Questo nonostante una storia interessante e alquanto complicata alla base. Una storia che vede come protagonista una fittizia cittadina di nome Rome, nella Virginia Occidentale, dove in una casa lontana dal resto del mondo 'sopravvive' Kyle Barnes (interpretato da Patrick Fugit che riesce a portare sullo schermo il disagio di un personaggio tormentato, scoglionato il giusto, e in grado di non capire appieno la natura del male che lo perseguita), uomo introverso e infelice (che cerca di trascorrere la sua vita alienandosi quanto più possibile dal resto della società) che passa le sue giornate rintanato in casa tenendosi a distanza dalle persone, ha chiuso ogni rapporto con moglie e figlia e suo cognato lo odia. Kyle vuole solo essere lasciato in pace, da bambino è stato vittima degli orribili abusi della madre, afflitta da gravi problemi mentali secondo alcuni…o preda di forze oscure e terribili secondo altri. Dopo l'adozione da parte della famiglia della coetanea Megan che lo ha salvato, e il matrimonio con Allison che gli ha regalato una nuova vita, tutto sembrava andare bene. Ma purtroppo la sua vita precipita quando anche la famiglia che si è costruito si ritrova nello stesso incubo che aveva posseduto sua madre, e così Kyle torna nella sua casa (maledetta) d'infanzia solo e disprezzato da (quasi) tutti per quello che ha (presumibilmente, dato che non conoscono la verità) fatto a sua moglie e sua figlia. L'opportunità per il riscatto (o per sprofondare ancora i più nell'abisso) per Kyle arriva quando il reverendo Anderson (interpretato ottimamente da Philip Glenister, in grado di sviluppare un personaggio sicuramente anticonformista), che lo aveva aiutato da bambino, gli chiede di prestargli la sua 'esperienza' nel trattare i sempre più numerosi casi di quelle che è convinto siano possessioni demoniache. Tuttavia, scopre presto di essere direttamente coinvolto in tali nuove manifestazioni soprannaturali, accorgendosi nell'occasione di come il suo sangue abbia un effetto repellente nei confronti del demone. Insieme a Anderson, decide quindi di provare a comprendere cosa si nasconda dietro tali esternazioni demoniache e quale sia il suo ruolo. Perché sembrano moltiplicarsi intorno a Kyle? E cercano proprio lui? E perché viene definito il Reietto? Ovviamente in questi primi dieci episodi dal finale aperto che rimanda alla già ordinata seconda stagione, non sappiamo la verità o la risposta. In questi episodi hanno avuto grande spazio la branca delle possessioni demoniache, facendo leva su una peculiare organizzazione dell'intreccio e un'inusuale caratterizzazione dei personaggi che però mi hanno lasciato insoddisfatto. Comunque in questa prima stagione di Outcast, la regia ha seguito un filo conduttore dall'andamento lineare, con un ritmo che ha i suoi pregi e i suoi difetti. Da una parte, infatti, sembra vincente la scelta di non ridurre la narrazione ad un susseguirsi ripetitivo di troppo simili esorcismi che renderebbero la serie eccessivamente vicina al genere dei procedural. Le puntate, infatti, evitano di seguire uno schema troppo rigido e prevedibile in modo da poter continuare a conservare l'indole necessaria per un horror. Dall'altra parte, però, fatta eccezione per sporadici colpi di scena e per il cliffhanger del season finale, la narrazione sembra essere eccessivamente dilatata e lenta. Molte sequenze, pur aiutando a immedesimarsi nell'inquietudine dei personaggi, sembrano quasi essere state introdotte come riempitivo rischiando e riuscendo a risultare noiose.
