Recensione pubblicata su Pietro Saba World il 04/04/2019 Qui - C'era grande attesa per la nuova stagione di True Detective, derivata in parte dalla fama della prima stagione e dalla delusione per la seconda, che chiamava a gran voce un riscatto da parte degli autori. Le premesse c'erano tutte, un ritorno alle origini delle serie e un cast ridotto ma d'alto livello. La scelta di far interpretare a Mahershala Ali il nuovo protagonista ha incuriosito gran parte dei fan della serie, che hanno atteso con trepidazione la sua prova. La loro attesa non è stata delusa, e l'attore è stato magistrale come sempre (un po' come tutti gli altri attori impegnati nella serie). Ciò che invece ha abbattuto le aspettative è stata la costruzione della storia e la sua messa in scena fino a che non ci si accorge di una narrazione stanca ed estenuante subito dopo i primi promettenti episodi. La terza stagione di True Detective infatti, pur restando ed essendo comunque un solido esempio di thriller e mistery drama, capace di inchiodare lo spettatore fino all'ultima puntata e pur confermando il talento del neo premio Oscar Mahershala Alì, che si conferma appunto uno dei più grandi interpreti del nostro tempo, non convince del tutto. E non c'entra solo il fatto che inesorabilmente paghi il confronto con la straordinaria prima, difatti per quanto essa poteva viaggiare ad alti livelli (e per un po' lo fa), era chiaro che non potesse mai raggiungere l'accattivante eleganza di quella impareggiabile stagione, ma perché non tutto è andato come doveva andare in questa terza stagione, andata in onda da gennaio a marzo su Sky Atlantic. E questo soprattutto perché, con il chiaro intento di restituire le emozioni e le atmosfere della prima, non bastasse che anche qui il caso che fa da perno per la vicenda si svolge in diversi archi temporali (di nuovo quindi in un'altalena temporale), la serie non riesca a replicare il medesimo successo, il medesimo effetto. Siamo infatti ben distanti dalla violenta eleganza della prima stagione con Matthew McConaughey e Woody Harrelson. La filosofia, l'introspezione, l'azione e soprattutto il pathos che caratterizzò l'esordio della serie vengono qui a mancare (o almeno in parte), manca quasi l'anima a questa terza stagione, stagione che ha un'obiettivo di altra natura, ovvero raccontare semplicemente un uomo, e questo indubbiamente ha pesato negativamente in confronto anche alla narrazione meno "potente" e più caotica.
Una narrazione, e quindi trama, incentrata su un caso del 1980 che ha visto la sparizione di due bambini, fratello e sorella, nella provincia dell'Arkansas. Il caso, che si presenta da subito oscuro e inquietante, porterà i due detective incaricati, Wayne Hays (Mahershala Ali) e Roland West (Stephen Dorff), a una ricerca lunga più di trent'anni per scoprire il mistero dietro la scomparsa dei due bambini. Fin dalla trama si percepisce la somiglianza con le vicende narrate nella prima stagione, oltre che con l'ambientazione stessa. Si abbandona la metropoli californiana per tornare alle cupe, ma allo stesso affascinanti, pianure della parte centrale degli Stati Uniti. In particolare l'Arkansas della prima linea temporale (quella del 1980) rappresenta uno spaccato di una società fortemente arretrata e razzista. Un contesto dove si consuma una vicenda drammatica e che tiene col fiato sospeso l'intera comunità. La storia narrata in questa stagione conta, come detto, di tre linee temporali fin dal primo episodio. Facciamo la conoscenza del narratore della storia che è anche il protagonista della serie, il detective Wayne Hays. E facciamo la sua conoscenza nei vari binari temporali su cui si svolge la vicenda: il 1980, il 1990 e il 2015. In ognuno di questi segmenti ritroviamo un protagonista che cambia decisamente carattere e atteggiamento, segno delle profonde cicatrici lasciate dagli eventi legati al caso. Oltre ai due detective troviamo anche il coinvolgimento di diversi membri della comunità in cui è accaduto il misfatto. Su tutti il padre e la madre dei due bambini scomparsi (ma anche una professoressa, Amelia Reardon alias Carmen Ejogo, con cui il detective Hays intratterrà una relazione amorosa). L'evento porterà dietro di sé una scia di morti sospette e misteri sempre più oscuri. La narrazione porterà invece con sé una domanda e forse una risposta, sarà riuscita questa terza stagione a replicare, o almeno ad avvicinarsi, al successo della prima e a far dimenticare il scivolone della seconda? Una risposta l'ho già data, però dare una risposta oggettiva e incontrovertibile è difficile, anche se certamente Mahershala Ali nei panni di Hays nei vari archi temporali vale da sola "il prezzo del biglietto".
