Recensione pubblicata su Pietro Saba World il 24/05/2018 Qui - Ne avevo sentito parlare un po' di tempo fa di questa serie, The OA, serie Netflix del 2016 che, a quanto pare all'epoca, poco più di un anno fa, divise pubblico e critica, tra chi lo riteneva un ottimo prodotto e chi pessimo. E non potendo sapere perciò chi avesse ragione l'ho inserito in lista, e una settimana in cui non avevo serie da cominciare, l'ho finalmente recuperata. Ma era meglio se non l'avessi fatto, perché mai come in questo caso non può esserci una via di mezzo (perché avevano ragione in entrambi i casi, dato che se prende va bene altrimenti nisba), o la si ama o la si odia, e io purtroppo ho propeso per la seconda opzione. Poiché anche se senza dubbio è un'esperienza televisiva che va vissuta per trarre personalmente le proprie conclusioni, siamo di fronte ad un prodotto confuso e a tratti noioso. Proprio perché in questa serie, praticamente impossibile da riassumere e spiegare, c'è la sensazione di non aver capito niente, sensazione che si mantiene salda nel corso di tutte le puntate, e si solidifica con l'ultimo (strano) episodio, un episodio che alla fine (ma di cui ne riparleremo dopo) spiazza e imbarazza. Tanto che, l'unica cosa positiva è che quando ciò arriva, provoca un gran bel sollievo. E non credo fosse questo l'intento di Netflix e dei suoi creatori Brit Marling (che interpreta l'insopportabile protagonista) e Zal Batmanglij. Un po' Stranger Things (ma solo per una singolare similitudine), un po' Les Revenants, un po' Lost, un po' Black Mirror, un po' The Leftlovers ma soprattutto una sciocchezza incredibile, sicuramente una delle peggiori produzioni targate Netflix che abbia fin qui visto, perché nel tentativo di proporre un qualcosa di difficilmente classificabile ha sfornato una frittata (personalmente) del tutto indigesta. Sì perché proprio su questo mix di generi, su quest'esperienza che lo spettatore deve decifrare, su quel qualcosa di mai visto, su cui fan e i critici ho letto dibattersi in positivo, che alla fine le (comunque buone) premesse s'infrangono.
La serie effettivamente le prova tutte per risultare originale, anche nel formato: titoli di testa a metà puntata (con un lunghissimo e anche faticoso prologo, che non vuole essere particolarmente accattivante, ma che si prende tutto il proprio tempo, anche troppo, avvicinandosi con lentezza ai personaggi), durata degli episodi sempre differenti (dai settanta minuti della prima, ai trenta dell'ultima) etc.., ma il problema fondamentale è un altro: una trama e una sceneggiatura abbastanza ridicola e indecifrabile, anche troppo. Nonostante in verità una trama all'inizio, scorrevole, semplice e d'impatto (e allo stesso tempo misteriosa e che invoglia lo spettatore a proseguire anche senza la presenza di grandi colpi di scena), e una premessa quanto mai interessante, dato che, seppur momenti più thriller della serie ci riportano bruscamente ad una realtà più crudele ed umana, in alcuni momenti si ha quasi l'impressione di star assistendo ad una favola, una bella favola della buonanotte. La racconto brevemente di seguito senza entrare però nei particolari, ma dando un quadro generale: la storia è quella di Praire Johnson, scomparsa per molti anni che, all'improvviso e senza spiegazione, torna a casa. Ad aumentare l'incredulità di quanti la riaccolgono nelle loro vite il fatto che al momento della scomparsa la ragazza fosse cieca (aveva perso la vista da bambina, dopo un incidente in seguito al quale aveva avuto un'esperienza di pre-morte), mentre al suo ritorno ha riacquistato la vista. Dopo un iniziale momento di sbandamento, in famiglia si cerca faticosamente di ricostruire un equilibrio difficilmente recuperabile. Intanto, Praire (che farnetica di chiamarsi OA e che ha una serie di strane cicatrici sulla schiena) decide di raccontare la sua vicenda ad gruppo improbabile di persone reclutato in maniera davvero singolare. Qui inizia un racconto per flashback (sono presenti difatti due linee narrative: quella principale ambientata dopo il ritorno a casa della protagonista e quella relativa al racconto della sua vita, a partire dall'infanzia fino ad arrivare ai sette anni di sparizione), che ci mostra cosa è accaduto.