Se, quindi, si vuole guardare una serie violentemente terrorizzante, ricca di colpi di scena inaspettati che fanno sussultare sulla sedia, Outcast non è la scelta più adatta. Più che optare per quel genere di horror al cardiopalma che fa venire i nervi a fior di pelle, infatti, gli autori hanno scelto di puntare su una storia che fa leva sulla profondità psicologica, sul buio viscerale e inquietante del nostro io più nascosto. Niente spaventi improvvisi per farci uscire il cuore dal petto ma, piuttosto, una continua instillazione di angoscianti dubbi, domande e misteri della trama che ci mantengono in un incessante stato di ansia suscitata anche dalla fotografia dai toni, nel contempo, scuri e sbiaditi che, però, non sembra essere particolarmente originale e che, comunque, non è supportata da un'adeguata base narrativa. Se la storia presentata in Outcast appartiene ad un genere diverso dai soliti horror adrenalinici, anche i suoi personaggi seguono la medesima linea un po' fuori dal comune. In generale, purtroppo, la caratterizzazione dei personaggi non sembra essere sufficientemente elaborata, fresca o approfondita, facendo risultare il tutto un po' troppo piatto e stantio. Il personaggio principale di Kyle per esempio appare eccessivamente stereotipato quando lo si guarda dal punto di vista della sua personale lotta (interiore ed esteriore) tra il Bene e il Male. L'unico elemento che risolleva il giudizio sul personaggio, infatti, è il suo rapporto conflittuale con la moglie e la figlia che, comunque, non presenta sorprendenti slanci narrativi. Migliore anche se di poco sembra essere invece la costruzione del personaggio del Reverendo Anderson che, anche se incarna molti degli stereotipi propri del prete esorcista che sono andati costruendosi negli anni, presenta qualche elemento interessante. Un esempio è il doppio conflitto da cui è attanagliato il personaggio. Da una parte, abbiamo la solita lotta tra bene e male che, pur essendo un tema logorato dal troppo uso, è declinato nella forma un po' più fresca del contrasto tra la fede e la disillusione causata da un mondo alla deriva, d'altra parte, però, appare vincente l'idea del rapporto controverso e contraddittorio con Kyle, per cui il Reverendo prova sincero affetto quasi paterno, comprensione e compassione per la sua storia ma, nel contempo, non può fare a meno di guardare il ragazzo con gli occhi dell'invidia per il potere e l'unicità di cui il giovane sembra essere investito e che Kyle vede più che altro come una maledizione. Questo sentimento poco lusinghiero per un reverendo, che contrasta profondamente con l'immagine pura dell'esorcista senza macchia, contribuisce a rendere più complesso e interessante il personaggio. Purtroppo però, gli slanci creativi nella caratterizzazione dei personaggi, compresi i secondari della nostra storia sembrano fermarsi qui, senza decollare. Anche se sono presenti accenni al loro passato e alla loro storia, questi rimangono comunque piuttosto sterili e faticano a fornirci un'immagine a tutto tondo dei vari caratteri. Per una serie horror che come punto di forza e fondamentale elemento inquietante ha il malessere dei propri personaggi, risulta strana, disorientante e insolita una così poco approfondita esplorazione del background, della personalità e, in generale, dell'interiorità dei suoi protagonisti. Ma si spera in una seconda stagione decisamente migliore. In ogni caso molto bella la sigla (che ricorda TWD), la colonna sonora e soprattutto la magistrale interpretazione dello sceriffo (il personaggio più 'cazzuto' e quello secondo me più riuscito) da parte di Reg E. Cathey, visto recentemente nei Fantastic 4: I fantastici quattro. Ma nonostante ciò, la prima stagione di Outcast non convince a pieno e sembra non essere andato pienamente a buon fine. Perché nonostante sia riuscita bene la costruzione dell'atmosfera cupa, inquietante e straboccante d'ansia, gli episodi non riescono a sfruttare a pieno questo buon trampolino di lancio mettendo in scena una storia dal ritmo eccessivamente lento quando, forse, invece mi sarei aspettato una maggior dose di adrenalina. I personaggi di cui abbiamo fatto la conoscenza, inoltre, non riescono a risollevare di molto lo spirito della narrazione poiché, pur presentando qualche risvolto interessante, risultano essere ancora poco sviluppati. Insomma una serie altalenante che però sicuramente cambierà regime nella seconda stagione dato che molto (si spera ovviamente) potrebbe migliorare in positivo. Comunque la prima stagione non è male, e se amate questi tipi e generi di serie tv non potete perderla. Voto: 6
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