mercoledì 22 maggio 2019

Stranger Things (1a stagione)

Recensione pubblicata su Pietro Saba World il 21/12/2016 Qui - Da quando ho saputo di questa serie attendevo da tanto di vederla, e finalmente dopo un'attesa incessantemente piena di notizie, alcuni spoiler (fortunatamente evitati) e tantissimi giudizi positivi ci sono riuscito anche se purtroppo per alcune circostanze (ho già Sky e pure Premium) l'ho recuperata in streaming, ma tant'è che non potevo prima di quest'anno, prima delle classifiche annuali, perdermela. Ovviamente sto parlando di Stranger Things, serie televisiva statunitense di fantascienza ideata da Matt e Ross Duffer (due sconosciuti registi ora 'conosciuti' che però fino a quel momento avevano solo scritto e diretto un solo thriller Hidden, tra l'altro mai sentito, e avevano lavorato come sceneggiatori e co-produttori esecutivi di quattro episodi della, leggermente deludente, prima stagione della serie televisiva Wayward Pines, comunque migliore della seconda, qui), e prodotta per la piattaforma di Netflix (ormai famosa a tutti). Serie composta in tutto da otto episodi, dalla durata dai 42 ai 55 minuti. Serie che mi aveva incuriosito per la caratterizzazione dei personaggi, il cast e l'atmosfera che voleva omaggiare il (meraviglioso) cinema di fantascienza degli anni ottanta, divenuto cult. Ebbene, nonostante ella non partiva con i migliori auspici, registi inediti, cast abbastanza inedito e davvero poco 'marketing', ha davvero sorpreso. Sorprendente è infatti il risultato, anche se è il contesto quello che più ha contribuito al suo straordinario successo, tant'è che ultimamente la serie e alcuni membri sono entrati in lizza per tanti premi, tra cui il Golden Globe. Stranger Things (letteralmente strane cose) infatti ricorda molto da vicino, davvero molto, alcuni capolavori sia per la formula abbastanza simile, sia per tutto il resto, che hanno fatto epoca, I Goonies, La casa, Poltergeist, I Gremlins, Stand by Me, E.T., La cosa e molti, molti altri, anche se a me ha fatto subito pensare ad una specie di X-Files (anche se 10 anni dopo), d'altronde la serie, ambientata negli anni ottanta in una fittizia piccola città dell'Indiana (Hawkins nel novembre del 1983), è incentrata sugli eventi legati alla misteriosa sparizione di un bambino e all'apparizione di una ragazza dotata di poteri telecinetici fuggita da un laboratorio segreto, praticamente quello che quotidianamente succedeva a Mulder e Scully. Ma lasciando perdere l'atmosfera e l'incipit, fortunatamente per il pubblico e per la serie stessa, i pregi del prodotto vanno ben al di là dell'accattivante contesto in cui le indagini sulla scomparsa del piccolo Will Byers (Noah Schnapp) hanno luogo. Come spesso avveniva nei sopracitati esempi presi come spunto dai creatori, Stranger Things articola la propria storia lungo tre linee narrative distinte, ciascuna ascrivibile a una precisa fase anagrafica, abbiamo quindi Mike (Finn Wolfhard), Dustin (Gaten Matarazzo) e Lucas (Caleb McLaughlin), i tre amichetti del bambino scomparso, che s'imbattono nella misteriosa e silente coetanea Eleven (Millie Brown) arrivata da chissà dove con un carico di poteri sovrannaturali. Abbiamo poi Jonathan (Charlie Heaton), fratello adolescente di Will, e la studiosa Nancy (Natalia Dyer), sorella di Mike, che si troveranno a collaborare per svelare il mistero dietro le sparizioni in atto nella cittadina, e abbiamo, infine, gli adulti, su cui svettano Joyce (Winona Ryder), madre di Will e Jonathan, e lo sceriffo Hopper (David Harbour), mentre sugli oscuri fatti che si susseguono a Hawkins si allunga l'ombra minacciosa del Dottor Brenner (Matthew Modine), che deve soprattutto fronteggiare la fuga da un laboratorio segreto del governo statunitense di una misteriosa creatura, che nel frattempo è libera di fare ciò che vuole.