La performance del (due volte) premio Oscar mostra ancora una volta il talento dell'attore, un attore che è passato in una manciata di anni da una piacevole sorpresa ad interprete acclamato universalmente. Non solo Ali però: a cominciare da Stephen Dorff che qui interpreta lo scorbutico detective West, fino a Carmen Ejogo, che interpreta l'affascinante Amelia, moglie di Hays. Personaggio che qui svolge un ruolo ben più importante di semplice compagna del detective. Senza tralasciare un sofferto Scoot McNairy nei panni del padre (tra gli altri da segnalare Ray Fisher, Mamie Grummer e Brandon Flynn, solo un cameo però di quest'ultimo). La serie invece, proprio per i naturali confronti che vengono fatti fra le varie stagioni, anche se questa è una serie antologica, dove ogni stagione è totalmente indipendente, seppur sembra legata alle altre da un sottile filo rosso, infatti sono tre i grandi temi che legano in modo trasversale le stagioni di True Detective, corruzione, potere e poliziotti perdenti/reietti (uomini disposti a disobbedire agli ordini, e sfidare così le più alte autorità, pur conoscendo il prezzo di una simile condotta, ovvero: la rovina della propria carriera, e probabilmente della loro intera esistenza), che ritornano anche qui, soffre proprio questo continuo paragone. E, ad essere sinceri, il confronto vede chiaramente la terza stagione prevalere sulla seconda, ma la si vede soccombere, se paragonata alla prima. Questo non significa, tuttavia, che non stiamo parlando di una serie decisamente al di sotto di molti prodotti concorrenti di questo periodo, anzi. Ciò che manca a questa stagione è quel qualcosa che ha reso unica la prima, e che proprio per questo risulta irripetibile. Più in particolare l'espediente narrativo dei tre archi temporali si rivela essere un'arma a doppio taglio, infatti gli autori sembrano non esser stati in grado di gestire e dare giusto spazio alle varie storyline, alcune scelte narrative sembrano difatti e praticamente dei "tappabuchi", ma soprattutto in molti momenti per colpa dello stesso che sfugge di mano agli sceneggiatori, il risultato è quello di rivelare alcuni risvolti che forse avrebbero funzionato meglio con una narrazione lineare. Il tutto porta a un allentamento generale della tensione, che comunque resta palpabile durante tutti gli episodi, ma che non ci fa avvertire un pericolo imminente.
L'espediente narrativo, al contrario, apporta dei risvolti interessanti soprattutto per quanto riguarda l'immedesimazione dello spettatore con il detective Hays da vecchio, nel 2015. Visto che la storia è raccontata da un vecchio detective affetto da demenza senile e continui vuoti di memoria, lo spettatore è costantemente portato a chiedersi quanto di ciò che è raccontato sia vero o attendibile (e ciò se da un lato è interessante, dall'altro lascia dei punti interrogativi, non è un caso che fino all'ultimo episodio, le risposte restano sfuggenti, frammentate, contraddittorie). Più che la risoluzione del caso, lo spettatore si ritrova così a interessarsi maggiormente alla componente psicologica del personaggio, personaggio frustato ed ostinato che riflette il suo stato d'animo allo spettatore un po' stranito. Tutto ciò perché si è tentato di riproporre una struttura già vincente senza però avere una storia che giustificasse l'utilizzo della stessa. Nella prima stagione, infatti, il pericolo percepito per la presenza del serial killer si perpetra per l'intero arco temporale coperto dalla stagione. In questa, invece, si ha più la sensazione di un pericolo non imminente, ma di una situazione già conclusa di cui si devono solo ripercorrere alcuni passaggi. Inoltre, senza voler fare spoiler, il modo in cui si arriva a scoprire finalmente la verità risulta meno sorprendente di quello che ci si aspettava. Infine vengono presentati personaggi (che fine ha poi fatto la giornalista interpretata da Sarah Gadon che praticamente da il via alle indagini per la terza volta?) e aperte molte parentesi (come quella del rapporto fra Hays e la figlia o il razzismo della comunità) in maniera interessante, ma poi queste vengono poco sviluppate. Da notare, inoltre, che in molti momenti il "vero" detective della situazione sembra essere Amelia (che seguirà il caso per scrivere un libro) piuttosto che Hays e West. I quali sembrano spesso più occupati a pizzicarsi fra di loro che a risolvere il caso. Colpa forse di una caratterizzazione non tanto eccezionale? Non saprei.
