Recensione pubblicata su Pietro Saba World il 22/11/2016 Qui - Può una serie tv lenta e con una trama quasi scontata (il classico dramma amoroso di lui, lei e l'altra) riuscire a tenere lo spettatore incollato alla tv? Se si tratta di The Affair la risposta è sì. La serie infatti, prodotta dalla Showtime (quella di Billions, ma anche Dexter e Homeland), creata da Sarah Treem e Hagai Levi, già creatori dello psicanalitico In Treatment, che continuano a portare i segreti della mente umana sul piccolo schermo, anche se questa volta decidono di tingerli delle tinte noir del thriller, è qualcosa di unico nel panorama televisivo, in quanto riesce a rendersi particolarmente interessante, perché riesce a sconvolgere ed intrigare. Poiché di serie che colpiscono, intrattengono ed incuriosiscono è piena la tv, ma poche sono quelle che sono in grado di sconvolgere chi le guarda nel corso della visione facendogli vivere in prima persona le sensazioni che provano i personaggi su schermo, e The Affair è una di quelle, d'altronde se la serie ha già vinto ben 3 Golden Globe (Migliore Serie Drammatica, Migliore Attrice in una Serie Drammatica a Ruth Wilson, Migliore Attrice non protagonista in una Serie Drammatica a Maura Tierney) un motivo ci sarà. La serie che è andata in onda da settembre ad ottobre e ad ottobre e novembre con le prime due stagioni su Sky Atlantic una dopo l'altra e proseguirà dal 30 novembre sempre sulla stessa emittente della piattaforma Sky con la terza attesissima terza stagione, sfrutta infatti una formula davvero ingegnosa e innovativa, quella che raccontando la più classica e nota delle vicende, quella di una relazione extra-coniugale fra un uomo ed una donna entrambi sposati, tra Noah Solloway (Dominic West, The Wire), aspirante scrittore e Alison Lockhart (Ruth Wilson, la punta di diamante che finora in tv aveva praticamente interpretato solo la distaccata figura di Alice Morgan in Luther), una cameriera che conosce durante un periodo di relax a Montauk, negli Hamptons, dove lui è ospite nella casa per le vacanze del padre di Helen (Maura Tierney, la madre dei suoi 4 figli), uno scrittore di successo la cui fama pesa sulle spalle di Noah che non riesce ad eguagliare il suocero, che nel frattempo sta cercando di tenere in piedi il suo matrimonio con Cole (Joshua Jackson) dopo la morte del figlio, appassiona e sorprende. Perché anche se ciò potrebbe sembrare l'incipit di un romanzo Harmony, c'è il colpo di genio degli autori, quello che risulta evidente nella modalità scelta per narrare la storia, le puntate difatti vengono divise in due parti, una raccontata dal punto di vista di lui, lo scrittore di Brooklyn intrappolato nei legami familiari, l'altra dal punto di vista di lei, la ragazza di periferia che fatica ad andare avanti, e non sempre i due punti coincidono. In più scopriamo questa 'tresca' attraverso l'interrogatorio a cui i due amanti sono sottoposti durante l'indagine per un omicidio, un omicidio del quale scopriremo a mano a mano nuovi risvolti, che non sono complementari, ma alternativi.
Un omicidio (una grossa tragedia che soprattutto all'inizio agli spettatori non è dato sapere e che fa sì che i protagonisti poco per volta ci raccontino a posteriori) che sembra non avere un movente, movente che solo nella seconda stagione si scoprirà, insieme alla verità e quella presunta. E quindi le situazioni che si vengono inevitabilmente a creare sono ripercorse attraverso le sensazioni e i ricordi dei due amanti, che in più di una occasione hanno reazioni diverse di fronte ai vari accadimenti. È proprio questa inconsueta modalità di narrazione che riesce a coinvolgere lo spettatore e che rende innovativa una storia che, altrimenti, sarebbe potuta essere banale e scontata. Vestiti, dialoghi, caratterizzazioni dei personaggi e svolgimento degli eventi, tutto infatti cambia da un racconto all'altro. Questa è la grande intuizione dei creatori della serie, che si riproporrà in ogni segmento della vicenda, senza mai rivelarci il confine tra verità, finzione o semplice dimenticanza. Quale fra le versioni raccontate è quella vera? Oppure sono entrambe false? E perché il detective è interessato a sapere di più di questa relazione? Questi sono solo alcuni degli interrogativi che ci e mi spingono a seguire con crescente curiosità il brillante drama concepito dai due sceneggiatori. Un po' come il film L'amore bugiardo: Gone girl dove a volte si faceva fatica a capire qual era l'assoluta verità. Comunque tutti i dieci episodi della prima stagione di The Affair percorrono delle riflessioni sulla verità, sulla realtà e sulla forma del racconto che è incredibilmente affascinante. Certo, in un primo momento può sembrare difficile seguire il filo del racconto, ma, se si riesce a superare lo smarrimento iniziale, si riesce a godere ed apprezzare una delle migliori serie tv realizzate negli ultimi anni. Il coinvolgimento dello spettatore quindi inevitabile e incredibilmente aumenta ancora di più soprattutto nella seconda stagione, quando, oltre ai punti di vista dei due amanti, saranno presentati anche quelli dei rispettivi coniugi. In ogni caso l'inizio di serie è davvero folgorante e i successivi episodi lo confermano. La sorprendente incertezza su ciò a cui assistiamo infatti lascia spazio ad una dimensione quasi sospesa degli eventi, in cui dubiteremo di tutto e di tutti, pronti a recepire ogni minimo indizio sul mistero alle spalle della storia.