E' accaduto che era stata circuita da un medico/scienziato che rapisce persone che hanno avuto esperienze di pre-morte, per studiarle come topi da laboratorio. Ed è qui che comincia il vero divertimento (la confusione), infatti a rendere più complessa la trama sono vari elementi scientifici e metafisici che si fondono tra loro a creare la base su cui poggia l'intera vicenda, una vicenda che tuttavia tra passaggi incomprensibili, fantascienza, new age, angeli, uno spirito guida che sembra la zingara di Luna Park (quella della Luna nera), ci trasporta in un polpettone inimmaginabile e difficilmente descrivibile a chi abbia avuto l'enorme fortuna di non vederlo. Infatti a partire dal primo episodio ci troviamo di fronte ad un pastiche di generi e contaminazioni senza eguali, dal thriller all'horror claustrofobico, sconfinando volentieri nel racconto di formazione, senza disdegnare l'inserimento di elementi mistici e fantascientifici, ma indubbiamente troppo surreale e strano. Tuttavia in tal senso niente di nuovo, giacché facendo un piccolo esercizio di archeologia con i nomi alle spalle del progetto, possiamo scovarli all'interno del cinema indipendente americano (la Brit Marling ha vinto dei premi al Sundance) e, soprattutto, in calce ad "atopiche" produzioni che mescolano sci-fi, filosofia e una certa dose di surrealismo (Zal Batmanglij è il regista di The East e Sound of My Voice). E quindi visivamente e narrativamente ci troviamo di fronte a un racconto freddo e distaccato al pari dei suoi protagonisti, spesso anche volti "non particolarmente televisivi" dalle motivazioni e dal vissuto poco interessanti. Che forse saranno importanti (lo sono almeno così sembrerebbe) per la trama, o forse no. Difficile capire cosa lo sia realmente in questa serie molto respingente. Serie che perciò, complice anche la lunga durata, si perde nella propria astrattezza, con un ritmo volutamente, ma troppo, basso. Senza dimenticare che buchi di sceneggiatura, elementi che non tornano e le soluzioni assolutamente non credibili difettano il prodotto.
Difetti così tanto evidenti che per approcciare The OA, bisogna addirittura e fondamentale essere avvezzi e disposti ad un continuo esercizio di sospensione dell'incredulità, mettere la plausibilità in secondo piano praticamente, per poter apprezzare gli aspetti più stimolanti (pochi) di The OA. Innanzitutto una commistione di generi di tale portata è una novità da non sottovalutare, tuttavia, sull'effettiva riuscita di questo esperimento (non privo di un'identità propria ma ricordando appunto altro, è proprio quella che sfugge a un giudizio definitivo) c'è purtroppo qualcosa da dire dal momento che, ad uno sguardo meno superficiale, che si distacchi criticamente dalla momentanea tensione indotta dal racconto, lo show si rivela un calderone traboccante di spunti e citazioni che fremono e si dibattono, costretti ad un'ingrata convivenza senza potersi integrare fra loro. In secondo luogo la varietà delle tematiche trattate (non ultimo l'atavico interrogativo sulla morte e sull'aldilà) accompagnata alle massicce iniezioni di mistero solleticano, allettanti, l'immaginario dello spettatore e non falliscono nel tenerlo avvinto di fronte al dipanarsi dell'intreccio. Prairie, oltre ad essere narratrice di una parte del racconto, è il punto focale da cui scaturiscono gli sconvolgimenti successivi, è l'entità "mitopoietica", nel bene e nel male, di The OA. Gli altri personaggi, di conseguenza, appaiono mestamente costruiti in relazione alla loro funzione all'interno dell'economia del racconto. Qualsiasi pretesa di profondità è rifiutata in maniera programmatica e ciò diventa evidente nel momento in cui "i cinque" si rivelano essere la "reincarnazione" dei compagni di prigionia di Prairie, ogni sussulto di originalità viene soffocato sul nascere e i tentativi poco convinti di costruzione di background falliscono a priori.