Al di là di questo, i confronti fra le stagioni probabilmente sono i fattori che più di tutti possono minare le opinioni di chi si è appassionato a True Detective. E da un lato è sbagliato, perché questa stagione ha tutte le caratteristiche di una grande serie: dialoghi scritti in maniera impeccabile, recitazione perfetta da parte di tutti gli attori, una fotografia affascinante ed evocativa e infine una colonna sonora sempre eccezionale. Quello che si percepisce da True Detective 3 è la sensazione di una grande bomba pronta ad esplodere in qualunque momento, ma che, al momento della detonazione, provoca una piccola esplosione e non regala la grande deflagrazione che ci si aspettava. Sembrerebbe una recensione negativa, ma non lo è. True Detective è grande televisione, intrattenimento allo stato dell'arte. L'unico problema di questa stagione è quello di essere stata preceduta da un'altra (la prima) decisamente inarrivabile, anche per l'effetto sorpresa che l'ha caratterizzata e che ha spiazzato un pubblico allora non consapevole di cosa aspettarsi da True Detective. Quindi, forse, in questo caso il problema siamo proprio noi spettatori che siamo ormai abituati a serie sempre più di qualità e tendiamo a fare paragoni che spesso non rendono giustizia, proprio come in questo caso. Anche perché replicare il successo raggiunto dalla prima stagione di True Detective (che era fondata su una sceneggiatura folgorante, scandita dagli indimenticabili, deliranti monologhi di Rust Cohole/Matthew McConaughey, al contrario, questa terza è dominata dal silenzio, e dai primi piani, anche troppi, di Mahershala Alì, mentre il tempo e il dolore trasformano la geografia del suo volto) deve essere stato senza dubbio il più grande grattacapo per Nic Pizzolatto. A gran ragione, infatti, il capitolo con protagonisti Matthew McConaughey e Woody Harrelson rimane ancora oggi nell'olimpo delle serie migliori di sempre. Egli tenta di ripercorrere i suoi passi, cerca il suo vecchio smalto ma quello che ottiene è una copia sbiadita (comunque bella) di un capolavoro. Ciò che resta di questa stagione, comunque un buonissimo prodotto se paragonato ad altre produzioni, è la performance di Mahershala Ali, fresco inoltre di un Oscar come Miglior attore non protagonista per Green Book, e tutti i suoi pregi. Voto: 7
La performance del (due volte) premio Oscar mostra ancora una volta il talento dell'attore, un attore che è passato in una manciata di anni da una piacevole sorpresa ad interprete acclamato universalmente. Non solo Ali però: a cominciare da Stephen Dorff che qui interpreta lo scorbutico detective West, fino a Carmen Ejogo, che interpreta l'affascinante Amelia, moglie di Hays. Personaggio che qui svolge un ruolo ben più importante di semplice compagna del detective. Senza tralasciare un sofferto Scoot McNairy nei panni del padre (tra gli altri da segnalare Ray Fisher, Mamie Grummer e Brandon Flynn, solo un cameo però di quest'ultimo). La serie invece, proprio per i naturali confronti che vengono fatti fra le varie stagioni, anche se questa è una serie antologica, dove ogni stagione è totalmente indipendente, seppur sembra legata alle altre da un sottile filo rosso, infatti sono tre i grandi temi che legano in modo trasversale le stagioni di True Detective, corruzione, potere e poliziotti perdenti/reietti (uomini disposti a disobbedire agli ordini, e sfidare così le più alte autorità, pur conoscendo il prezzo di una simile condotta, ovvero: la rovina della propria carriera, e probabilmente della loro intera esistenza), che ritornano anche qui, soffre proprio questo continuo paragone. E, ad essere sinceri, il confronto vede chiaramente la terza stagione prevalere sulla seconda, ma la si vede soccombere, se paragonata alla prima. Questo non significa, tuttavia, che non stiamo parlando di una serie decisamente al di sotto di molti prodotti concorrenti di questo periodo, anzi. Ciò che manca a questa stagione è quel qualcosa che ha reso unica la prima, e che proprio per questo risulta irripetibile. Più in particolare l'espediente narrativo dei tre archi temporali si rivela essere un'arma a doppio taglio, infatti gli autori sembrano non esser stati in grado di gestire e dare giusto spazio alle varie storyline, alcune scelte narrative sembrano difatti e praticamente dei "tappabuchi", ma soprattutto in molti momenti per colpa dello stesso che sfugge di mano agli sceneggiatori, il risultato è quello di rivelare alcuni risvolti che forse avrebbero funzionato meglio con una narrazione lineare. Il tutto porta a un allentamento generale della tensione, che comunque resta palpabile durante tutti gli episodi, ma che non ci fa avvertire un pericolo imminente.
