martedì 4 giugno 2019

Dark (1a stagione)

Recensione pubblicata su Pietro Saba World il 14/06/2018 Qui - Si è detto che assomiglia a Stranger Things (non proprio, a dire il vero), a Lost (riferimento, forse, più azzeccato) a The OA, a Twin Peaks e potremmo andare avanti a lungo, ma Dark, l'enigmatica e complessa (per i termini tecnici e tanto altro) serie tv tedesca creata da Baran bo Odar e Jantie Friese (in tal senso questa sarà una recensione rigorosamente senza spoiler tranne per il tema e l'argomento incentrato sui viaggi nel tempo e sul tempo che è già nell'incipit), ha soprattutto alcune similitudini con alcune opere letterarie e poi filmiche di Stephen King, da 22.11.63 (a causa delle finestre temporali situate in luoghi di passaggio, su vere e proprie soglie, frontiere da superare) a Under The Dome (dove il cunicolo, la caverna, il "sotto", il "wormhole", la galleria gravitazionale, erano le chiavi per muoversi nel "quando", ovvero nel tempo) fino all'ultimo (e vecchio) It (nella tematica del posto dal quale tutti vogliono scappare e dove qualcosa a distanza di anni inevitabilmente succede, non dimenticando che le vittime di questi misteriosi accadimenti sono per lo più ragazzini), tuttavia è proprio in questo miscuglio di citazioni e riferimenti creativi, non dimenticando che da questi show in particolare il regista/creatore (che ad Hollywood ha esordito con il personalmente passabile Sleepless) ha anche preso ispirazione per condire la struttura narrativa dell'opera, dopotutto l'intreccio di "Dark" non è mai banale, fa del mistero e della suspense i suoi punti di forza e tiene incollati allo schermo fornendo diversi indizi allo spettatore, che lo show Netflix riesce a trovare un elemento che lo renda unico e distinguibile. Perché l'intera narrazione si collega a un dialogo più profondo in cui è il Tempo il vero protagonista. La serie (che riprende così un tema già affrontato da molti, unendolo però a una struttura forte e a diversi personaggi su cui fare affidamento, che si fa forte del dialogo filosofico sul tempo e scardina pezzo dopo pezzo le nostre convinzioni sulla sua linearità) si apre infatti con una citazione ad Albert Einstein che lascia poco spazio a dubbi sul prosieguo: "La distinzione tra presente, passato e futuro è una mera illusione".

Nella serie difatti, composta da 10 episodi strettamente legati l'uno all'altro che delineano un affresco corale fatto di personaggi da scoprire, mezze verità e misteri che portano lo spettatore a seguire col fiato sospeso lo show lungo tutta la prima stagione e in cui lo sviluppo della trama prende corpo lungo la linea del tempo in maniera non regolare, il legame tra passato e futuro e la possibilità di interferire o meno sull'uno agendo sull'altro è uno dei principali snodi di tutta Dark. Qui però il viaggio del tempo non è più un tema scanzonato veicolato da una DeLorean, ma un mezzo per riflettere sul destino, sulla fede e sul nostro ruolo di pedine sulla grande scacchiera del mondo, così come sul tema di passato, presente e futuro che si influenzano a vicenda: senza il passato non esisterebbe il futuro, e al tempo stesso non esisterebbe il passato se il futuro fosse collocato in un'altra dimensione temporale. D'altronde, ce lo chiediamo da sempre, è nato prima l'uovo o la gallina? Dark, in qualche modo, fa suo questo dilemma e ci costruisce attorno tre distinte linee temporali, per mostrarci come l'uomo sia sempre affascinato (e incatenato) dalle "forze" del destino e del tempo. Proprio nella sua parte più umana, di intrecci diretti e non, la serie palesa un grande cuore, lo stesso che ci mostrò tempo addietro Lost, con ottimi personaggi che abbiamo amato grazie al particolare background. Dark, in questo piano narrativo, ha una marcia in più: porta lo spettatore a vivere direttamente questi background, chiedendosi se modificarli porterebbe giovamento o meno nel futuro appena modificato. Giacché gli eventi appunto non si limitano soltanto al 2019 (sì perché, anche se non si sa il motivo, forse si scoprirà più in la, la serie è ambientata un anno avanti), ma esplorano temporalità differenti, distribuendosi su più anni.
