Recensione pubblicata su Pietro Saba World il 02/12/2016 Qui - Nei confronti di Sorrentino ho sempre avuto una certa antipatia, non solo per il suo stile di fare cinema (che ormai quasi tutti conoscono vedendo i suoi film, uno addirittura premiato con l'Oscar) ma anche per gli evidenti rimandi a certi personaggi, luoghi e paesaggi che a volte puzzano di accattonaggio mediatico e territoriale (Maradona è Dio detto da un cardinale è eresia, soprattutto se non vero, perlomeno come persona perché come giocatore era un grandissimo). Ma nonostante lo si ami o lo si odi, sta di fatto che finalmente ha probabilmente trovato il luogo giusto per potersi esprimere a grandi livelli, un tipo di cinema, quello delle serie tv, più facile per poter esporre il suo pensiero, il suo genio e sregolatezza (senza troppi giri di parole, più facile da comprendere), anche se The Young Pope, ideata e diretta proprio da Paolo Sorrentino, prodotta da Sky, Hbo e Canal+, che ha esordito il 21 ottobre 2016 sul canale satellitare Sky Atlantic, conclusasi venerdì 18 novembre, è una non-serie tv, è più un film, lungo dieci ore, pieno di andate e di ritorni, di dettagli, di citazioni e di teologia, d'altronde il tema trattato è la Chiesa. Ora non che Sorrentino non ha fatto e non è stato Sorrentino, anzi, ha scritto una storia potente (una sorta di parabola della solitudine, chi viene, chi va e chi rimane), ricca di immagini, dove i protagonisti, prima di essere preti, cardinali o papi, sono uomini, perciò una delle Sue storie, ma in questo caso in modo più fluido, meno onirico, ugualmente affascinante ma soprattutto più efficace. E di questo me ne sono accorto subito, perché già dalla straordinaria sigla (pop-rock di un gusto raffinato ma elettrizzante) qualcosa è cambiato nella mia percezione del suo cinema, poiché anche se qui non mancano affatto le sue classiche movenze, Sorrentino infatti non è certo un regista 'd'azione', ha un ritmo lento e dilatato tutto suo, concentra tutta l'attenzione sui dialoghi, racconta con modalità assai diverse dal consueto, riflettendo continuamente sulle inquadrature, sulle situazioni, sui personaggi, sul tormento della vita umana, alla fine, e anche se non mancano poi come ovvio le 'trovate', magari allegoriche (si pensi al canguro che vaga libero in Vaticano, e tanti altri), ma in questo caso davvero gustose, riesce a sorprendere, portando una serie che all'inizio poteva essere o sembrare una cretinata (e a volte la sensazione era anche la mia) in un esperimento completamente riuscito e pure discretamente interessante nonché, anche se sembrerà strano visto l'argomento, divertente e sottilmente ironico. A partire dal personaggio da lui ideato, un incrocio storico accattivante, misterioso e sconvolgente. Ricercato, potente e soprattutto 'Sorrentiniano'. La storia di un uomo e della fatica di stare al mondo. Quella di Lenny Belardo (un cardinale giovane, mite e dallo scarso peso politico), che inspiegabilmente e inaspettatamente, viene eletto pontefice dal collegio cardinalizio, che crede forse di aver trovato una pedina da poter manovrare a piacimento. Tuttavia Lenny (abbandonato in orfanotrofio in tenera età e continuamente tormentato da tale abbandono, tanto che ha sviluppato un rapporto molto turbolento con la fede e con Dio), salito al soglio pontificio con il nome pontificale di Pio XIII, si dimostrerà un papa controverso e per nulla incline a farsi comandare, machiavellico e manipolatore.