Una storia che come la storia stessa di The Affair, si sorregge quasi interamente sulla sua sceneggiatura. Infatti la regia e la fotografia empatizzano i dettagli visivi rendendoli incisivi all'occorrenza e prestandosi al servizio della storia con grande delicatezza, ma mai con invadenza. È tutto fuorché delicata invece la narrazione che permette di immedesimarsi nei personaggi e nelle atmosfere di quotidianità con scene volte alla normalità assoluta. Questo ai fini strutturali è importantissimo, lo spettatore si sente trascinato in un contesto in cui è facile rivedere sé stessi o qualcuno a loro vicino, affezionarsi ai personaggi e provarne dolore una volta che quella quotidianità viene loro strappata. I caratteri in gioco sono completamente alla mercé della storia, non esiste un personaggio completamente positivo o negativo, non ci sono buoni e cattivi, tutti sbagliano, tutti possono essere capiti, tutti possono essere odiati. E lo spettatore quando non è vittima di questo gioco né diventa per forza di cose giudice e carnefice, chi è la preda in questa storia, in questo esperimento di narrazione? Chi è il cacciatore? Chi nel giusto e nel torto? Ed i personaggi secondari che completano questo microcosmo narrativo, Helen (Maura Tierney, The Good Wife) e Cole (Joshua Jackson, Fringe, che riesce a scrollarsi di dosso l'etichetta di 'Pacey di Dawson's Creek' dimostrando di essere un bravo interprete), rispettivamente moglie e marito di due protagonisti principali, sono veramente come vengono dipinti nei punti di vista di Noah ed Alison? Oppure sono personalità estremizzate da fantasia e ricordi per giustificare le proprie azioni o mascherare sensi di colpa? Però bisogna dire che è altresì vero che questo esperimento che funzionava bene nei primi episodi, per continuare a sorprendere e stupire ha dovuto per forza di cose spingere molto sul lato sensazionalistico degli eventi, offrendo colpi di scena e svolte narrative continue, che con sorpresa hanno spinto la serie ad un (doppio) rinnovo quando personalmente avrei preferito si concludesse in un'unica stagione restando un prodotto di natura antologica, per non perdere quel mordente e quella suspense che si respiravano nel corso dei primi episodi. E invece, no, seconda stagione e pure terza stagione, fatto che mi stava per spingermi a lasciar perdere tutto. Ma fortunatamente non è successo, altrimenti non sarei qui a scrivere.
Perché comunque The Affair, che colpisce con una scrittura profonda, articolata ed una grande cura per i dettagli, oltre che per un cast ottimo (i quattro attori principali infatti sono abili a rendere credibili i personaggi), resta una visione piacevolissima ed interessante, poiché riesce a giocare molto con la psicologia e la morale dello spettatore, soprattutto per la tematica base di tutta la vicenda, il tradimento. Una tematica che siamo abituati a vederla inscenare praticamente ovunque, e nel più dei casi questa assume un'accezione positiva e volta a giustificare il comportamento del traditore, il partner ci viene presentato brutto, sovrappeso, con un caratteraccio e pieno di soldi, come a voler sottolineare che quell'unione sia stata dettata dal mero interesse. Questi cliché che rendono il copione semplice, trito e ritrito ha in realtà un significato più profondo, porre lo spettatore in una condizione di simpatia nei confronti del traditore tendenzialmente più simpatico e di bell'aspetto, e tifare per lui (o lei) proprio per ridere delle gag che ci verranno propinate nel corso della pellicola a dispetto del dispiacerci per la vittima del tradimento e crearci quindi un dilemma morale. The Affair difatti ci ricorda che non esiste niente di meno rappresentativo della realtà di tutti i giorni con continui pugni nello stomaco. Quindi tornando alle puntate, se nella prima stagione si esplorano le paure, i bisogni ed i desideri che attanagliavano Noah ed Alison, i traditori protagonisti di questa relazione proibita, nel secondo arco narrativo li ritroviamo dove li abbiamo lasciati e facciamo altrettanto con le vittime di questo tradimento, Helen e Cole, anche loro in grossa difficoltà a relazionarsi e a trovare un conforto.