Ovviamente da lì si dipanerà l'intera storia, storia che in ogni caso appare banale, e un po' lo è, però grazie anche allo svilupparsi della trama che inizia sin dal primo episodio, senza costringere lo spettatore ad attese troppo snervanti, portandolo in maniera graduale, ma costante, all'interno degli eventi della serie, funziona alla grande, soprattutto per l'assenza quei classici episodi 'riempitivi'. La scomparsa di Will infatti, limitata a una scena prima dei titoli di testa, è funzionale al dare il via agli eventi, portando immediatamente lo spettatore 'sul campo', facendogli affrontare sostanzialmente due filoni. Da un lato ci sono le ricerche della polizia e dalla madre per ritrovare il figlio, dall'altro gli amici di Will, che non si rassegnano all'idea di stare a guardare, prendendo l'iniziativa e iniziando loro stessi a cercare l'amico scomparso. In mezzo poi ci sono dei misteriosi agenti governativi che danno la caccia a qualcosa, collegata forse a una misteriosa e inquietante bambina dotata di poteri paranormali. Trama che quindi di certo non brilla per originalità, il tema del sovrannaturale e quello del rapimento di un minore sono stati ampiamente sfruttati sul piccolo schermo. Eppure Stranger Things riesce a brillare di luce propria sotto diversi punti di vista. In primo luogo il cast è decisamente di alto livello. Ci troviamo di fronte a un mostro sacro del grande schermo come Winona Ryder, da un po' di tempo lontana da grandi ruoli, calata perfettamente a suo agio nella realtà di una serie televisiva, che riesce più volte a trasmettere allo spettatore quella sospensione dell'incredulità fondamentale per fargli credere che la stella di Hollywood sia effettivamente una madre disperata, alla ricerca del figlio più piccolo, col quale mostra di avere una particolare complicità. Se la Ryder costituisce una garanzia, poteva al contrario sembrare una scommessa David Harbour, alla sua prima vera apparizione in un ruolo centrale all'interno di un serial. E pure qui la scommessa si rivela vincente, il ruolo del poliziotto di provincia, disilluso, arrabbiato per un lutto recente, dipendente dai farmaci e relativamente poco attento alle necessità della sua comunità gli calza a pennello, coniando momenti memorabili (su tutti 'il lunedì mattina è dedicato alla contemplazione e alle ciambelle' che rende immediatamente l'idea del personaggio). Sorprendente, anche se a prima vista poco convincente, è il grandissimo spazio lasciato ai membri più giovani del cast, i tre nerd amici di Will, Lucas, Mike e Dustin. Per un ragazzo cresciuto negli anni '80 e '90, è inevitabile infatti identificarsi in loro. Tra gli aspetti più divertenti ci sono anche dei continui riferimenti a vari libri e film horror e fantasy, fanservice per nerd appassionati quindi, senza dubbio è così, ma riuscito benissimo. E quando si riesce ad andare oltre questo, i vari momenti di forte tensione della trama vengono stemperati dai tre giovani attori, che coniugano in maniera perfetta una buonissima recitazione e una particolare dose di humour, senza cadere mai nel banale.
