Recensione pubblicata su Pietro Saba World il 18/07/2018 Qui - In una società in cui siamo biologicamente spinti a dare una spiegazione a qualsiasi cosa, come potremmo reagire al cospetto di un miracolo? Un evento così leggendario, che solo chi ha una fede ferrea è disposto ad accettare, travolge e innesca una serie di eventi destinati a cambiare la vita di tutti. E Niccolò Ammaniti, esordiente regista nel film "Io non ho paura", torna sullo schermo con una serie televisiva in cui analizza proprio le varie reazioni che alcune persone, differenti per ceto sociale, religione e professione, innescano nel momento in cui entrano in contatto con qualcosa che non possono comprendere. Toccherà a loro decidere in quale modo affrontare un evento simile. Il Miracolo infatti, serie televisiva italiana di genere drammatico trasmessa dall'8 maggio 2018 su Sky Atlantic, co-prodotta dalla stessa Sky, che si struttura su due narrazioni apparentemente disgiunte, ma che saranno poi destinare ad incontrarsi: il prima e il dopo del miracolo, e in dove i paesaggi romani, i luoghi selvaggi e aridi della Calabria e le distese pianeggianti dell'Emilia Romagna fanno da sfondo alle vicende dei protagonisti, ma soprattutto fortemente aderente alla realtà politica e sociale presente (basti pensare alla questione dell'uscita dall'euro) che parte appunto da una domanda semplice eppure profonda "come cambierebbero le vite di chi entra a contatto con un vero e proprio miracolo?", che parte proprio con l'incipit del ritrovamento di una statuetta della Madonna che piange sangue, ci racconta di come questo evento inspiegabile può sconvolgere l'esistenza, di quali ripercussioni avrà sulle vite di tutte le persone che ci entreranno in contatto, di una serie di personaggi interessanti, atipici (e non del mondo intero, non di un evento ultraterreno). La serie difatti, come si intravede fin da subito, non vuole e non è la storia di un evento soprannaturale che travalica l'umana comprensione violando le leggi della natura per obbedire solo a quelle dell'onnipotenza divina, non a caso la statua della vergine che piange compare non spesso e lo stratagemma del congelarla è solo un intelligente escamotage per suggerire allo spettatore che quel sangue che si accumula in maniera sovrabbondante è solo la scintilla che doveva accendere la fiamma di una serie il cui fuoco si sarebbe alimentato di ben altro. Giacché tenere nascosto il miracolo in nome di una discutibile ragion di stato ha permesso alla serie di concentrarsi non sull'isteria collettiva che avrebbe colto il mondo di fronte ad una tale rivelazione, ma piuttosto sui pochi personaggi che ne sono venuti a conoscenza. Ed Il Miracolo è appunto la loro storia.
La storia privata di chi non sa cosa fare della statua ed ha problemi ben più urgenti. Ovvero il premier italiano Fabrizio Pietromarchi (Guido Caprino, direttamente da 1992 e 1993, e forse 1994..) con la sua famiglia. È lui infatti a dover gestire la delicata questione che viene in realtà messa da parte a causa delle difficoltà che è costretto ad affrontare nella vita pubblica e privata. Una moglie infelice ed infedele (Elena Lietti), due figli (bravissima, intensa e di gran talento è la piccola Sara Ciocca) che si allontanano sempre di più dai genitori (colpa di una tata abbastanza ambigua interpretata da Irena Goloubeva) e un referendum che minaccia di fargli perdere l'incarico. Il miracolo è difatti solo uno dei numerosi problemi nella vita di quello che, prima di essere premier, ci viene presentato in quanto uomo. Il Miracolo è anche la storia di Sandra (Alba Rohrwacher) che si è dedicata anima e corpo alla madre in stato vegetativo sacrificando la sua vita nell'attesa di una guarigione impossibile. E, invece, il sangue in cui credeva di trovare la medicina miracolosa di una malattia incurabile arriva a guarire non la madre che invece muore, ma la stessa Sandra. Curando la sua infondata convinzione che assistere la madre fosse un modo di espiare una colpa inesistente. Portandola a sfidare ogni logica pur di dare un volto al miracolo come se dietro di esso potesse celarsi un senso che le sfuggiva. Capendo, infine, che il miracolo era per lei e lei sola che doveva lasciarsi andare ad un nuovo domani che cancellasse i ruderi di un passato da lungo tramontato. Situazione in fondo analoga a quella di Clelia (Lorenza Indovina) ancorata a ciò che poteva essere e non è stato, al ricordo di un amore tranciato come un fiore prima che sbocciasse e alla colpa di un figlio abbandonato per paura e rimorso. Anche se della statua piangente ha solo sentito parlare senza mai crederci, è anche per lei che il miracolo è avvenuto. E non è quello del sangue, ma del cambiamento di cui aveva bisogno per poter finalmente pensare a costruire un domani invece di vivere sempre e solo nel ricordo di un ieri che non è mai davvero esistito. Il Miracolo è anche la storia di innocenti che si sono persi o che stavano per perdersi o che ingiustamente erano stati scambiati per colpevoli. Personaggi che attraversano percorsi differenti accomunati dallo stesso minimo comune denominatore: l'aver visto piangere una altrimenti anonima statua di una delle tante Madonne che popolano l'Italia rurale. Virtuosi che avevano smarrito la via della fede come padre Marcello e che si sono perciò persi negli inferi del sesso malato e della ludopatia.