In appendice a tutto ciò abbiamo una serie di avvenimenti non commentabili razionalmente (a partire dalle spassose esibizioni di yoga-pilates dai poteri taumaturgici) che sembrano rovesciati nel mezzo dell'intreccio dopo essere stati partoriti da un sogno particolarmente vivido e che, solo nel finale, vengono corredati dalla parvenza di una spiegazione. Spiegazione che in verità non c'è (dopotutto i creatori dello show fanno di tutto affinché non otteniamo mai le risposte che vorremmo cercare e quindi trovare), o che al massimo è quasi una forzatura (anche se certamente e/o intenzionalmente ambiguo). Non solo perché piccoli indizi (che fanno credere che OA, abbia inventato tutto ai 5) lasciano un enorme dubbio sulla veridicità del racconto di Prairie, ma perché nell'auto-conclusivo finale (una scena finale comunque bellissima ma al tempo stesso imbarazzante, perché sembra solo che i movimenti insegnati dall'Angelo che dovevano aprire un varco inter-dimensionale o simile, servano "solo" a distrarre il solito ragazzino "difficile" di uno dei tanti licei statunitensi che vuole fare la solita "strage"), molte cose sono sospette. Per questo, The OA può essere amata, odiata, come può essere non compresa. A rendersi inafferrabile è la continua sensazione di essere come presi in giro, in sospensione, salvo poi ripiombare in uno stato ipnotico, ansiosi di vedere dove conduce la storia di Prairie, purtroppo a niente. Anche se comunque la speranza che dietro le voragini narrative (la figura di Rachel e il perché dello psicologo dell'FBI) e le evidenti lacune si nasconda un progetto più ampio (e teorie in questa direzione stanno iniziando a comparire, sperando che non si tratti di una semplice suggestione) e che quindi possa essere esplicitato da un'eventuale prosecuzione futura c'è, sperando ovviamente che le risposte poi arriveranno.
Ma nel frattempo e in ogni caso però, e per questa prima stagione il giudizio è negativo, io infatti non credo (perché come dice la protagonista devi fidarti di quello che ti dico) alla storia raccontata da OA. Tuttavia è comunque giusto sottolineare in ogni caso le cose buone della serie, serie che dal punto di vista tecnico è sicuramente un serie di buon livello: la regia è pulita ed efficace, le scenografie semplici quanto curate e gli effetti speciali sono utilizzati con parsimonia, ma in modo sapiente. La luce, tema ricorrente all'interno della serie, viene in particolare sfruttata per ottenere gradevoli effetti visivi senza ricorrere a CGI. La colonna sonora che accompagna la serie è davvero buona, soprattutto il tema orchestrale principale, composto dal fratello del co-regista iraniano, che risulta molto azzeccato nell'accompagnare i titoli di testa e la scena finale. Infine la recitazione è in generale di buon livello, perché anche se insopportabile è la protagonista, buona è la performance di Alexandra Brittany Marling. Non dimenticando un cinico e credibile Jason Isaacs (nel ruolo di uno scienziato il cui vero nome resta sconosciuto), che sembra ricalcare in parte il ruolo de La cura dal benessere. Questi pregi però son niente in confronto ai difetti, tra cui, rimanendo in ambito attoriale, lo sprecato Scott Wilson (il padre "decapitato" di Maggie in TWD) e il un po' sopra le righe Emory Cohen di Come un tuono e soprattutto Brooklyn. Sempre soffermandoci nell'ambito interpretazioni, troviamo nel cast leggermente poco e non benissimo utilizzato Brendan Meyer (The Guest) e Alice Krige (Silent hill e Momenti di gloria).
Di tutti gli altri problemi invece ne ho già parlato, che poi problemi così insormontabili non sono, anche perché The OA assolve sicuramente e dignitosamente alla propria funzione intrattenitrice, a patto tuttavia che la visione non sia interrotta e non si cominci a porre degli interrogativi. Lo show infatti e a tal senso va guardato esclusivamente tramite binge-watching, facendosi trainare dalla curiosità e tacitando il più a lungo possibile la legittima richiesta di plausibilità. Altrimenti appunto ne uscirete delusi come me che, a parte il livello tecnico, la tematica comunque interessante e avvincente (anche se sviluppata superficialmente), salvo alcune scene certamente suggestive, le scene da bambina della protagonista (compreso ovviamente la forte scena del bus) e alcuni personaggi/attori oltre a due principali protagonisti, innanzitutto il sempre bravissimo Riz Ahmed, ma anche la sensuale e bella Paz Vega, autrice di una scena bollente davvero intrigante (altresì la giovane e tanto carina Shannon Maree Walsh). Comunque mi preme sottolineare una cosa importante, ovvero che questo giudizio è personale, e che, come detto all'inizio, se riesce a rendervi partecipi e a coinvolgervi bene, altrimenti meglio lasciar perdere, proprio perché The OA è un'esperienza che difficilmente vi lascerà col dubbio: o la amerete o la odierete. E' una serie che nasce per coinvolgere, per raccontare una storia semplice, ma poetica. Il suo finale è tanto bello quanto strano ed improvviso, dopo averlo visto potreste essere entusiasti o arrabbiati, non ci sono vie di mezzo. Ecco perché risulta quindi difficile esprimere un giudizio oggettivo, ma se amate le vicende che fondono realtà e soprannaturale, lasciando però anche spazio alle emozioni, sono sicuro che l'amerete, altrimenti non c'è bisogno che ve lo dica e ve lo ripeta. Voto: 5
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