Recensione pubblicata su Pietro Saba World il 08/05/2019 Qui - Si potrebbe semplificare tutto con poche parole, è tornata Tin Star, è tornata la serie targata Sky, tornata con una seconda stagione, ma i problemi sono rimasti gli stessi della precedente stagione, anzi, sono pure di più. Se avete già letto la mia recensione riferita alla prima infatti (se non l'avete fatto la potete leggere qui), vi potreste rendervi conto di quanti e quali difetti ne hanno minato la resa finale, la resa finale di un prodotto che ha continuato anche in questa (inevitabile ma anche "era meglio di no") seconda stagione (ovviamente nuovamente trasmessa su Sky Atlantic il mese scorso e quello prima ancora) a soffrire degli stessi problemi, alcuni di essi addirittura accentuati da un percorso ancor peggiore, ancor più senza senso, banale e a tratti ridicolo. Eppure il finale della prima stagione aveva lasciato (diciamo bene) gli spettatori in sospeso con un cliffhanger di indubbio impatto: Anna che spara in direzione del padre Jim (Tim Roth) dopo che questi, contro la volontà della moglie Angela (più o meno), aveva (giustamente) ucciso sulle montagne innevate canadesi Whitey, di cui la ragazza si era innamorata nonostante il giovane fosse colpevole dell'omicidio del fratellino Petey (e questo fa già capire dell'elevata stupidità della giovane e della serie, che vagava senza un senso). L'episodio era stato il culmine di una serie tv che, dopo la promettente prima puntata di Tin Star in cui venivano introdotti contesto e protagonisti, con il passare del tempo aveva progressivamente perso coerenza e capacità di suscitare interesse ed empatia, tra personaggi delineati in maniera molto superficiale, sviluppi narrativi affrettati, dialoghi spesso retorici e sensazionalistici che conducevano ad interpretazioni sopra le righe. Il tutto condito da un goffo tentativo di fondo di ispirarsi al modello della tragedia greca, che finiva però per sfociare negli assai più modesti canoni della soap opera (di cui sopra, oltre a tanto altro nel mezzo che non vi sto a raccontare). Pur essendo discretamente realizzata dal punto di vista tecnico e avvalendosi del carisma di un Tim Roth che provava in tutti i modi a sopperire con il mestiere a evidenti lacune della sceneggiatura, Tin Star aveva tradito le buone premesse iniziali. Nonostante qualche colpo di scena piazzato al momento giusto, la serie britannica del 2017 si era rivelata una delusione.
Non si rivela una delusione questa stagione, no, si rivela quasi un fallimento tristemente annunciato (personalmente s'intende). E questo soprattutto perché, anche se nel tessuto narrativo qualcosa è differente (ma ugualmente banale), tutto è proseguito nuovamente senza una direzione precisa. La serie creata da Rowan Joffé (figlio del più famoso regista, costui ha comunque diretto il sufficiente thriller Before I Go to Sleep) ci ha abituati fin da subito ad atmosfere violente e repentini passi indietro atti a far luce sulle dinamiche di quanto accaduto e, anche in questo caso, non si smentisce. L'atmosfera è sempre quella delle innevate e gelide montagne rocciose canadesi e, proprio come nell'incipit della prima stagione tutto sembrerebbe fonte di un racconto di grande interesse, e invece nulla di tutto ciò. Eppure l'inizio ti cattura e non è male, anche perché gli incipit e i finali delle nuove puntate (almeno quelle iniziali) sono piuttosto incisivi, in grado di destare la curiosità di chi guarda, e qualche colpo di scena è abbastanza riuscito. A catturare l'attenzione del primo episodio, più dell'autoflagellazione di Anna Worth (Abigail Laurie) o del coraggio di abbandono di Angela (Genevieve O'Reilly), sono la caparbietà e il sex appeal di Elizabeth Bradshaw (Christina Hendricks), ex dirigente della Northstream Oil, la quale ci ammalia con una scena a suon di Moonlight Fiesta (Manuel & The Music Of The Mountains) che in brevi ma incisive immagini catapulta lo spettatore più attento in un'atmosfera alla Shining (da notare il dettaglio della moquette e il bancone del bar), seguita da un gioco di campo e controcampo che è sicuramente una delle sequenze più belle dell'incipit (una ugualmente riuscita arriverà a metà stagione, ma sarà l'unica). Peccato che l'idillio termini pressoché in quei frangenti, lasciando che personaggi, pensieri, turbamenti e conseguenze si agitino sul piccolo schermo frettolosamente, senza farci comprendere la reale direzione verso al quale si vuole andare.