La serie di Niccolò Ammaniti infatti, oltre alla politica, di cui mette in scena alcuni aspetti fondamentali senza tuttavia analizzarli completamente, è interessata anche alla religione. Essa è sottoposta ad una disamina diversa, più profonda e soprattutto moderna. Lontana dalla classica concezione della religione come verità assoluta ed inequivocabile, Il Miracolo si interroga sul senso di una fede cieca di fronte ad un presente che ci mette sempre più in difficoltà. La figura che incarna questi dubbi è padre Marcello, interpretato da Tommaso Ragno. Giocatore d'azzardo, lascivo, ubriacone. Si tratta di un personaggio camaleontico, estremamente fedele eppure lontanissimo dalla figura ideale di un prete. Tuttavia, proprio costui, il personaggio inizialmente più forte, è però alla lunga anche il meno riuscito della serie: per lunghi tratti è quasi un corpo estraneo al resto della narrazione. Una narrazione che per questo soffre, giacché l'idea di partenza di grande forza, che apriva a una moltitudine di possibilità narrative, non viene del tutto, e non eccellentemente esposta, di qualche lacuna. Infatti, nonostante le infinite potenzialità del soggetto (che non manca comunque di offrire numerosi spunti di riflessione), col progredire della storia è evidente una crescente difficoltà ad armonizzare la dimensione corale dello script, il cui andamento a tratti caotico sacrifica la definizione della resa dei protagonisti. Mettere lo spettatore davanti a delle grandi idee significa anche creare grandi aspettative, che però nel corso degli 8 episodi non sempre vengono soddisfatte. Tra gli aspetti meno riusciti nella realizzazione de Il Miracolo vi sono sicuramente le linee narrative secondarie, a partire da quella del personaggio di Sole, la moglie del premier. Elena Lietti (La Pazza Gioia) mostra un grande talento nel ritrarre una parte tanto irritante da risultare quasi irrealistica, ma il problema risiede proprio nella scelta di portare sullo schermo lo stereotipo di una donna professionalmente e sessualmente frustrata, che non si cura dei figli e si annoia di esser reclusa in casa, e di contrapporla a una "nemesi" altrettanto esasperante: Olga, "nutrice" dei figli che si spende per convertirli alla religione e alla preghiera. Questa ampia parentesi, tutt'altro che appassionante, vuole introdurre la questione della fede senza associarla all'idea del miracolo, ma risente per l'appunto dell'essere del tutto slegata dal tema principale senza per questo arricchirlo: un riempitivo di cui non vi era alcun bisogno. È su questi elementi che lentamente Il Miracolo si arena, dilungandosi in vicende familiari, improbabili sette e continui tradimenti che finiscono per raffreddare nello spettatore l'entusiasmo iniziale. Al pari di questa linea narrativa, gli struggimenti sentimentali della biologa interpretata dalla Rohrwacher o le conseguenze della ludopatia di Marcello finiscono per contribuire a creare un grande affresco che risulta però confuso, mentre la serie perde spesso la direzione e il senso finale.
