi VR) possa friggerci il cervello. L'episodio infatti ci racconta di un viaggiatore di nome Cooper (Wyatt Russell) che, dopo aver conosciuto una giovane donna, aver viaggiato per il mondo e aver finito i soldi, per racimolare il denaro necessario, utile per tornare a casa e sistemare quelli che sono i suoi problemi famigliari, decide di accettare un lavoro, diventando un beta tester per un videogioco che sfrutta la realtà virtuale, ma quella che sembrava una passeggiata si rivelerà un incubo. Qui la serie inizia difatti a spingere sui dei toni decisamente orrorifici. Una storia che può ricordare moltissimo quel discreto film Existenz e che fa gelare il sangue per quanto sia profondamente attuale. Giacché la storia mette in mostra il disorientamento dell'essere umano di fronte a quello che può essere reale oppure no. La situazione è decisamente claustrofobica e Brooker gioca ripetutamente con gli elementi per arrivare a un finale (seppur non eccezionale come anche l'episodio) costruito nei minimi dettagli (anche grazie ad effetti speciali discreti). L'episodio poi è diretto da Dan Trachtenberg, regista di quel piccolo gioiellino che è 10 Cloverfield Lane, perciò non fatevi prendere dal panico, ma soprattutto durante la visione siete pregati di spegnere i cellulari (solo vedendolo capirete il perché). (Voto episodio 7+/10)
Molto thriller adrenalinico (e anche claustrofobico per come strozza le possibilità del protagonista), sconvolgente e crudo è invece Zitto e Balla. Questo terzo episodio infatti, incentrato sul cyberbullismo e il ricatto e la paura di finire sulla gogna mediatica, con un tristissimo, amarissimo finale (comunque perfettamente calzante per un episodio di Black Mirror) è davvero eccezionale. Perché questo episodio, uno dei migliori di questa stagione, che narra le vicende di un ragazzo (e un uomo maturo, interpretato da Jerome Flynn de Il trono di spade) che dopo aver visto del materiale pornografico viene ricattato da degli individui anonimi e che se non obbedisce agli ordini il suo video viene caricato e postato su tutti i social network, trasmette davvero angoscia e inquietudine, anche grazie alla caratterizzazione (da parte del creatore Charlie Brooker) dei personaggi molto funzionale ed efficace. La serie infatti ci riesce così bene da farti affezionare ad ogni singolo individuo. Percepisci le sue ansie, ricevi le sue gioie, ma anche i pugni nello stomaco, perché tutto spiazza, un po' disturba e sconvolge. Il finale di questo episodio poi ci lascia letteralmente a bocca aperta e probabilmente non saprete più cosa pensare. Vi sentirete sporchi dentro e partecipi dell'accaduto. Una delle vette più alte di questa meravigliosa serie. (Voto episodio 8/10)
La vetta più grande, probabilmente mai raggiunta, è però il quarto episodio, intitolato San Jupitero. Un episodio che rappresenta un caso unico nella storia di Black Mirror (non c'è posto per la cattiveria e lo shock), per la prima volta infatti la tecnologia non è nemica o invasiva, ma la si potrebbe considerare come il frutto di una nuova concezione "metafisica" della scienza, capace di creare una risposta alla domanda che l'uomo si pone dall'alba dei tempi, cosa c'è dopo la morte. Ed proprio per ciò che questo episodio (vincitore agli ultimi Emmy Awards di due premi) assume contorni speciali, geniali ed autentici. L'episodio è infatti ottimamente scritto e interpretato, è drammatico e romantico e appassionante e molto commovente nel finale. D'altronde la storia (una riflessione su quanto oggi sia davvero difficile scendere a patto con noi stessi) di cui di vi sto parlando è veramente particolare, e devo essere sincero, mi è difficile parlarne. Perché anche se a prima vista, San Junipero racconta quella che sembra una storia d'amore, quella delle due protagoniste che dopo un'incontro casuale andranno ben oltre a una semplice amicizia, a ben pensarci le tematiche poste in essere riguardano la possibilità