Durante la prima puntata infatti, Pio XIII si mostra ortodosso, profondamente conservatore, un rivoluzionario al contrario. Poi, con il tempo e le esperienze, cambia. E Jude Law, che lo interpreta, lentamente (e inesorabilmente) si trasfigura, il viso prima severo, si addolcisce, gli occhi si ingentiliscono, e le sue parole vengono influenzate da quello che Sorrentino indica come unico, possibile miracolo umano, l'amore. E si creano così scene immense, dalla fotografia splendente, dove uomini restano immobili, altari vengono eretti ovunque, e le donne (che donne) diventano tutte vergini Maria. Il giovane Papa diventa uomo, e un orfano diventa un sognatore. Papa Pio XIII difatti è il cardine della serie e su questo non ci sono dubbi. Egli predica il mistero al fine di rendere appetibile la Chiesa e nel medesimo modo sa rendersi desiderabile dal pubblico televisivo. La sua figura, insondabile e complessa, trova in Jude Law (attore straordinario e carismatico com'è stato in Black Sea) un saggio ed eccellente interprete, impossibile staccargli gli occhi di dosso. Scavando sotto la superficie abbagliante del protagonista, però, vi sono ben altri fattori che fanno di The Young Pope una serie degna di nota e tutti possono di fatto racchiudersi nel nome del regista. Una regista bistrattato, e ancora credo lo sarà per molto (ci vorrà tempo ma soprattutto più prodotti come questo per rendersi accettabile), ma per adesso anche e nonostante lo scetticismo alla pretesa del regista di passare dal film alla serie, ha fatto sì che mi sono ricreduto, almeno un pochino. Comunque la bellezza di questa opera dilatata in 10 episodi per un totale di 10 ore sta però nella sua densità, dall'intro tempestata di opere d'arte alle citazioni che costellano e uniscono i vari personaggi, dotandoli di lati divini e umani, fino alle ambientazioni mozzafiato, The Young Pope si rivela così come un lungo e godibilissimo film. Introduzione, svolgimento e conclusione reggono bene le alchimie registiche, correlate da riprese dall'alto e in soggettiva, obiettivi che ruotano intorno ai personaggi facendoceli scrutare senza remora e senza veli e sceneggiature che sanno intrecciarsi e rincorrerci (un po' come fanno i nostri peccati o le nostre gioie) facendo leva sulla realtà. Il regista partenopeo sa senz'altro bene che, se c'è una cosa che attira ogni essere umano, quella è la tentazione di cedere al piacere e anche i suoi personaggi sanno cedere, con filosofica eleganza, senza giudicare. Fatta eccezione per gli sprazzi onirici quindi, il genio è asservito alla regolatezza (più che sregolatezza). E questo diviene evidente quando, a completare il quadro, sul palcoscenico mette un piede anche (il bravissimo) Silvio Orlando cioè il cardinale Voiello. Difatti Voiello è l'antagonista di Pio XIII perché ogni fautore del bene, nella finzione, ha bisogno di un fautore del male che ne ostacoli il percorso (aspetto funzionale allo sviluppo di un personaggio dinamico), e affinché l'ascesa del giovane papa sia accattivante, occorre che i poteri del mondo temporale ne inibiscano le libertà. A dare man forte a Lenny, c'è però la madre putativa Suor Mary (ossia Diane Keaton, bravissima anche lei) pronta a rivestire un ruolo di supporto affine a quello di aiutante, di spalla del protagonista in grado di difenderlo secondo necessità.
