Recensione pubblicata su Pietro Saba World il 21/06/2017 Qui - Dopo ben due anni di attesa è tornata Fortitude, la serie televisiva britannica (venduta in 170 paesi tra cui gli Stati Uniti e vincitrice di diversi premi internazionali) che, incentrata sull'investigazione di un omicidio in una fittizia cittadina della regione artica, aveva appassionato milioni di spettatori. Purtroppo però il suo tanto atteso ritorno è stato in larga parte disatteso, probabilmente illusorio. La serie infatti, creata da Simon Donald e tornata in onda il 27 gennaio, per la sua seconda stagione, in contemporanea in cinque paesi, Regno Unito, Germania, Irlanda, Austria e Italia su Sky Atlantic, ambientata nuovamente nel Circolo Polare Artico, girata in Islanda e nel Regno Unito e diventando la produzione inglese più costosa della storia della tv, con un budget di ben 25 milioni di sterline, vanifica tutto quello che di bello era stato proposto allo spettatore. Poiché se il primo capitolo di Fortitude (visto prima che aprissi il blog), grazie anche alla presenza illustre di Stanley Tucci ed una trama davvero criptica e avvolta in un telo oscuro, era stata avvincente e trascinante, il secondo atto cambia decisamente registro, abbandonando un po' (troppo) i misteri terreni del primo copione e tuffandosi (a piedi disuniti) in quello che in apparenza sembrava essere legato al sovrannaturale, senza però riuscire ad appassionare.
I paesaggi gelidi ed ipnotici sono rimasti ovviamente immutati, ma la seconda stagione, che si lega alla prima essenzialmente nel personaggio di Dan Anderssen, per colpa di abbondanti e inefficaci cambi di cast, di temi e situazioni, gira prevalentemente a vuoto. Priva di identità e tono, indecisa su quale strada prendere, diventa quello che non doveva diventare, il sequel serial televisivo più inutile, caotico e brutto di sempre. Nonostante numerosi sono i volti che dopo aver preso parte alla prima stagione, si sono ripetuti anche in questa, ma il loro carisma (e la loro efficacia strutturale) è stato sostituito con quello di nuovi personaggi meno convincenti, meno funzionali, praticamente gettati nella mischia, ed anche da una nuova storia da raccontare, addirittura molto più devastante e disastrosa, che si allaccia alla narrazione precedente solo attraverso il biondo ex sceriffo risorto dalle ceneri, ma purtroppo meno decisa, meno sconvolgente e sicuramente poco interessante. Comunque anche in questo caso il sipario si apre con un omicidio, un cadavere senza testa congelato nella neve tempestosa di Fortitude che, sotto la luce abbagliante di un'aurora rossa (secondo antiche profezie) lascia presagire l'arrivo del male e di un "demone" da scacciare.
Ci vorrà un po' per capire cosa la scia di cadaveri e sangue rappresenta, chi ne è il carnefice e a quale scopo egli agiva, ma dopo averla saputa, la sensazione è quella di aver assistito ad una clamorosa presa per i fondelli, in cui nuovi e vecchi protagonisti danno letteralmente il peggio di sé. Fin dal primo, mediocre episodio infatti, mi sono ritrovato a chiedermi come fosse possibile che gli sceneggiatori siano stati capaci di ammucchiare una simile quantità di scene e personaggi (isteriche le donne poliziotto e inutili alcuni sotto-testi e sotto-trame) e dialoghi del tutto sgangherati, oltre ogni credibilità e privi della più piccola traccia di ispirazione che invece permeava la prima stagione, puntando invece fino all'ultimo centesimo sullo splatter gratuito e sul misticismo da due soldi, in questo caso il giovane sciamano Vladek (personaggio chiave di questa stagione e interpretato da Robert Sheehan, uno dei tanti fantastici protagonisti di quel capolavoro che fu Misfits) che si evira in una vasca da bagno o dei suoi tentativi di mistificare alcuni suoi omicidi risultano del tutto fuori luogo, soprattutto nel caso in cui il divampare della piaga non ha esattamente una natura sovrannaturale, bensì frutto di un tragico e calamitoso virus portato da alcuni tipi di vespe, i cui vermi conducevano i malcapitati alla morte.
