Recensione pubblicata su Pietro Saba World il 11/10/2018 Qui - Tutti ne parlano, tutti la amano: Riverdale è la serie del momento e io, non potevo non vederla e non recensirla, e questo nonostante all'inizio una mia certa titubanza mi avesse spinto nell'evitare o non prendere in considerazione affatto la visione di questo ennesimo teen drama, giacché non bastava che la serie sembrasse qualcosa di già visto (o qualcosa di poco stuzzicante nonostante le sole 13 puntate complessive), ma il fatto che la suddetta fosse targata The CW e il produttore fosse Greg Berlanti, lo stesso delle ormai, personalmente stantie (soprattutto Arrow e Flash), serie DC Comics, mi lasciava parecchio perplesso. E invece, complice la ricerca di qualcosa di "leggero" da vedere durante questi ultimi mesi, complice i paragoni cominciati lo scorso anno e proseguiti quest'anno con Twin Peaks, paragoni più che giustificati dalle ambientazioni, l'atmosfera, le dinamiche e la narrazione quasi identici (e una attrice in comune), anche se in realtà, a posteriori, sembra più un bizzarro miscuglio di richiami a Dawson's Creek e Pretty Little Liars (quest'ultimo perché a indagare sono ragazzi), è scattata la scintilla, a dirla tutta senza troppe aspettative e pretese. E in modo abbastanza inaspettato la sorpresa è stata totale, e in tal senso meglio non sottovalutare Riverdale e soprattutto non pensare a Riverdale solo come un teen drama. Il tono della serie infatti, serie basata sui personaggi protagonisti dai fumetti (che ovviamente non ho letto e neanche mai conosciuta) della casa editrice Archie Comics, è tutt'altro che scanzonato, anzi, fa leva su quella morbosità da piccola cittadina universalmente applicabile dove il pettegolezzo e l'apparenza la fanno da padroni. L'etichetta di teen drama quindi sfuma verso il drama a tutto tondo della più classica tradizione televisiva americana. Da un lato infatti si recuperano alcuni stilemi dei capisaldi del genere teen drama (alcuni già accennati), dall'altro gli sceneggiatori riescono a compenetrare gli elementi adolescenziali con le vicende degli adulti (con le immancabili famiglie in lotta) fra cui spicca un Luke Perry (Dylan in Beverly Hills 90210) in grande spolvero nei panni del padre di Archie. Ne viene così fuori una serie (divenuta in pochissimo tempo, una delle serie più viste dagli americani) forse non irrinunciabile ma brillantemente godibile e convincente da meritare parecchi applausi.
Certo, in verità non vi è nulla di perfetto o che faccia gridare al miracolo ma la serie televisiva, attraverso le miriadi di stereotipi creati ad hoc attorno ai personaggi, funziona. Gli stereotipi si possono trovare nelle ambientazioni, quanto negli stessi temi narrati, tipici di ogni teen drama, tanto da esserne i punti cardine: il giornalino scolastico che diventa lo spunto per arrivare alla verità (scavalcando autorità e genitori), ragazzi che diventano fulcro e soluzione di vicende molto più grandi di loro, uscendone molto spesso indenni, gravidanze indesiderate, accenni al bullismo e allo slut shaming, conflitto tra genitori e figli, la musica e le attività extra scolastiche. Insomma, Riverdale sembra una serie televisiva uscita dagli anni '90 nella sua struttura ed ambientata negli anni '70, tra tavole calde e milkshake, che tuttavia riesce a mostrare una stesura propria ed originale. La serie infatti, al momento composta da due stagioni (la prima è di tredici episodi, interamente pubblicata su Netflix lo scorso luglio, la seconda, di ventidue, quest'ultima disponibile solo recentemente presso la rete televisiva Premium Stories) con una terza già in programma, riesce a tenerti incollato ed a intrigare grazie ad un impianto narrativo davvero incredibile. Perché anche se ogni episodio sembra un episodio a sé, l'unico tassello che li collega è la morte di un ragazzo ed i vari tentativi da parte della polizia e degli abitanti di capire chi sia stato a commettere il crimine, la serie ti lascia lì fermo con la volontà di sapere cosa diavolo sia successo. Ti lascia l'interrogativo, ma perché è morto? chi lo ha ucciso? Secondo me è stato...(almeno questo frullava nella mia testa), salvo poi constatare spesso che avevi torto. Questo perché nel corso dei 13 episodi non solo il plot si infittisce, costellato di rivelazioni e twist piazzati in maniera strategica e mai fini a sé stessi, innervando così il drama di una buona dose di murder mystery che pur trovando una risoluzione nell'episodio finale ma che apre anche interessanti, ed attuali, scenari per la seconda stagione.