Tornando alla trama, se la formula è familiare, ciò che colpisce è l'efficacia drammatica che ogni singola storyline riesce a mantenere nell'arco della stagione. Non c'è mai difatti un momento in cui si preferirebbe vedere i bambini piuttosto che gli adulti o gli adolescenti, l'amalgama fra le diverse visioni del mondo di tre età consequenziali ma lontane anni luce è l'anima più vivace della serie, e assicura alla progressione drammatica una varietà che, con un minimo di disattenzione, rischiava di divenire dispersiva e confusionaria. Ma tutto fila liscio, attraverso la costruzione di personaggi vividi e supportati da interpretazioni sublimi, quasi superflua la lode a Winona Ryder, in grado di dipingere un personaggio di eccezionale intensità e ricchezza. Ovviamente non solo lei, e sarebbe giusto soffermarsi su ogni singolo interprete di Stranger Things per encomiare l'illuminata scelta di casting e l'eccellente livello qualitativo delle performance offerte, ma, basterà dire che, anche qui come nella messinscena, nulla risulta fuori posto. Ma uno dei punti di forza di Stranger Things, e forse la principale ragione del suo successo, è il suo brillante uso delle citazioni, già detto, ma nel dettaglio ecco il perché. Mike e gli altri ragazzini girano su biciclette come i protagonisti di E.T., comunicano con i walkie talkie e nella scena iniziale della serie giocano a Dungeons & DragonsAlcune sequenze, poi, sembrano prese in prestito da Incontri ravvicinati del terzo tipo, altre somigliano un po' a quelle dei Goonies. Il lato horror della serie invece ricorda da vicino i film di John Carpenter (nella camera di Mike c'è un poster della Cosa) o i libri di Stephen King (su tutti Stand by me). Il personaggio di Undici (o Undi, in una pessima trasposizione del gioco di parole inglese) appare da subito centrale. Prima in fuga, poi nascosta sia agli adulti, già spesso indifferenti a quanto successo a Will, sia a chi le sta dando la caccia. Inevitabilmente il pensiero va nuovamente al film di Steven Spielberg, E.T., pietra miliare del cinema anni '80. La scelta di mettere nel cast Winona Ryder poi, star degli anni ottanta e novanta in film come Beetlejuice, Schegge di follia e Edward mani di forbice, è coerente con questo spirito nostalgico. Però tra gli aspetti che colpiscono maggiormente c'è la capacità di evocare alla perfezione i 'favolosi' anni '80 attraverso altri diversi particolari. Non è solo una questione di Guerra Fredda, Ronnie Regan e quell'atteggiamento molto 'America, fuck yeah!' tipica di quegli anni, ma è anche una questione di atteggiamento, di calarsi in una generazione, quella in età pre-puberale all'inizio degli anni '80, che viveva in un mondo in rapido cambiamento, sopportando il distacco che ne è conseguito, e quindi troviamo il classico 'cazzone', la liceale secchiona e timida e quella che vorrebbe essere alla moda. Oltre a questo è efficace anche la scelta di alcune musiche per rievocare l'atmosfera, nella serie infatti ci sono diverse canzoni degli anni settanta e ottanta (a cominciare dai Clash), ma anche più recenti, la colonna sonora originale (uno dei punti forti insieme all'inquietante sigla), composta da brani strumentali di musica elettronica, è stata scritta e registrata da Kyle Dixon e Michael Stein della band statunitense SurviveIl dialogo tra immagini e musica è infatti sempre ben studiato e regala alcuni momenti intensi, uno su tutti quello nel terzo episodio in cui viene fatta una scoperta importante (vi evito lo spoiler), con in sottofondo Heroes nella versione di Peter GabrielAltro aspetto importante è che al contrario di alcuni 'Kid Movie' di quegli anni, ci sono tinte decisamente più inquietanti, in cui i governativi non appaiono come degli adulti boccaloni pronti ad essere giocati da un branco di ragazzini, ma come assassini spietati disposti a tutto pur di recuperare qualcosa che li tenga 'un passo avanti ai russi' nella corsa agli armamenti.
