giovedì 13 giugno 2019

The Strain (4a stagione)

Recensione pubblicata su Pietro Saba World il 12/04/2018 Qui - È raro trovare, volgendo lo sguardo agli ultimi anni, serie tv che si auto-concludono dopo poche stagioni. The Strain è una delle poche eccezioni nel vasto mondo della serialità attuale (anche se ciò è successo anche per Salem, la discreta serie sulle streghe). La serie prodotta dal regista pluripremiato Guillermo Del Toro ha infatti concluso la sua corsa dopo quattro intense stagioni e 46 episodi totali. Tuttavia era chiaro che ciò sarebbe avvenuto, dato che lo show, che altresì si è chiuso anche a causa di una terza stagione molto zoppicante (ma più che sufficiente, qui), aveva già definito la via concludendo la trasposizione della trilogia di libri Nocturna, scritti dal regista fresco vincitore di un Oscar e dall'amico fidato Chuck Hogan, con cui si divide nuovamente il merito di aver, con questa quarta stagione e quel godibile finale (nonostante qualche sbavatura), degnamente chiuso, con una elevata ed onorevole qualità che non è mai mancata, l'arco narrativo di una delle serie più belle ed originali degli ultimi tempi, perché anche prendendo forma da radici molto classiche del genere, è riuscita a trovare quei guizzi di originalità capaci di stregare e coinvolgere. Tuttavia, nonostante l'epilogo "epico", The Strain 4 è stata rispetto alle prime tre stagioni quella più fiacca e meno curata. Non a caso questa stagione appena conclusa (meno thriller e molto più survival), a partire, soprattutto, dalla sua timeline, si è rivelata immediatamente differente dalle tre precedenti.  Se le tre stagioni si estendevano difatti in un lasso di tempo minore ma fortemente dilatato (circa una settimana per stagione) l'ultima si colloca dopo quasi un anno provocando una sorta di capovolgimento nella velocità di racconto. Facendo così sembrare che la stagione conclusiva scorra troppo veloce rispetto alle antecedenti.
Come se non bastasse, scivoloni in fase di sceneggiatura (anche se la serie ha sempre e comunque saputo raccontare sempre in modo coerente la sua storia) vengono accentuati dalla staticità di racconto verso alcuni eventi e personaggi. Non c'è molto spazio, anche se ormai da scoprire c'era ben poco (già in possesso di tutte, o quasi tutte, le informazioni necessarie, per l'imprescindibile resa dei conti), per l'approfondimento, ma le dieci puntate appaiono decisamente poco sfruttate al meglio. Tanto che l'irrefrenabile voglia di raggiungere il traguardo mina visibilmente tutta la struttura di The Strain. A mantenere l'intero baraccone ci sono però i suoi protagonisti. Dal viscido Eichorst (Richard Sammel), all'insopportabile Zach (Max Charles), ogni personaggio è ormai pilastro fondamentale di The Strain. Dopotutto sono loro a portare avanti la storia e a focalizzare la nostra attenzione. Ed è proprio il figlio di Eph (Corey Stoll), Zach a guadagnarsi il titolo di carattere più interessante della stagione. Fastidioso, certo, ma sicuramente l'inaspettato (come già lo era stato nella stagione precedente) "deus ex machina" della vicenda. In tal senso il finale di serie è molto significativo nel suo contesto sviscerando il rapporto padre/figlio tra Zach e il Maestro (Jonathan Hyde) o meglio tra Zach e suo padre e il Maestro e Quinlan (Rupert Penry-Jones) in un finale (almeno in parte) tanto epico quanto suggestivo. Gli eventi della stagione porteranno infatti e prevedibilmente (anche se in questo ciò è utile e giusto, perché doveva finire così) il gruppo a riunirsi, ed ovviamente un lutto (che però sarà eccezionale, visto quello che succede poco prima) li ispirerà nella loro riscossa a questo finale che, nonostante le premesse non eccezionali, è davvero molto forte e convincente, ponendo fine in modo dignitoso e soddisfacente la serie.
La quarta stagione di The Strain inizia perciò con un salto temporale, mostrandoci un mondo (dopo che Zach ha detonato la bomba) assoggettato al Maestro dove gli umani sono costretti a una convivenza fatta di doveri e pochi diritti. Inoltre il gruppo formato da Eph, Abraham (David Bradley), Fet, Dutch (Ruta Gedmintas) e Quinlan si ritrova diviso. Ora difatti gli strigoi fanno parte di un'organizzazione chiamata "La Fratellanza" che apparentemente promuove la coesistenza tra persone e vampiri. In realtà, questa altro non è che un modo del Padrone per togliere la vita al genere umano privandolo del proprio sangue. I nostri protagonisti però, seppur divisi, non si arrenderanno in questa ultima battaglia che porterà enormi sacrifici. La Fratellanza ha una somiglianza implicita con i campi di concentramento, e anche in questa stagione ci viene mostrato come gli esseri umani siano i veri mostri, intenti solo a salvarsi la pelle alleandosi con il più