di creare artificialmente la vita, l'amore e la felicità, e se queste creazioni possono essere paragonabili alla vita vera. Giacché a San Jupitero, una sorta di al di là computerizzato dove, chi sta per morire, può scegliere di andare, grazie ad un programma tecnologico che, appunto, simula la vita dopo la morte, dove ci si può divertire, ci si può innamorare, e si può vivere per sempre, nella realtà che più ti aggrada. Un uso della fantascienza insomma che ricorda film come Se Mi Lasci Ti Cancello, ossia un low sci-fi che non invade la vita umana ma si inserisce nel tessuto sociale, portando lo spettatore a porsi domande che esulano dalla storia narrata. Può esistere ancora un senso alla vita se questa non può materialmente essere vissuta per malattie o impedimenti fisici? Quanto possiamo essere definiti ingordi se non ci accontentiamo di quanto avuto in vita ma vogliamo essere felici per l'eternità? Siamo forse da condannare per il nostro desiderio di vivere in eterno con la persona amata? Dietro la storia di San Junipero si nascondono infatti queste domande che rendono quest'episodio una bellissima variazione sul tema, oltre che una delle puntate meglio realizzate di sempre, grazie alle scelte registiche (anche di interpreti) e (soprattutto) musicali. D'altronde una delle particolarità maggiori di questa stupenda puntata è la scelta di ambientare il tutto in quell'atmosfera sognante degli anni '80, che ti avvolge e non ti lascia mai (tanto che se dovrei scegliere un periodo, quello sarebbe l'ideale). E lei, la bella Mackenzie Davis (che è nel cast Blade Runner 2049 di Denis Villenueve e recentemente apprezzata in Scherzi della natura), è perfetta per il ruolo anche perché indossa alla perfezione tutti i look con i quali i costumisti la vestono (poiché la realtà di San Jupitero oscilla continuamente tra anni '80, anni '90 e nuovo millennio, e lei veste con eleganza e sensualità ogni tipo di moda). Insomma qualcosa di veramente straordinario, perché finita la visione ci sentiamo scossi nel profondo, turbati dall'emotività che trasmette questa puntata dalla bellezza spietata. Unica nel suo genere, si discosta dalle altre più "fredde e cattive", si erge a testamento religioso, etico e morale, e ti rimane in testa per un po' di giorni. (Voto episodio 10/10)
Deludente anche se molto tenebroso (e pochino sconcertante) è invece lo sci-fi Gli Uomini e il Fuoco, dato che dietro la patina del genere bellico fantascientifico nasconde una vena filosofica molto potente, con questo "velo di Maya" che nel finale viene sollevato mettendo il protagonista davanti ad un'orribile scelta morale. Poiché dopo uno scontro a fuoco con delle creature chiamate "i parassiti", un soldato inizia ad essere tormentato da degli strani sogni e da un oggetto non identificato. Le sensazioni così diventano sempre più sconosciute e la verità quindi (sconvolgente ed amarissima) verrà presto a galla. Ma come detto, nonostante esso abbia una storia veramente interessante, questo episodio manca di ritmo. Il protagonista manca di una e vera propria caratterizzazione e lo spettatore si affeziona difficilmente al personaggio, anche perché seppur la tematica è efficace, il finale pure, rimane quell'amaro in bocca che non ti aspetteresti mai. Anche nonostante la presenza di due discreti attori, Michael Kelly e Sarah Snook, che cercano di creare tensione e suspense senza riuscirci. Uno degli episodi più deboli dell'intera serie insomma, anche se per l'argomento, la discreta resa e un'intrigante elemento la sufficienza è pienamente raggiunta. (Voto episodio 7/10)
