mercoledì 29 maggio 2019

The Blacklist: Redemption (1a stagione)

Recensione pubblicata su Pietro Saba World il 11/07/2017 Qui - Non è cominciata proprio con i migliori auspici o aspirazioni e non è finita (anzi, un po' lo si intuiva prima) come ci si aspettava The Blacklist: Redemption, lo spin-off della più celebre The Blacklist, dove il padrone incontrastato della dimora risponde al nome di Raymond Reddington, perché la serie della NBC ha deluso le mie aspettative. Colpa di un impianto narrativo non proprio originale, di un finale che lascia tutto in sospeso (perché speravano in una seconda stagione che invece non ci sarà) e che forse mai troverà soluzione ultima (anche se spero che questa trama venga chiusa nella serie principale), ma soprattutto il puntare sull'elemento meno personalmente interessante e simpatico (ovvero la ex spia Keen) è stato l'errore più grave. The Blacklist: Redemption difatti veleggia certamente su argomentazioni e stili simili, ma comunque molto (troppo) distanti da quelli della serie madre. Mentre The Blacklist può essere accostato decisamente ad un poliziesco, Redemption si dipana in una vera e propria spy story dove il ruolo di primi ballerini è affidato a Ryan Eggold (Tom Keen) e a Famke Janssen (Susan Scott "Scottie" Hargrave, nonché madre di Tom come rivelato da Red), non propriamente due personaggi iconici della serie. Io infatti la vedo perché c'è James Spader, qui senza è tutt'altra cosa, qualcosa di mediocre, prevedibile e addirittura dannoso. Perché Redemption, che come dalle parole del suo produttore John Eisendrath, va considerato un racconto a se stante, dedicato alla figura di Tom Keen e della sua disgraziata (si fa per dire) famiglia, per la sua inutilità ai fine del racconto principale ha rischiato di far perdere proseliti, e sicuramente per alcuni sarà così, comunque non io, come ben sapete non lascio spesso cose a metà, e considerando poi che la 4a stagione è quasi finita e ho tutta registrata, ugualmente vedrò. Ma questo è un altro discorso, anche se Redemption viaggia più o meno sulla stessa linea temporale di The Blacklist, dato che si lega in particolare agli eventi della fine della terza stagione (qui la mia recensione), quando la temibile stratega Susan "Scottie" Hargrave entra in scena.
Lei è quindi, il suo discreto carisma, quello di Famke Jannsen e del suo personaggio i protagonisti di questa serie, assieme naturalmente ai "family issues" irrisolti tra Tom, che sa la verità, Scottie, che non sa niente e, a sorpresa, il padre di Tom, dato per morto in un incidente aereo e in realtà vivo e vegeto, il quale sembra saperne più di tutti. La trama perciò (senza fare spoiler alcuni) è presto detta, diciamo solo che Tom, tra le altre cose uno dei personaggi personalmente meno amati di The Blacklist, non ha mai avuto un rapporto cristallino con il suo passato. Egli non sa praticamente nulla della sua infanzia ma, in un modo o nell'altro, è riuscito ad ottenere l'identità della madre, proprio quella Susan Scott tanto temuta nell'ambiente criminale. Il padre invece, creduto definitivamente morto, riappare dal nulla e chiede alla sua ormai cresciuta prole di divenire le sue orecchie e i suoi occhi. Howard è convinto che a tentare il suo omicidio fu proprio la meschinità e la falsità di sua moglie Susan che, a sua volta, ingaggia Tom per dei lavori loschi e pericolosi. Insomma la classica tela tutta da scoprire, quella di The Blacklist: Redemption, dove "la spia spia la spia", in un gioco di ruoli e segreti ipnotici e seducenti, in una trincea famigliare dove nulla è vero e tutto è lecito, dove la fiducia sembra essere un'utopia dimenticata e il tradimento invece ordinaria amministrazione, come si scoprirà. Una tela in ogni caso (e come detto però) non avvincente e abbastanza prevedibile.
Poiché anche se le caratteristica della serie, specialmente nelle sue sequenze action, che è quella di razionalizzare la telecamera su più scene nel medesimo instante o in più archi temporali, rimane fortunatamente invariata (anche se è un cliché nel panorama dello spy), e anche se immutato è lo stile del comparto dialoghi, a cui hanno lavorato le stesse menti e le stesse penne di The Blacklist (tra cui l'ideatore della serie Jon Bokenkamp), pungente e diretta è infatti la parlantina dei personaggi che tuttavia, dietro a parole crude e in apparenza sincere, celano come sempre mille indicibili segreti ed intenzioni, e anche se nuovi e discreti interpreti impreziosiscono il cast, Edi Gathegi (il perfido mercenario Matias Solomon di The Blacklist), Tawny Cypress (assidua frequentatrice di molte serie tv, su tutti Unforgettable), Adrian Martinez (la cui filmografia non ha certo bisogno di presentazioni) e soprattutto Terry O'Quinn (il John Locke di Lost), nei panni di Howard Hargrave, il padre, presunto morto, di Tom, e anche se la serie parte decisamente bene (con un primo episodio comunque iperbolico e ripetitivo), questa serie è stata davvero un fallimento, soprattutto nel caso come questo in cui le aspettative (infrante, era chiaro infatti che le suddette si sarebbero sciolte come neve al sole) erano moderatamente alte. Purtroppo infatti, l'interesse dei singoli casi di puntata ma anche dalle dinamiche relazionali tra i personaggi, non cresce mai, tanto che alla fine non si capisce di chi in verità sia questa "redenzione".
In ogni caso è l'ultima puntata, che non poteva che essere rocambolesca e tutta tesa al colpo di scena finale, che sulla base del principio della serie, ovvero non fidarsi di nessuno, ribalta molte delle premesse che hanno portato alla conclusione, la migliore, anche se il grosso colpo di scena finale era (seppur credibile nei suoi voltafaccia, visto l'egocentrismo e la sete di potere di entrambi i coniugi Hargrave) intuibile. Scena che però evidenzia sia il punto forte che il limite della serie, è difficile infatti affezionarsi a personaggi che vediamo così facilmente capaci di mentire e assumere ruoli diversi e contrastanti uno dopo l'altro, con un'etica flessibile e motivazioni politico-spionistiche che rimangono nebulose. Oltretutto con la carne al fuoco del progetto Whitehall (il fulcro della trama), proprio le dinamiche psicologiche dell'assurda situazione tra Tom e i suoi genitori appena ritrovati vengono trascurate, e dei personaggi di contorno nessuno emerge come interessante. I minuti finali infine, comunque pochi per capire dove si voleva a parare, e in cui l'approfondimento dei perché ancora una volta sacrificato all'effetto sorpresa, sono per questo amari. Amari sia perché lascia tutto in sospeso, sia perché il senso unico, e il motivo per la serie di esistere, non c'è. Infatti io ancora non capisco perché abbiano voluto fare uno spin-off (oltretutto senza motivazioni convincenti), non potevano inserirlo nel progetto principale? Bastava che Red facesse capolino ogni tanto che tutto sarebbe risultato giustificato. Ingiustificabile è invece inserire alcuni "camei" della serie madre per creare "empatia" ma senza ovviamente riuscirci. Ce n'era davvero bisogno di inserirli? ma soprattutto c'era davvero bisogno di produrre questa "mediocrità latente"? Secondo me no. Voto: 5

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