forte. Non a caso, anche il quarto atto di The Strain sembra voler echeggiare un prodotto di assoluta qualità ed espressività, una serie horror che abbraccia moltissimi temi quali l'amicizia, l'amore, la fratellanza, la fedeltà, ma anche la corruzione, l'egoismo, l'individualismo e quanto di marcio bolla nell'essere umano. In tal senso la disperazione è espressa bene dalla scenografia post-apocalittica che New York e Filadelfia esprimono, accompagnata da una sceneggiatura comunque nostalgica e graffiata dal dolore e dalla catastrofe (forse banale e scontata ma altamente godibile e tanto interessante). D'altronde i tanti corpi sepolti, quelli trasformati in mostri hanno cambiato anche il modo di pensare dei nostri protagonisti, ma non lo spirito roccioso e combattivo di Vasiliy, forse il personaggio che caratterialmente ha subito meno modifiche.
Tuttavia tra gli errori di sceneggiatura c'è proprio la fidanzata di Fet (una sempre affascinante Rhona Mitra), che è stata gestita male, perché compare all'improvviso senza una spiegazione dettagliata ed esce di scena improvvisamente, senza portare una causa-effetto nell'animo del suo compagno. Sufficientemente gestiti sono invece l'analisi approfondita di alcuni dei personaggi, tra cui a Zach e Quinlan, anche se entrambi abbastanza inutili, come sapere quando il padrone si è infilato dentro la bara con cui viaggia nella prima stagione. Inoltre questa stagione ha problemi di ritmo, la prima parte risulta essere lenta, giacché nella sua lentezza si nota come i produttori vogliano arrivare subito al rush finale, così facendo però (e come detto), The Strain 4 porta con sé dei buchi di sceneggiatura evidenti, uno fra tutti la nascita della Fratellanza. Sarebbe stato meglio infatti inserire dei flashback nelle prime puntate su quello che succede dopo la detonazione della bomba da parte di Zach, così da far filare tutta la stagione in maniera più lineare. Senza dimenticare una sigla colpevolmente identica, anzi, praticamente la stessa della terza. Fortunatamente The Strain 4 non manca di aspetti positivi (in tal senso discreta la fotografia e le interpretazioni del cast), la seconda parte di stagione mano a mano che va avanti, viaggia difatti su ritmi molto alti come ci ha abituato questa serie, arrivando ad un ottimo epilogo. L'adrenalina di questa parte è davvero alta, facendo crescere sempre di più l'hype per il finale, che tuttavia fallisce parzialmente nell'essere "significativo", proponendo una digressione sulla forza dell'amore e dei rapporti che crea, cercando di dare (ma non del tutto efficacemente) una chiave di lettura diversa a tutto ciò che abbiamo visto.
In ogni caso la seconda parte di stagione salva e riesce a raggiungere l'obiettivo della serie, che pur perdendosi nel suo modo di raccontare, stagnando altresì il suo linguaggio, è riuscita a mantenere vivo l'interesse verso i protagonisti della sua storia. Perché il finale appunto, repentino ma emozionante, è stato capace di fornire un epilogo soddisfacente e meritato ad una serie che ha ridefinito un genere. Ma non solo. The Strain è riuscita a mescolare horror e distopia con carattere ed originalità. Dopotutto proprio l'originalità di come viene trattato il tema horror/action da The Strain è sempre stata un punto di forza dello show. E se la stagione precedente non avesse creato della disaffezione (e quindi un interesse più blando verso ciò che è stato proposto) si avrebbe forse lodato maggiormente ciò che si vede in questi dieci episodi. La narrazione insomma è stata troppo precipitosa, sacrificando (forse troppo) l'introspezione e l'approfondimento, seppur questa è stata una scelta (fortunatamente) giustificabile dato che gli autori erano ben consci che si dovesse arrivare a un dunque senza perdere tempo o allungare il brodo. A tal proposito le ultime puntate convincono, proprio perché la risoluzione di trame e conflitti creatisi fin dalla prima stagione è stata soddisfacente, seppur prevedibile in alcuni casi. Il lato action è sempre molto valido, soprattutto grazie a Quinlan e alle sue scene di lotta. È mancata completamente invece la tensione, tranne che nei minuti finali, ma non era nemmeno facile crearla, dopo quattro stagioni in cui si è sempre affrontata la solita tipologia di nemici. In questo senso peccato, perché nonostante la degna conclusione, si poteva forse sfruttare meglio le potenzialità di questo serial, che termina senza infamia né lode, ma che comunque lungo quattro stagioni ha saputo regalare tante emozioni e colpi di scena a noi spettatori. Una serie che con la grande caratterizzazione dei suoi protagonisti (sia buoni, che cattivi) ha saputo renderci partecipi di una storia originale e coinvolgente. Voto: 6,5

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