Malcapitati che, sotto le spasmodiche cure della dottoressa Katri (Parminder Nagra di E.R.: Medici in prima linea) che per una fantomatica organizzazione fa esperimenti sulla rigenerazione cellulare con la collaborazione dell'usurpatore governatore e accidentale assassino di Hildur Odegard (l'amatissima governatrice interpretata da Sofie Grabol), Erling Munk. Proprio quest'ultimo è l'elemento che ho più odiato oltre ad uno sprecatissimo Dennis Quaid (nel ruolo di un pescatore in cerca del famoso Granchio Gigante) sempre sopra le righe, psicolabile e mai del tutto convincente, e a Michelle Fairley (Il trono di spade), nel ruolo di una donna malata che fa di tutto per peggiorare la situazione. Erling Munk infatti, interpretato da Ken Scott (The Missing), un individuo viscido, arrivista, ormai precipitato del baratro senza ritorno della corruzione, con le mani troppo sporche per essere lavate e che sul groppone deve anche impilare un cadavere, nonostante la buona interpretazione dell'attore, resta l'elemento di disturbo più odioso e inetto della stagione, insieme allo sceriffo Dan (Richard Dormer), che non si capisce se finga o meno, risultando molto spesso irritante.
Come lo è irritante la narrazione, la particolarità di Fortitude difatti, oltre ad un'ambientazione glaciale e molto dark, era quella di intrecciare più trame, più misteri nello stesso gomitolo, ma se nel primo è bastato tirare il filo giusto per veder dipanarsi la matassa, nel secondo non succede, solo scopriamo, come facilmente è intuibile all'inizio, che tutto è legato allo sceriffo. Per questo e molto altro, ho trovato perciò, la sceneggiatura di questa seconda stagione (in cui una svolta non c'è mai, annoiando quindi parecchio per tutto il tempo) un gradino (forse tanto di più) sotto quella della prima stagione. Purtroppo l'inverosimiglianza dei fatti non ha lasciato spazio a grandi acuti, attestandosi al di sotto della sufficienza. La telecamera volteggia tra i fiocchi di neve e il gelido vento con un buon timing, prestando però attenzioni troppo lungimiranti verso alcune scene. Il grande atteso di questa seconda stagione era senza dubbio Dennis Quaid, chiamato a non far rimpiangere l'estro di Tucci con un personaggio molto diverso, decisamente più umano, più comune, un uomo che lotta contro la malattia della moglie e che non vuole piegarsi alla crudeltà della natura. Dennis si è comportato molto bene (sul suo talento d'altronde non c'erano dubbi), ma il suo personaggio proprio no.
Comunque di certo non mi aspettavo un capolavoro o qualcosa di paragonabile alla prima eccezionale stagione (che vi consiglio di recuperare), ma di salvabile in questa seconda deleteria stagione, che per fortuna con tutte le probabilità, trova proprio nella seconda stagione il suo epilogo (anche se con le serie tv, non c'è mai da dare nulla per scontato o per sicuro), c'è ben poco. Se la prima infatti era caratterizzata da bei personaggi e da ottime interpretazioni, da regie ispirate e da una bella fotografia, da un ottimo lavoro svolto sull'audio e sulle musiche, dove la puntualità delle note era sempre impeccabile, soprattutto per la bravura nello scegliere il motivo giusto per ogni scena che rasentava la perfezione, qui tutto è meno puntuale, meno convincente, meno orecchiabile e insomma meno bello e interessante da seguire. In ogni caso la sigla rimane bella, l'ambientazione anche, ma tutto il resto no, rimane sul groppone solo tanta delusione e un pizzico di rabbia. Voto: 5
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