Recensione pubblicata su Pietro Saba World il 23/02/2017 Qui - Due anni, nell'universo della serialità televisiva, possono rappresentare un tempo vastissimo, soprattutto quando l'ultimo tassello di un racconto era costituito da un importante cliffhanger destinato a ribaltare equilibri e rapporti di forza fra i personaggi, nonché la natura stessa di una serie. È quanto accaduto con The Fall, serie thriller a sfondo poliziesco della BBC Two, creata, sceneggiata e diretta da Allan Cubitt e andata in onda per la prima volta nel maggio 2013 (su Sky Atlantic in Italia poco dopo e alcuni giorni fa), raccogliendo notevoli consensi in patria e non solo. E quindi The Fall fa il suo ritorno con una terza stagione dal compito non facile, ovvero, concludere il percorso legato alla caccia al serial killer Paul Spector (Jamie Dornan), lo "Strangolatore di Belfast", dopo i fondamentali sviluppi della stagione precedente, nel corso della quale Spector era stato prima individuato, poi arrestato (da parte della detective sovrintendente Stella Gibson alias Gillian Anderson) e infine ferito gravemente da un colpo d'arma da fuoco nel concitato season finale. E purtroppo non si dimostra all'altezza delle due ottime annate precedenti. The Fall infatti cambia natura, anche se era un passaggio obbligato, perché il thriller con la polizia a caccia del temibile serial killer con la visione di efferati reati non avrebbe più avuto senso di essere. Neppure una riproposizione delle vicende con un diverso contesto sarebbe più potuta essere una cosa interessante. The Fall perciò cambia pelle e si trasforma in una profonda e affascinante analisi dell'animo umano, delle motivazioni del dolore e dei gesti della disperazione. Si trasforma in un'approfondimento su ogni uomo e donna e sul loro essere vittima ancor prima che carnefice. Mantiene il suo sguardo approfondito sulla condizione umana, ma lo dispiega in una narrazione non adatta a chi ama l'azione, ma da chi brama l'approfondimento psicologico e da chi vuole sentirsi profondamente toccato nelle corde emotive. Non proprio intrigante e interessante, anche se è utile per conoscere il finale della storia.
La storia è appunto quella di Spector, 32enne marito e amorevole padre di famiglia la cui disturbante doppia personalità lo spinge ad assassinare donne single, nella loro lenta morte per strangolamento, il giovane omicida trova l'equivalente della soddisfazione sessuale, una liberazione per gli impulsi reconditi della sua anima nera. Ma dopo la cattura e tutto il resto, nella terza assistiamo alla sua lotta tra la vita alla morte e quindi alla sua ripresa, con una (vera o simulata?) amnesia che gli impedisce di ricordare i suoi atroci delitti. E perciò esauritasi la tensione che aveva contraddistinto i precedenti episodi, The Fall 3 diventa difatti un dramma psicologico, uno scavo nelle anime dei protagonisti che porta alla luce maggiori dettagli ma offre l'impressione che il regista abbia già sparato tutte le sue migliori cartucce. Poiché al di là dell'escalation violenta di un finale quanto mai disturbante e volutamente nichilista, i sei episodi scorrono senza troppa convinzione, aprendo nuove linee narrative non particolarmente forti (la scoperta del primo delitto di Spector, lo spunto legal drama appena accennato) e rivelandosi interessanti soprattutto per l'attenzione maniacale ai dettagli e la ricerca di un realismo puro, quasi radicale. Ma nonostante ciò la serie riesce a catturare l'attenzione, perché al di là delle sue pur non trascurabili imperfezioni, la creatura di Cubitt sorprende per il sublime disegno dei personaggi, la cura straordinaria dei dialoghi, le atmosfere inquiete e angoscianti, le interpretazioni misurate e perfette di tutti gli attori. Senza citare la bravura dei comprimari (John Lynch su tutti), Jamie Dornan è glaciale e talmente efficace che sarebbe ingiusto accostarlo solo a Cinquanta sfumature di grigio. Il vero faro che illumina la produzione è però un'immensa Gillian Anderson, che dà vita in sottrazione a uno dei più grandi ritratti di donna nella storia del crime, geniale quanto fragile, rigorosa ma evanescente, sessualmente libera eppure ineluttabilmente sola, Stella Gibson parte quasi come un'evoluzione aggiornata della Dana Scully che la Anderson impersonò in X-Files e, passo dopo passo nella discesa agli inferi che la porta a incontrare la mente tenebrosa dell'avversario/doppio Spector, ci regala una grandiosa e indimenticabile icona femminista, di cui la tv e il mondo hanno disperatamente bisogno. E' per questo che la serie riesce a farsi apprezzare nuovamente, anche se non tutto convince. Consigliato soprattutto a chi ha visto le prime due. Voto: 6+
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