Da lì in poi infatti, a mancare sarà tutto ciò che sta in mezzo, la cosa in assoluto più importante, vale a dire uno sviluppo credibile dei rapporti tra i personaggi principali e delle varie linee narrative. Persino i personaggi secondari (per non parlare dei primari, tra questi ovviamente il personaggio, anzi, il "secondo" personaggio, Jack e non Jim, interpretato da Tim Roth, che senza fare spoiler è abbastanza chiaro che ci sia) non convincono: gli agenti di polizia di Little Big Bear, Denise e Nick continuano e continueranno ad essere deboli e poco interessanti, così come lo zio di Whitey, Frank, e la sua compagna Randy, proprietaria dell'omonimo pub della cittadina canadese della provincia di Alberta. Anche in questo inizio di seconda stagione, inoltre, spesso gli inserti ironico-comici non risultano efficaci e alcuni dialoghi che dovrebbero alleggerire quella che vorrebbe essere una tensione drammatica finiscono per sfociare persino nel farsesco. Insomma stessa mediocrità. Il problema è che le cose col tempo (con il passare delle puntate) invece di migliorare, peggiora. La narrazione confusa e claudicante difatti, incapace di costruire le basi per lo sviluppo di un rapporto empatico tra lo spettatore e le vicende vissute dai personaggi, proseguirà senza intoppi in positivo. Anche perché non sapendo che direzione prendere, la serie (che riparte affidandosi a quella stessa struttura circolare che aveva guidato molte puntate della prima, a parte un episodio che tuttavia copia un meccanismo assolutamente non nuovo, tre timeline diverse per un unico fatto visto tra diversi punti di vista) ricicla vecchie storie già viste e ripesca situazioni non nuove. Di contorno, tra il mezzo e la fine, l'epilogo (leggermente ridicolo e stucchevole in un caso e l'altro anche) delle storie rimaste a metà nella prima stagione, più per allungare il brodo che per altro (e non è mai un bene, soprattutto quando di queste storie ci si interessa poco e niente). Sì perché, Anna che fa? Per sfuggire alle grinfie paterne, si fa adottare da una famiglia Amish nei pressi di Big Bear, un posto tranquillo, una base sicura con recinta fatte di fede, religione, lavoro e rispetto.
L'ira di Jim però, non tanto inquieto per esser stato sparato dalla sua stessa figlia quanto deciso a rivolerla indietro, crea scompiglio in questa docile comunità capeggiata dal pastore Johan Nickel, nonché colui a dare riparo, insieme alla sua famiglia, alla giovane Anna. Purtroppo (e immancabilmente, anche prevedibilmente), la purezza di Johan non è poi così immacolata, visto che un terribile segreto ed atti altrettanto indicibili sono nascosti nella sua lacerata e stanca anima (ed ovviamente il segreto verrà a galla e qualcuno si farà male). Di contorno, Elizabeth, licenziata dalla North Stream Oil, appiedata da tutti tranne che da Angela, insieme ciò che troveranno nel fondo di un pozzo metterà (sempre prevedibilmente) le due donne nei guai. Su tutto questo, il passato di Jim è ancor più oscuro di quello che potevamo immaginare, qualcosa di atroce sta arrivando, ma lui ovviamente, insieme a tutti quelli che metterà in mezzo, si farà trovare pronto, pronto in stile The Walking Dead a proteggere la colonia e la sua (stramba) famiglia. Capite ora perché tutto è banale, tutto è confuso, e un punto centrale non c'è? Perché appunto, il covo di santi di cui sopra, non sarà il posto beatificato tanto "glorificato", la trama e le sequenze invece, saltelleranno (noiosamente) da un protagonista all'altro, da una situazione all'altra, lasciando che alla fine si intreccino, si risolvano (nel bene e nel male), fondandosi per un epilogo (incompiuto) che lascia spazio (purtroppo) ad una terza stagione. Tuttavia di salvabile oltre a qualche brano di pregio che si avvicenda nella soundtrack e che talvolta riesce a sostituirsi ai lunghi (ed estenuanti, anche inutili) monologhi di assordante silenzio dei protagonisti, l'attore protagonista, comunque perfetto nel ruolo di un uomo un po' folle, a tratti crudele, ma paradossalmente (a discapito di quello che pensa la figlia mezza matta) intelligente e fondamentalmente giusto e sentenzioso. Male invece, ma solo perché utilizzati alla buona e meglio, tutti gli altri, tra cui John Lynch. In definitiva quindi, seconda stagione peggiore della prima, però l'incompiutezza finale sorprendentemente potrebbe spingermi a vedere (aiuto) anche la terza. Voto: 5