A proposito di plot, ecco nel dettaglio la trama. Riverdale è una comune e ridente cittadina degli Stati Uniti. La comunità viene improvvisamente scossa dalla drammatica notizia della morte del quaterback della squadra di football Jason Blossom (ricco rampollo di una nota famiglia locale), rimasto vittima di un incidente in barca. Mentre Jason moriva a pochi metri di distanza, Archie Andrews era in compagnia della sua professoressa di musica ed ha udito un chiaro colpo di pistola. Il ragazzo, figlio di un impresario locale, amante della musica e dello sport, vorrebbe confessare alla polizia ciò che ha udito quel giorno, ma ovviamente questo renderebbe pubblica la sua relazione clandestina e distruggerebbe il rapporto tra lui e la professoressa e tra lui e la sua amica d'infanzia Betty, da sempre innamorata di lui. Nel frattempo in città arriva anche la mondana Veronica Lodge che porta con se gli scandali attribuiti a suo padre. A movimentare le acque ci sono anche i Southside Serpents, una gang locale guidata da "F.P.", padre di "Jughead", uno dei migliori amici di Archie, che con i loro traffici illeciti sembrano essere coinvolti nelle vite di tutti i protagonisti. Di cosa succederà dopo è meglio scoprirlo vedendo la serie, di sicuro è intuibile ad un primo sguardo già capire che l'omicidio del perfettissimo Jason Blossom porti alla luce tutti i segreti seppelliti sotto tonnellate di perbenismo e di scadente tinta rossa per capelli, gravidanze, fratelli perduti, traffico di droga, legami di parentela che nemmeno Beautiful c'aveva (forse) pensato, e chi più ne ha più ne metta, a Riverdale non manca proprio niente. In tutto ciò gli adulti fanno da sfondo, sono gli artefici di tutti gli errori che hanno portato allo scatafascio che si vede e sono lo specchio di ciò che potrebbero diventare i loro figli se solo seguissero le loro orme. E quindi in tutta la prima stagione ne succedono davvero di tutti i colori, così tanti che davvero difficile farne un resoconto completo, proprio per la capacità della serie di stravolgere tutto ogni volta, e questo oggettivamente è un punto a favore, anche perché ciò avviene con estrema coerenza e senza troppe forzature. Altro punto a favore è la volontà di puntare sui personaggi.