Per questo la serie richiede una particolare attenzione data la sceneggiatura così complessa, ma è una complessità che non penalizza il risultato finale, al contrario invoglia sempre più a seguire il corso degli eventi e del tempo in continua evoluzione. Ma se il tempo in cui si muovono i personaggi cambia a seconda delle esigenze di trama, il luogo rimane sempre lo stesso: l'intera prima stagione è ambientata a Winden, piccolo paese del sud della Germania. Il villaggio immerso nei boschi umidi diventa quasi uno dei protagonisti, con la sua inquietante presenza e le dinamiche che un borgo praticamente isolato dal resto del mondo si porta appresso. È a Winden che la vita tranquilla e ordinata degli abitanti viene sconvolta dalla sparizione di alcuni bambini nel corso degli anni (stranamente ogni 33), ed è sempre a Winden che i protagonisti svolgono le proprie indagini, chi con i mezzi della polizia, chi grazie al proprio intuito, chi ancora supportandosi l'un l'altro. Con lo svolgersi delle puntate, la trama si infittisce (ci vengono proposte numerose questioni e sotto-trame) e lo spettatore approfondisce la conoscenza dei vari personaggi (un'incredibile varietà di personaggi, ma nessuno tra bambini, adolescenti e adulti viene trascurato nella sua caratterizzazione), seguendone le gesta (non sempre eroiche, anzi!) nel corso degli anni. Inoltre non passano in secondo piano i rapporti interpersonali sia per quanto riguarda i ragazzi, sia le dinamiche più adulte, che vengono spiegate in maniera approfondita nelle loro radici. Ed è così che spunta il marcio dietro la facciata pulita della piccola comunità e gli scheletri dell'armadio fanno capolino dal passato di quasi tutti gli individui. Non per caso la serie è conosciuta anche come I Segreti di Winden. Ma il segreto maggiore è quello riguardante appunto la scomparsa a distanza di anni (soprattutto) di due bambini che frantuma l'atmosfera di fittizia serenità di questa "strana" cittadina tedesca posta sullo sfondo di una sperimentale centrale nucleare (elemento da tenere a mente).
Un segreto che sarà parzialmente rivelato e che si abbatterà in modo tempestoso, perché una volta frantumato l'argine tra presente e passato la sconcertante verità sulla scomparsa di Mads e Mikkel si riverserà sui protagonisti come un fiume in piena. Ciò che un tempo apparteneva al "prima" ora condiziona inevitabilmente il "dopo", in una cascata di avvenimenti a domino che cambierà per sempre la vita delle quattro famiglie protagoniste di Dark. Avvenimenti che cambieranno anche il destino della serie, serie che mantiene un buon ritmo lungo tutto l'arco della prima stagione, grazie a una regia solida e ben conscia del genere che voleva far arrivare al pubblico: tra inquadrature strette, buio incombente, sguardi fissi in camera, Baran bo Odar riesce infatti a inquietare lo spettatore anche quando l'azione sullo schermo langue. Ci sono poi lunghe sequenze quasi mute, in cui l'evolversi della trama e lo svelarsi di qualche mistero sono i veri protagonisti, in cui la tensione dettata dallo stile di regia risulta davvero notevole, complice sicuramente una colonna sonora degna di un film horror, che sottolinea ed evidenzia i passaggi salienti di ogni puntata. In verità comunque, e purtroppo, non sempre il livello della regia (molto fedele agli stilemi che il genere impone) viene seguito sullo stesso piano dalla messa in scena. In alcuni momenti, soprattutto negli interni casalinghi, l'impressione che si trae è infatti quella di un'eccessiva teatralità degli attori, poco realistici nel tratteggiare i loro personaggi. La recitazione in generale è un po' sofferta e piatta, sono pochi gli interpreti (e solo alcuni abbastanza conosciuti), sia tra i giovanissimi che tra gli adulti, a spiccare sul panorama generale, che si attesta su un livello non eccezionale. Tra i migliori (e che conosco più o meno) tuttavia abbiamo Oliver Masucci (noto per aver interpretato Adolf Hitler nel film Lui è tornato, film che non ho visto ma che spero di recuperare presto), padre e fratello dei due più "importanti" bambini scomparsi, Antje Traue (PandorumL'uomo d'acciaio e Criminal tra gli altri) e uno dei protagonisti principali interpretato da il Louis Hofmann di Land of Mine e Lettere da Berlino.
Avranno tempo di crescere ancora (e gli altri di migliorare e farsi conoscere), ma in ogni caso uno degli aspetti più interessanti di Dark, al di là della trama e delle elucubrazioni sul tempo e lo spazio che si porta dietro, riguarda i temi sollevati dalla storia: dalle dinamiche soffocanti tipiche dei paesini di provincia alla necessità dell'avanzamento del progresso (quasi a tutti i costi) fino all'etica della ricerca scientifica, le domande che vengono poste allo spettatore, grazie ai molteplici livelli di lettura di quanto accade sullo schermo, allargano notevolmente gli orizzonti dell'intera stagione. Particolarmente efficaci anche i temi del dualismo e dei mondi che si uniscono, influenzano e contrappongono, presenti fin dalle prime puntate: adulti e adolescenti, passato e presente, uomini e donne sono tutte facce di una stessa medaglia, chiusi in un eterno cerchio che ripete meccanismi e sposta decisioni. Ma Dark è soprattutto una favola dove bene e male si scontrano senza vincitori o vinti. Un racconto immaginifico che immerge i suoi personaggi in una atmosfera cupa resa opprimente da una fotografia che predilige i toni scuri e i colori freddi. La stessa ambientazione ai margini di fitti boschi e le piogge perenni permette alla serie di sposare la tradizione gotica delle fiabe dei fratelli Grimm (i boschi germanici sconfinati conferiscono infatti un'aria di mistero, la pioggia incessante sembra quasi voler punire i nostri personaggi mentre la misteriosa e spaventosa centrale nucleare diviene anche un elemento fondamentale del passato di Winden). La differenza sostanziale sta tuttavia nell'assenza di ogni lieto fine e nella coralità della vicenda che dedica quasi lo stesso spazio a più di un personaggio. Non è un caso che uno dei momenti più riusciti sia la recita scolastica con il monologo di Martha ad accompagnare il cammino nelle caverne di Jonas. O l'intelligente scelta di chiudere più episodi con lo split screen che mostra le versioni passate e presenti di molti protagonisti. O ancora l'introduzione di una terza linea temporale che aggiunge importanza a figure che potevano sembrare inizialmente secondarie.