La stagione si chiude con un giallo, un'incalzante ultimo episodio, Odio Universale, affascinante nella impostazione e nei dialoghi, Charlie Brooker riesce a creare una storia che per novanta minuti non annoia mai e lascia lo spettatore in tensione. L'ultima puntata della serie affronta infatti il tema della privacy, ma soprattutto della gogna mediatica che, anche nella realtà, è in grado di uccidere. Dato che l'episodio racconta della caccia (da parte di un'esperta detective, la Kelly Macdonald della serie Boardwalk Empire, e del suo braccio destro) ad un serial killer che agisce attraverso i social e gli hashtag colpendo i personaggi pubblici più disprezzati dalla community dei social network in un mondo in cui le api si sono estinte e l'ecosistema si basa su api-droni che forse il serial killer, in qualche modo, riuscirà ad hackerare e di cui prenderà il controllo, controllo che utilizzerà per compiere qualcosa di agghiacciante. Un sospetto continuo e una rappresentazione lampante insomma di come i social network abbiano reso insensibile l'essere umano, tanto che la chiusura di stagione ci costringe a guardare dentro di noi, ad imbarazzarci ed impaurirci. Nulla di straordinario, ma una degna conclusione, anche se Odio Universale, seppur interessante, pecca forse di voler mettere troppa carne al fuoco, sono lodevoli i tentativi di descrivere un mondo mostrandolo e non raccontandolo e i contorni biblici e apocalittici della vicenda sono notevoli, ma nonostante la puntata sia la più lunga tra quelle mandate in onda il finale non rende davvero giustizia alla storia narrata, risultando affrettato e privandolo di una dimensione conclusiva, provando ad assumere dei toni moralistici che purtroppo non convincono, dando l'impressione di una storia troncata appena prima di avere una degna conclusione. In ogni caso però chiusura davvero efficace ed imperdibile. (Voto episodio 8/10)
La terza stagione quindi, segmento di una serie che nel complesso si impone come portatrice di qualità ben superiore alla media dei prodotti da piccolo schermo, che si inserisce nei binari tracciati dalle due precedenti con grande eleganza, ancora una volta fa centro. Giacché in generale, la terza stagione è assolutamente sorprendente. Come detto non è esente da difetti, non tutti gli episodi sono perfetti, ma una volta finita sarete già in trepida attesa e ne vorrete ancora di più. Con questa stagione Black Mirror è infatti riuscita a far parlare di nuovo di sé sfruttando un tema che rischiava un precoce esaurimento, mostrandosi capace di rinnovarsi e soprattutto di essere incredibilmente attuale, portando la riflessione sulla tecnologia a livelli di realtà che raramente vengono visti in televisione. Netflix difatti (che ci regala sei favole nere, tutte con una loro morale e chiavi di lettura piene di raziocinio), ha intelligentemente improntato le sei puntate all'idea che il futuro sia già qui, oggi, e che non serva "inventare" tecnologie originali, ma basti eccedere con quelle attuali. Ma la cosa incredibile di questa serie è la fantasia oscura con la quale lo sceneggiatore e creatore Charlie Brooker partorisce storie sempre differenti e sempre interessanti, e la varietà di situazioni e di mondi paralleli al nostro (del quale sono sempre e comunque un'immagine distorta) così autentici sono i veri punti di forza di una serie che, ad ogni puntata, disarma completamente lo spettatore mandandolo incontro ad un destino incerto, del quale non sappiamo niente perché ogni volta, finito un episodio, in quello successivo siamo dinanzi a qualcosa di totalmente nuovo e inedito. Egli infatti che si dimostra uno degli sceneggiatori più interessanti degli ultimi anni, tanto che anch'io non vedo l'ora di vedere le prossime stagioni (perché di stupire mai credo finirà), la quarta poi è quasi pronta e vedrà prestissimo la luce entro la fine d'anno, e sarà sempre targata Netflix, cosicché la vedrò tardivamente non avendo a disposizione la piattaforma. Ma con i mezzi tecnologici a disposizione un modo certamente troverò, come ho fatto con questa stagione di questa eccezionale serie che ogni volta fa vivere emozioni e riflessioni che mai nessun'altra riuscirà probabilmente mai a fare. Voto complessivo: 8
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