Insomma, puntare sull'effetto nostalgia ha funzionato e funziona, soprattutto quando si riesce a ricreare così bene il clima di un decennio storico. Ma paradossalmente questo citazionismo nostalgico è anche il punto debole della serie, tutto gira per il verso il giusto, le scene sono ben girate e ottimamente recitate, ma non c'è quasi niente di davvero originale in Stranger Things. Ma nonostante questo la serie si distingue in positivo, anche per l'ottima recitazione degli attori, soprattutto sono molto bravi i quattro ragazzini nerd, in particolare Finn Wolfhard (Mike), e Millie Bobby Brown (El nella versione originale), mentre funziona meno il filone liceale legato alla sorella di Mike, Nancy, che spesso sembra più che altro un espediente per allungare il brodo, anche se fortunatamente non è solo riempitiva. Il principale difetto però di quella che risulta comunque un'ottima produzione è dovuto principalmente all'elemento sovrannaturale che, per quanto capace di evocare atmosfere inquietanti di altissima tensione, stenta un po' a emergere, sacrificato in favore di altri elementi. Quando metti insieme drammi familiari, cospirazioni governative, teen drama e film anni '80 è inevitabile che qualcosa si perda, ma non è certo cosa da poco che in una serie sul soprannaturale sia proprio il soprannaturale a pagare dazio. Quando però la componente horror dello show riesce a uscire fuori dal bozzolo lo fa con prepotenza. Assistiamo così a momenti di vero terrore, capaci di trascinare lo spettatore in una dimensione alternativa venuta fuori da un film di Carpenter. Questo però, per l'impostazione stessa della serie, non può che avvenire gradualmente, come una progressiva scoperta da fare in compagnia dei protagonisti stessi dello sceneggiato. Insomma qualcosa di davvero eccezionale in ogni caso. Eccezionale come la scelta di terminare con un finale auto-conclusivo che chiude elegantemente la storia da raccontare completando la crescita di ogni protagonista, e sebbene la porta per una seconda stagione rimane saggiamente aperta (labili tracce sono state seminate) e, Matt Duffer, avendo concepito la serie come 'un film di otto ore' si tratterebbe perciò di una sorta di sequel. Ma sia che venga rinnovata, consentendo la rivelazione di alcune zone d'ombra rimaste insolute, sia che la sua avventura finisca qui, Stranger Things è un gioiello d'intelligenza e sintesi estetica che colpisce al cuore lo spettatore, commuovendolo con una semplicità che sa d'infanzia riscoperta, e bisogna dire grazie a NetflixVale la pena evidenziare, in conclusione quindi, che il valore di una serie come Stranger Things si misuri nella capacità di rielaborare elementi appartenenti a una generazione fa, ammantandoli però di una patina nuova che non li snatura, ma li rende più attraenti all'occhio di uno spettatore del nuovo millennio. Non è solo un'operazione nostalgia fine a se stessa, ma è la consapevolezza di ciò che di buono abbiamo ereditato da quel cinema sognante e, forse, più intimo nel suo essere fantastico. Una consapevolezza che si arricchisce, nutrendosi di spunti tratti dal contemporaneo e andando a creare uno dei prodotti televisivi più interessanti che il 2016 abbia proposto al suo pubblico. Certo, di storie sulla rivincita dei nerd ne abbiamo già avute parecchie negli ultimi anni, a partire da The big bang theory, ma Stranger Things ha un fascino diverso, la sua forza è infatti (come già ampliamente ripetuto) quella di staccarsi dal citazionismo fine a sé stesso, un episodio dopo l'altro, e di virare sempre di più verso territori più cupi e fantascientifici. In definitiva quindi, Stranger Things, è una serie brillante e ben raccontata, non solo per i fan della fantascienza e degli anni settanta e ottanta, anche se è chiaro che, se cercate una serie tv sul modello di Supernatural o X-Files (in tutto e per tutto), con una 'mitologia' ben curata e presente in ogni istante, potreste ritrovarvi delusi. Se invece avete amato E.T. e i Goonies, vi siete spaventati per The Thing e Nightmare o semplicemente siete nostalgici degli anni '80, allora sotto con la visione di Stranger Things, non ve ne pentirete, io non l'ho fatto e mi sono goduto una serie straordinaria, dall'inizio alla fine. Voto: 8+

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