Tutti elementi che danno lustro ad una serie davvero sorprendente e capace di spiazzare e coinvolgere lo spettatore. E' presente anche un altro elemento che non può essere tralasciato: le musiche. Sembra quasi che si stia parlando di un ulteriore personaggio. La musica è sempre presente nelle sequenze di Dark, appesantisce gli eventi con la sua solennità ed è caratterizzata da tracce molto inusuali, oltre a vari pezzi pop. Insomma qualcosa di tecnicamente valido (anche se non perfetto), come valida è questa serie tv, che è stata ingiustamente accusata di essere la brutta copia tedesca del noto Stranger Things, e francamente non si capisce bene per quale motivo. Certo, numerose analogie ci sono comunque, come le luci che si spengono ad intermittenza, l'esistenza di una duplice dimensione della realtà o la vicenda che si apre con la misteriosa scomparsa di un bambino, ma se si visionano entrambe le serie risulta evidente come solo l'atmosfera sia profondamente diversa, puntando su un aspetto più orrifico, un'evoluzione nella trama molto più macabra ed oscura rispetto alla serie dei fratelli Duffer (partendo dai crudi ritrovamenti dei cadaveri di bambini mutilati in viso, fino alle spettrali scene di morte di massa degli animali, proseguendo poi con la studiata ridondanza sotterranea del numero 33). Insieme ad essi, anche i numerosi rimandi ad Einstein e alla fisica dei buchi neri e i cenni all'evoluzione umana, dal Big Bang al diametralmente opposto Big Crunch. Per ultima, la visione dell'eterno ritorno dell'uguale proposto da Nietzsche, la cui idea di circolarità è alla base di tutta la serie: se l'andamento enigmatico ed inizialmente pigro dei primissimi episodi fa pensare quindi ad un malriuscito tentativo di ricreare l'ennesima serie tv sui viaggi nel tempo, lo sviluppo della trama nella sua peculiarità riesce invece a creare una fitta rete di collegamenti in grado di tenere i telespettatori incollati allo schermo fino allo scioglimento dell'ultimissimo nodo.
Se per Stranger Things si punta infatti sull'intrattenimento e le gag divertenti, in Dark tutto ciò è completamente assente. Abbiamo davanti difatti un prodotto valido che non sfrutta la carta degli anni '80 per far leva sui nostalgici, ma utilizza tale ambientazione solo perché funzionale alla sceneggiatura. Del resto si usa spesso l'espressione "non giudicare un libro dalla copertina", o in questo caso dalla locandina. A tal proposito da sottolineare c'è la visivamente strana ma davvero bella sigla che apre la serie. Una serie (che si trova in quel sottile confine tra il prodotto di massa e l'opera di nicchia) come detto non perfetta (anche perché oltre ad alcuni piccoli difetti tanti sono i dettagli lasciati in sospeso, come il motivo delle misteriose monetine portate al collo dai giovanissimi viaggiatori nel tempo, l'obiettivo degli esperimenti di Noah o i segreti nascosti della centrale nucleare), ma in grado di intrattenere e coinvolgere grazie alla sua originale costruzione. Perché Dark non sarà probabilmente un capolavoro di genere, ma è una serie così tanto imperdibile, incredibile e straordinaria, che è difficile staccarsi o non volerne sapere di più, e dopotutto visti i presupposti (giacché il finale si rivela esplicitamente aperto ed annunciatore di una probabile seconda stagione in cantiere in grado di far luce su ogni dubbio), la serie sembra avere tutte le carte in regola per un sequel capace di eguagliare la tensione, l'atmosfera e l'avvolgente storyline dei primi 10 episodi. Come ci riuscirà? Come ci insegnano i protagonisti la domanda giusta (in riferimento diretto alla narrazione) non è "come" questa serie in futuro ci stupirà, ma "quando", io spero molto presto. Voto: 8

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