In questo contesto si aggiungono poi diversi personaggi secondari precedentemente solo accennati nella prima stagione o completamente inediti, i riflettori sono ovviamente tutti su Scotty, il fratello di Cole [spoiler] che sappiamo essere stato ucciso e su cui verte maggiormente l'attenzione nel presente dove l'indagine per scoprire il suo assassino è nel frattempo evoluta in un processo che vede Noah il principale indiziato, e a cui verremo a capo solo nelle battute finali di questi dodici episodi, scoprendo il reale (ed incredibile) svolgimento dei fatti [fine spoiler]. Ma non sono da meno i genitori di Helen, Margaret e Bruce (John Doman, Rodrigo Borgia nella serie medesima), la figlia di Noah ed Helen, Whitney, il miglior amico dei due, Max, ed infine Luisa, la nuova fiamma di Cole. Tutti fondamentali nel circolo d'emozioni in quanto veicolano spesso le decisioni primarie dei personaggi e complici le loro relazioni con essi rivelano anche alcune sfumature altresì inesplorabili. Insomma, se la prima stagione si basava sulla sceneggiatura, nella seconda il tutto ruota attorno ai suoi personaggi, personaggi registicamente e stilisticamente presentati in maniera più dettagliata ed esaustiva, grazie anche ad una scrittura eccellente, che aiutata dall'ottima performance attoriale del cast in toto, rendono la visione una vera e propria esperienza in cui immedesimarsi, interpellarsi, soffrire, sperare e lottare. Anche la fotografia fa il suo dovere mostrando un netto contrasto tra le atmosfere colorate, nitide e luminose degli eventi svolti nel passato a differenza di quelli cupi, freddi e nebulosi del presente (quasi a voler marcare l'incertezza del futuro di tutti i coinvolti nella tragedia dei Lockhart), in cui la serie sembra riallacciarsi proseguendo lungo un unico filo conduttore in dirittura d'arrivo, fino alla sua seconda stagione. Una seconda stagione che pur attestandosi complessivamente al di sotto di una prima stagione poderosa e sorprendente, il 'volume secondo' della love story fra Noah ed Alison si conferma non solo un intrigante studio di caratteri, molto abile nel mettere in scena i conflitti (interni ed esterni) dei suoi personaggi, ma anche un fascinoso esperimento di storytelling, a cui contribuisce l'ottimo cast. Poco avvincente, invece, l'intrigo poliziesco (quello che più in ogni caso mi interessava), che tuttavia è servito più che altro come pretesto per porre i protagonisti di fronte alla responsabilità della proprie azioni in vista dei futuri sviluppi della serie. C'è da chiedersi quindi, come si muoverà la serie nel corso di una terza stagione? Sposterà la storia nel presente e mostrerà il futuro? Al contempo spero che il prossimo ciclo di puntate sia anche l'ultimo, o il rischio è quello di portare queste vicende e questi personaggi ad una Discesa (come il libro che Noah scrive, molto importante ai fini della storia) della qualità che in queste prime due stagioni si è mostrata invece in progressiva crescita, oltre che dover portare lo show a cambiare il suo titolo da The Affair a The Relationship.
Comunque nonostante il successo e la sua formula testata ed apprezzata, per la scelta di aggiungere e rimescolare le carte in tavola sempre più freneticamente, ha paradossalmente portato alla correzione (voluta o indiretta) di alcuni dei principali difetti riscontrati nella prima stagione, fatto che quindi non la rende una produzione impeccabile, anzi, le prime puntate (della seconda) sono dispersive e confusionarie proprio a causa dei 'point of view' di Helen e Cole, in quanto ripropongono le stesse vicende vissute da quattro punti di vista differenti anziché progredire con la storia che fortunatamente lo fa poco dopo. Questo unito ad un iniziale flashforward agli eventi della prima stagione ha contribuito a rendere difficile il raccapezzarsi tra le diverse linee temporali, quali il finale della prima stagione, le storie svolte nel passato e nel presente della seconda stagione, che solo nel finale scopriremo si sono mossi in un arco narrativo lungo (almeno) più di tre anni. È bene comunque specificare che dopo i primi episodi ci si è resi conto della cosa ed il tutto è stato reso più chiaro e scorrevole, e anche se la storia si dipana lentamente, la pazienza dello spettatore viene ripagata dai sorprendenti colpi di scena e dai risvolti inaspettati che la storia prende. Una storia, e un personaggio quello di Ruth Wilson davvero meraviglioso, come lei d'altronde, bellissima, che dona vita e calore ad un personaggio devastato e sofferente, vittima degli eventi e di se stesso. Infine, risulta davvero difficile giustificare i protagonisti della storia (l'unico a salvarsi davvero è Cole) ma nel suo caso l'umanità del personaggio la riscattano in parte, non si può dire lo stesso per i coniugi Lockhart. Insomma The Affair risulta perciò come una serie imperdibile, come quelle che se non le vedi ti perdi davvero qualcosa. Questo grazie anche alla scrittura che ci lascia liberi di odiare i protagonisti, di biasimarli, di insultarli per il loro comportamento, emblematici Noah e Helen, il primo troppo egoista (direi anche stronzo bastardo), la seconda troppo pronta al perdono. In definitiva serie drammatica di spessore, che in ogni caso, soprattutto nella seconda contiene scene di sesso, in entrambe scene di quotidiana realtà, ma tutte e due le stagioni sono da vedere assolutamente. Voto: 7,5
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