L'espediente narrativo, al contrario, apporta dei risvolti interessanti soprattutto per quanto riguarda l'immedesimazione dello spettatore con il detective Hays da vecchio, nel 2015. Visto che la storia è raccontata da un vecchio detective affetto da demenza senile e continui vuoti di memoria, lo spettatore è costantemente portato a chiedersi quanto di ciò che è raccontato sia vero o attendibile (e ciò se da un lato è interessante, dall'altro lascia dei punti interrogativi, non è un caso che fino all'ultimo episodio, le risposte restano sfuggenti, frammentate, contraddittorie). Più che la risoluzione del caso, lo spettatore si ritrova così a interessarsi maggiormente alla componente psicologica del personaggio, personaggio frustato ed ostinato che riflette il suo stato d'animo allo spettatore un po' stranito. Tutto ciò perché si è tentato di riproporre una struttura già vincente senza però avere una storia che giustificasse l'utilizzo della stessa. Nella prima stagione, infatti, il pericolo percepito per la presenza del serial killer si perpetra per l'intero arco temporale coperto dalla stagione. In questa, invece, si ha più la sensazione di un pericolo non imminente, ma di una situazione già conclusa di cui si devono solo ripercorrere alcuni passaggi. Inoltre, senza voler fare spoiler, il modo in cui si arriva a scoprire finalmente la verità risulta meno sorprendente di quello che ci si aspettava. Infine vengono presentati personaggi (che fine ha poi fatto la giornalista interpretata da Sarah Gadon che praticamente da il via alle indagini per la terza volta?) e aperte molte parentesi (come quella del rapporto fra Hays e la figlia o il razzismo della comunità) in maniera interessante, ma poi queste vengono poco sviluppate. Da notare, inoltre, che in molti momenti il "vero" detective della situazione sembra essere Amelia (che seguirà il caso per scrivere un libro) piuttosto che Hays e West. I quali sembrano spesso più occupati a pizzicarsi fra di loro che a risolvere il caso. Colpa forse di una caratterizzazione non tanto eccezionale? Non saprei.
Al di là di questo, i confronti fra le stagioni probabilmente sono i fattori che più di tutti possono minare le opinioni di chi si è appassionato a True Detective. E da un lato è sbagliato, perché questa stagione ha tutte le caratteristiche di una grande serie: dialoghi scritti in maniera impeccabile, recitazione perfetta da parte di tutti gli attori, una fotografia affascinante ed evocativa e infine una colonna sonora sempre eccezionale. Quello che si percepisce da True Detective 3 è la sensazione di una grande bomba pronta ad esplodere in qualunque momento, ma che, al momento della detonazione, provoca una piccola esplosione e non regala la grande deflagrazione che ci si aspettava. Sembrerebbe una recensione negativa, ma non lo è. True Detective è grande televisione, intrattenimento allo stato dell'arte. L'unico problema di questa stagione è quello di essere stata preceduta da un'altra (la prima) decisamente inarrivabile, anche per l'effetto sorpresa che l'ha caratterizzata e che ha spiazzato un pubblico allora non consapevole di cosa aspettarsi da True Detective. Quindi, forse, in questo caso il problema siamo proprio noi spettatori che siamo ormai abituati a serie sempre più di qualità e tendiamo a fare paragoni che spesso non rendono giustizia, proprio come in questo caso. Anche perché replicare il successo raggiunto dalla prima stagione di True Detective (che era fondata su una sceneggiatura folgorante, scandita dagli indimenticabili, deliranti monologhi di Rust Cohole/Matthew McConaughey, al contrario, questa terza è dominata dal silenzio, e dai primi piani, anche troppi, di Mahershala Alì, mentre il tempo e il dolore trasformano la geografia del suo volto) deve essere stato senza dubbio il più grande grattacapo per Nic Pizzolatto. A gran ragione, infatti, il capitolo con protagonisti Matthew McConaughey e Woody Harrelson rimane ancora oggi nell'olimpo delle serie migliori di sempre. Egli tenta di ripercorrere i suoi passi, cerca il suo vecchio smalto ma quello che ottiene è una copia sbiadita (comunque bella) di un capolavoro. Ciò che resta di questa stagione, comunque un buonissimo prodotto se paragonato ad altre produzioni, è la performance di Mahershala Ali, fresco inoltre di un Oscar come Miglior attore non protagonista per Green Book, e tutti i suoi pregi. Voto: 7
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