Se trame estremamente complesse ed articolate sono il mantra della serialità televisiva moderna, Riverdale invece preferisce mettere al centro dell'attenzione il quartetto composto da Archie, Jughed, Betty e Veronica rendendoli parte integrante dello sviluppo della trama. I 4 ragazzi infatti saranno assolutamente pro-attivi nei confronti dell'elemento scatenante (l'omicidio di Jason Blossom appunto) divenendo strumentali per risolverne il mistero e scoprirne i retroscena. Ai 4 protagonisti inoltre viene fornito lo spazio necessario per crescere e maturare nel corso dei 13 episodi, uno su tutti Jughead (sorprendentemente ben interpretato da Cole Sprouse, uno dei gemelli Zack e Cody) che da outsider introverso e da personaggio marginale e di supporto diventa centrale nella narrazione e sarà quello che, in definitiva, verrà investito maggiormente dai cambiamenti che la piccola cittadina attraverserà in seguito al fatto delittuoso. Una cosa è fondamentale sottolineare: seppur i protagonisti sono adolescenti la serie non cade quasi mai nel banale (non possono mancare ovviamente momenti più scanzonati con balletti e qualche canzoncina) ma la formula della serie trova un equilibrio perfetto evitando sviolinate eccessivamente sentimentali o drammatiche. Ad esempio il tema della musica è trattato in maniera sorprendentemente realistica: Archie è dubbioso se continuare a giocare a football o proseguire nello studio del canto e della chitarra, il padre ovviamente propenderà per la prima opzione più solida e capace di garantirgli l'ingresso al college. Esempio semplice ma calzante, e con cui chiunque si può facilmente relazionare, della volontà degli sceneggiatori di mantenere un taglio moderno e sincero. Da questo punto di vista gli sceneggiatori sono così sicuri della loro formula da poter trattare subito (già al terzo episodio) elementi di giustizia sociale: nell'episodio in questione si affronta il tema dello slut-shaming attraverso i social network. Il risultato è un episodio tosto (con special guest Shannon Purser già nota per il suo di Barb Holland nella prima stagione di Stranger Things) lontano anni luce dall'imperante politically correct (che comunque c'è, tra gay e sindaci di colore).
Degno di nota è anche l'episodio finale di stagione che non solo sfoga una buona dose di ormoni quasi tenuti a stento a bada durante tutta la stagione ma termina con un inaspettato cliffhanger sul quale sicuramente gli sceneggiatori costruiranno un nuovo mistero per la seconda stagione e sul quale potranno innestare anche una serie di riflessioni e temi sociali. Ottima anche la regia che adotta soluzioni semplici puntando sul ritmo e su alcune soluzioni mutuate dalle grandi serie del passato una su tutte Twin Peaks soprattutto per l'utilizzo spesso straniante dei flashbacks e dei soliloqui interiori dei personaggi. La fotografia algida e illuminata da luci al neon sembra invece rifarsi a certe pellicole di Brian De Palma, Ridley Scott e più recentemente Nicholas W. Refn accentuando così certe atmosfere opprimenti e sinistre che si sposano con la spina dorsale, il murder mystery, della serie. Vista la tematica, Riverdale non poteva far altro che servirsi di un cast alle prime armi o comunque abbastanza sconosciuto al pubblico internazionale. La serie televisiva farà di certo da trampolino di lancio per alcuni degli attori protagonisti, non c'è da stupirsi se a dieci anni da ora, qualcuno di essi sarà attore protagonista di uno show di successo, o addirittura verrà ammirato in un blockbuster hollywoodiano. Le interpretazioni sono state a dire il vero basilari, nessuno di loro ha richiamato l'attenzione in termini puramente attoriali, ma la giovane età dà largo spazio alla maturazione e dalla loro hanno comunque una presenza affascinante che molto spesso li ha aiutati anche nel corso della serie (tra questi KJ Apa, già intravisto in Qua la zampa!, Ashleigh Murray, già intravista in The Following, Casey Cott, e infine un trio di gnocche assurde, la bellissima Lili Reinhart, la sensuale Camila Mendes e la graffiante Madelaine Petsch). Il cast è poi stato condito di presenze più celebri, segnaliamo quelle di Mädchen Amick (nota principalmente per i ruoli di Shelly Johnson nella serie televisiva I segreti di Twin Peaks, nel relativo prequel Fuoco cammina con me, e nel revival del 2017), del già citato Luke Perry (riuscito nello straordinario record di mantenere la stessa espressione anonima dal 1990 con Beverly Hills fino ad oggi, che provoca però sentimentalismi nel vederlo padre di un teenager), Marisol Nichols e Skeet Ulrich. E insomma Riverdale, nonostante i dubbi si è rivelata una serie sorprendente, scoppiettante, intensa e dannatamente intrigante. Una serie che, nonostante i naturali difetti insiti (poca originalità nel complesso) e quelli rivelatisi (stereotipi e sotto-trame repentinamente chiuse), conquista, convince e intrattiene ottimamente. Voto: 8
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