Da lì in poi infatti, a mancare sarà tutto ciò che sta in mezzo, la cosa in assoluto più importante, vale a dire uno sviluppo credibile dei rapporti tra i personaggi principali e delle varie linee narrative. Persino i personaggi secondari (per non parlare dei primari, tra questi ovviamente il personaggio, anzi, il "secondo" personaggio, Jack e non Jim, interpretato da Tim Roth, che senza fare spoiler è abbastanza chiaro che ci sia) non convincono: gli agenti di polizia di Little Big Bear, Denise e Nick continuano e continueranno ad essere deboli e poco interessanti, così come lo zio di Whitey, Frank, e la sua compagna Randy, proprietaria dell'omonimo pub della cittadina canadese della provincia di Alberta. Anche in questo inizio di seconda stagione, inoltre, spesso gli inserti ironico-comici non risultano efficaci e alcuni dialoghi che dovrebbero alleggerire quella che vorrebbe essere una tensione drammatica finiscono per sfociare persino nel farsesco. Insomma stessa mediocrità. Il problema è che le cose col tempo (con il passare delle puntate) invece di migliorare, peggiora. La narrazione confusa e claudicante difatti, incapace di costruire le basi per lo sviluppo di un rapporto empatico tra lo spettatore e le vicende vissute dai personaggi, proseguirà senza intoppi in positivo. Anche perché non sapendo che direzione prendere, la serie (che riparte affidandosi a quella stessa struttura circolare che aveva guidato molte puntate della prima, a parte un episodio che tuttavia copia un meccanismo assolutamente non nuovo, tre timeline diverse per un unico fatto visto tra diversi punti di vista) ricicla vecchie storie già viste e ripesca situazioni non nuove. Di contorno, tra il mezzo e la fine, l'epilogo (leggermente ridicolo e stucchevole in un caso e l'altro anche) delle storie rimaste a metà nella prima stagione, più per allungare il brodo che per altro (e non è mai un bene, soprattutto quando di queste storie ci si interessa poco e niente). Sì perché, Anna che fa? Per sfuggire alle grinfie paterne, si fa adottare da una famiglia Amish nei pressi di Big Bear, un posto tranquillo, una base sicura con recinta fatte di fede, religione, lavoro e rispetto.
L'ira di Jim però, non tanto inquieto per esser stato sparato dalla sua stessa figlia quanto deciso a rivolerla indietro, crea scompiglio in questa docile comunità capeggiata dal pastore Johan Nickel, nonché colui a dare riparo, insieme alla sua famiglia, alla giovane Anna. Purtroppo (e immancabilmente, anche prevedibilmente), la purezza di Johan non è poi così immacolata, visto che un terribile segreto ed atti altrettanto indicibili sono nascosti nella sua lacerata e stanca anima (ed ovviamente il segreto verrà a galla e qualcuno si farà male). Di contorno, Elizabeth, licenziata dalla North Stream Oil, appiedata da tutti tranne che da Angela, insieme ciò che troveranno nel fondo di un pozzo metterà (sempre prevedibilmente) le due donne nei guai. Su tutto questo, il passato di Jim è ancor più oscuro di quello che potevamo immaginare, qualcosa di atroce sta arrivando, ma lui ovviamente, insieme a tutti quelli che metterà in mezzo, si farà trovare pronto, pronto in stile The Walking Dead a proteggere la colonia e la sua (stramba) famiglia. Capite ora perché tutto è banale, tutto è confuso, e un punto centrale non c'è? Perché appunto, il covo di santi di cui sopra, non sarà il posto beatificato tanto "glorificato", la trama e le sequenze invece, saltelleranno (noiosamente) da un protagonista all'altro, da una situazione all'altra, lasciando che alla fine si intreccino, si risolvano (nel bene e nel male), fondandosi per un epilogo (incompiuto) che lascia spazio (purtroppo) ad una terza stagione. Tuttavia di salvabile oltre a qualche brano di pregio che si avvicenda nella soundtrack e che talvolta riesce a sostituirsi ai lunghi (ed estenuanti, anche inutili) monologhi di assordante silenzio dei protagonisti, l'attore protagonista, comunque perfetto nel ruolo di un uomo un po' folle, a tratti crudele, ma paradossalmente (a discapito di quello che pensa la figlia mezza matta) intelligente e fondamentalmente giusto e sentenzioso. Male invece, ma solo perché utilizzati alla buona e meglio, tutti gli altri, tra cui John Lynch. In definitiva quindi, seconda stagione peggiore della prima, però l'incompiutezza finale sorprendentemente potrebbe spingermi a vedere (aiuto) anche la terza. Voto: 5
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