Un finale che arriva comunque dopo otto puntate di altissimo livello, che potrebbe reggere anche come definitivo, in cui finalmente, dopo che fino all'ultimo episodio l'origine del miracolo era misteriosa, appare evidente che si tratti di un intervento divino fatto per rimettere le cose al loro posto, concedendo giusto un pizzico di misericordia. Da questo punto di vista, quindi, la serie finisce riconoscendo non solo l'esistenza di un Dio, ma anche la sua capacità di intervento nelle faccende umane. Inoltre per quanto sia forzato trovare dei nessi causa-effetto tutto appare in qualche modo legato e in grado di legare quelli che sono i tre elementi intorno a cui ruota la storia degli italiani, ovvero lo Stato, la Chiesa e la Mafia. Non a caso il "vero" finale di stagione è affidato al personaggio (personalmente il migliore) del generale Giacomo Votta (Sergio Albelli), quello che ha attraversato tutte le puntate guidato sempre da razionalità e buon senso. Due fattori che gli hanno fatto capire che il proprio ruolo di difesa delle istituzioni doveva imporgli di agire per togliere troppo potere da mani evidentemente non in grado di amministrarlo. A livello macro, è lo Stato che si prende cura della Chiesa e insabbia tutto, a livello micro è solo un'altra forma di devozione, quella nei confronti dei cittadini e delle istituzioni. In tal senso è doveroso sottolineare la qualità della sceneggiatura che al di là degli incastri perfetti, va elogiata per come sia riuscita a trascinare lo spettatore dentro una storia laterale come quella di Salvo e di suo figlio Nicolino. Non era facile catturare da subito con una vicenda che sembrava una semplice digressione (che poi in verità è, poiché più che nelle altre trame la suddetta storia ci lascia con molte domande e tante ipotesi che forse vedranno la luce nella seconda stagione se mai ci sarà), ma qui scrittura e interpretazioni (soprattutto in questo caso) hanno lavorato al meglio. Come lavora al meglio la regia. Niccolò Ammaniti, alla sua prima esperienza, seppur aiutato da due registi esperti come Francesco Munzi (Anime Nere) e Lucio Pellegrini (Romanzo Siciliano), dimostra comunque di avere buone idee e di aver imparato dai più grandi. Non è difficile infatti riconoscere echi lontani del Lynch di Twin Peaks, ispirazioni di House of Cards o elementi della vita politica e criminale di Suburra. Anche se, in tutta sincerità, abbastanza ridicole sono le visioni oniriche, gli intrighi politici e gli aspetti criminali (mafiosi) della vicenda. Al contrario la macchina da presa si muove comunque in maniera elegante, leggera, dimostrando una certa personalità da parte dello scrittore, non solo per il suo gusto musicale, che ben si amalgama alla narrazione, ma soprattutto per la straordinaria sigla, accattivante, ambigua, sorprendente e incredibile, praticamente indimenticabile.
Il Miracolo è quindi inevitabilmente debitore per i suoi numerosissimi meriti alla grande visione artistica del suo creatore e showrunner del progetto, eppure (come detto) ha proprio in una supervisione un po' distratta e in una guida forse poco decisa i propri problemi principali. Giunti all'ultimo episodio, quel che resta è difatti un concept geniale, un grande inizio e un finale memorabile. Un finale che ha tutti gli elementi per una seconda stagione, ma che potrebbe senza problemi anche essere un finale di serie soddisfacente, non didascalico, non definitivo, ma del tutto in linea con lo stile de Il Miracolo (perché la soluzione dei misteri che restano aperti può anche essere irrilevante ai fini della storia che si è voluta raccontare, una storia di uomini che sanno cambiare e imparare, cadere e rialzarsi, ed è questo il vero e più spettacolare miracolo). La maggior parte di quel che sta nel mezzo si perde invece tra idee mal gestite o addirittura sprecate. Il Miracolo dimostra comunque che anche la serialità italiana può avvicinarsi ai livelli di quella statunitense, pur senza ricorrere all'inflazionato settore del crime ed esplorando invece la strada decisamente meno battuta del dramma soprannaturale. Ancora una volta (ma solo dopo Gomorra, perché Riviera, Tin Star e Britannia hanno leggermente deluso) Sky Italia (e Sky in generale) riesce a coniugare grande qualità e capacità di intercettare i gusti del pubblico internazionale, e dobbiamo riconoscergliene il merito. Perché anche se alcune risposte non sono soddisfacenti, esse vengono bilanciate da alcune trovate intelligenti. Perché anche se non esente da difetti, Il Miracolo (in cui da segnalare anche la presenza, seppur superflua di Daphne Scoccia, Monica Bellucci e Javier Cámara, già visto in Italia in The Young Pope, la migliore produzione italiana del 2016) è un esperimento coraggioso e tutto sommato ben riuscito. Un prodotto di eccellenza nel panorama italiano, e di un punto da cui partire per il futuro. Eppure su di lei c'erano parecchi dubbi (soprattutto miei), perché le aspettative erano alte, l'aura di mistero fittissima (della serie si sapeva davvero poco), ma dopo la prima stagione (quasi perfetta, anzi, in verità anche meno) i dubbi sono stati (moderatamente) spazzati via. Perché certo, qua e là qualche sbavatura c'è stata: qualche scena tirata via in malo modo, la sensazione di poter comprimere tutto ancora di più, eliminando un paio di puntate, ma niente che faccia però cambiare idea sul giudizio (comunque positivo) complessivo. Perché Il Miracolo (una serie che riesce a reggere una storia tutt'altro che facile da codificare) è riuscito a parlare di Dio, un personaggio scomodo e complesso, in modo davvero innovativo e speciale, insomma alquanto sorprendentemente (non perfettamente) ma convincentemente. Voto: 7
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