Entrambi rappresentano quindi due punti di riferimento per Papa Pio XIII, nel bene e nel male. Suor Mary, infatti, è per Lenny una sorta di madre avendolo allevato e accolto da bambino, dopo che i suoi genitori decisero di abbandonarlo in orfanotrofio. È una donna autorevole e amorevole, è per il protagonista il conforto materno che non ha avuto, il ricordo dell'infanzia che le è stata rubata. Il Cardinale Voiello, invece, Segretario di Stato della Santa Sede, si pone inizialmente come intralcio, dimostrandosi infine la parte pratica ed essenziale della macchina ecclesiastica. Un uomo apparentemente scabroso ma in fondo armato di profonda umanità, costretto dalla vita e dal ruolo che ricopre a 'sporcarsi le mani', eppure dotato di una sensibilità ignota al resto dei suoi colleghi. Ogni tassello della narrazione classica è al suo posto, insomma. Fino a che, con lo scorrere degli episodi, ci si accorge che The Young Pope è anche una serie canonica nella forma ma il suo obiettivo è sovvertire dal di dentro l'architettura profonda di un'istituzione consolidata. Il gioco delle parti, infatti, si inverte quasi subito e allo spettatore tocca alzarsi dalla poltrona comoda degli schemi noti, Lenny non è un eroe, è un villain in piena regola, ma non tanto, perché Lenny è un ragazzo nel cuore, un adolescente dispotico che desidera quel che desidera nel momento in cui lo desidera. Il suo interesse non esiste, il suo ego non esiste, è la reazione incarnata, è lo spirito antico e vendicativo della Chiesa che torna in essere come un dio pagano rifatto corpo dopo secoli. Per questo ne vediamo e ne gustiamo di belle e di nuove. Gli ascolti così alti (e prevedibili) di 'The Young Pope' sono stati perciò una conseguenza di tutto ciò. In ogni caso, la novità di una serie così completamente 'd'autore' su un tema così 'universale' è piaciuta al pubblico e l'esperimento sembra davvero riuscito. Comunque diventa difficile racchiudere in un solo articolo il lascito morale, umano e sentimentale di The Young Pope. Come ogni opera d'arte, questa serie andrebbe quindi vista e rivista per scorgerne appieno il significato e, come ogni opera di Sorrentino, anche questa ci bagna di bellezza, infinito senso di perdizione e ritrovamento di sé ma in questo caso più che degnamente. Anche sulle tematiche oggetto della serie sono state dette moltissime cose e non sembra neppure il caso di entrare troppo nel merito. Diciamo che la riflessione sul potere, un tema che attraversa nel profondo The Young Pope, ne costituisce uno dei tanti motivi di fascino e di intrigo. Insieme alla musica straordinaria e meravigliosamente in tono. Rafforzano la costruzione della storia personaggi di spessore che dall'inizio alla fine accompagnano lo spettatore in un viaggio fatto di delizie, scelte e punti di vista. Oltre al Cardinale Michael Spencer (padre spirituale di Lenny) interpretato da James Cromwell, il Cardinale Andrew Dussolier, il migliore amico di Lenny (interpretato da Scott Shepherd), Monsignor Bernardo Gutierrez (Javier Cámara, il bravissimo protagonista di La vita è facile ad occhi chiusi), la responsabile del marketing e della comunicazione del Vaticano Sofia Dubois (Cécile de France), Esther (Ludivine Sagnier), la ragazza sterile 'miracolata' dal Papa e ancora il Cardinale Caltanissetta (Toni Bertorelli) e il Presidente del Consiglio (Stefano Accorsi). Tutti in parte, tutto molto efficace, come le due star d'eccezione, soprattutto Diane Keaton, Suor Mary, magnifica. Madre, confidente, anche lei orfana. Giocatrice di pallacanestro, sogno proibito dei ragazzi che cresceva quando era più giovane, e Donna. Con la maiuscola. Ci sono state scene, nel corso di The Young Pope, così potenti da scuotere in pochi secondi, l'immagine del bambino che si asciuga le lacrime prima di andare al capezzale della madre morente, la prostituta che incontra Lenny, cioè Pio XIII, e il suo migliore amico, entrambi in borghese, Voiello che abbraccia un bambino sulla sedia a rotelle, e che gli chiede perdono, il papa che prega (che ordina, anzi) a Dio di ascoltarlo. E poi la musica, tanta, bellissima. Bellissime anche le due puntate finali, dove Lenny Belardo risolve i suoi tormenti interiori, sorride e si mostra al mondo, affronta la morte delle persone a lui più care (Andrew e Spencer) e l'addio di Suor Mary, oltre al rifiuto da parte dei suoi genitori. Alla fine della decima puntata il Papa bambino si è fatto uomo, l'opera è compita e la conclusione non ci lascia nessun punto di domanda, anzi, quasi nessuno, si riprenderà o no? Chissà, forse lo sapremo nella seconda già sicura seconda stagione. Insomma una serie fresca e nuova, anche se non è la prima volta che il cinema parla di un Papa, ma proprio per la freschezza di un Papa giovane, eh sì anche ammaliante e blasfemo, che però vorremmo forse vedere riflesso nella realtà, ha trasformato la serie in una delle serie rivelazioni dell'anno. Voto: 7,5
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