Recensione pubblicata su Pietro Saba World il 12/07/2018 Qui - E' stata una delle sorprese più gradite della scorsa stagione televisiva grazie alla sua qualità e alla sua originalità nell'approcciarsi al genere supereroistico, ora Legion (di cui seconda stagione si è conclusa un mese fa ma finita di vedere solo pochi giorni fa), la serie più iconoclasta appunto del panorama supereroistico, torna a sorprendere per follia e inventiva in una seconda stagione che non delude (giacché dopo gli stravolgimenti di una prima stagione dal corso discontinuo, caotico e completamente folle, era davvero un'incognita il futuro di Legion, uno dei prodotti più originali e innovativi dell'attuale panorama seriale) le aspettative, anche se personalmente, e alla fine, l'ho trovata tuttavia meno "originale", paradossalmente più prevedibile nonostante la sua clamorosa imprevedibilità, troppo riflessiva, e quindi poco dinamica, rispetto all'incredibile ed eccezionale prima stagione (qui la mia recensione). Ma è innegabile però che questa seconda stagione, riesca comunque, non solo a raggiungere lo stesso livello qualitativo del precedente percorso ma anche quasi a superarlo. E in tal senso tuttavia c'era d'aspettarselo, perché certo, pronosticare che la creatura nata dalla mente di Noah Hawley potesse tornare alla ribalta superando addirittura se stessa (tanto nei contenuti quanto in una messa in scena sempre più lisergica e surreale), difficilmente lo si sarebbe potuto prevedere, ma dopo la prima stagione questo show, scollegato sia dal Marvel Cinematic Universe che dalla linea narrativa dei film cinematografici sugli X-Men, che convinse critica e parecchio pubblico, era chiaro che potesse sorprendere nuovamente (fortunatamente in positivo), d'altronde il protagonista della storia, ovvero David Haller, alias Legione (un mutante che nella sua storia editoriale non ha mai avuto una testata a lui dedicata, al massimo è stato protagonista di qualche miniserie, ma non può essere di certo considerato un personaggio tra i più rilevanti dei fumetti) grazie alle sue particolari caratteristiche era perfetto (soprattutto vedendo lo splendido risultato ottenuto nel precedente blocco di puntate) per la storia che Noah Hawley (creatore anche della serie tv Fargo, che conto prima o poi di recuperare) voleva raccontare. Proprio perché egli, rincarando la sua personale dose di stranezze e bizzarrie ci catapulta (giacché invece di adagiarsi sugli allori, pare alzare l'asticella del rappresentabile) ancora una volta, in un vortice sempre più profondo e disturbante, incredibile e complesso (e tuttavia comunque non perfetto). Un vortice che però non può che confermare questo uno dei prodotti più anomali e inventivi della serialità televisiva.
Infatti, dopo una prima stagione straniante e spiazzante, dominata dall'estro narrativo ed espressivo del suo ideatore, in grado di comporre una messa in scena psichedelica e assuefacente, grazie alla quale è riuscito a sfruttare appieno l'effetto sorpresa della presentazione sopra le righe e personale di un eroe dei fumetti (Legion/David Haller è un personaggio creato per la Marvel da Chris Claremont e Bill Sienkiewicz), il timore di adagiarsi e conformarsi ai consueti canoni d'intrattenimento era tanto forte, quanto straniante. Per fortuna esistono autori come lui che non riescono mai a tenere a bada la propria potenza immaginifica. La forza e la (apparente e tuttavia labile) superiorità di questa seconda stagione di Legion risiede difatti nella sua accertata capacità di cambiare forma, destrutturare quelle schematizzazioni di genere proprie delle storie supereroistiche, poiché proprio quando la serie sembrava acquietarsi su un piano della narrazione comprovato da tutti gli elementi cari al genere, come la fissità di un luogo (la base operativa guidata da Melani Bird/Jean Smart, che avrà un ruolo abbastanza importante in questo secondo blocco di puntate, ben 11) dal quale intraprendere una caccia al cattivo (Farouk), per salvaguardare la pace e portare a compimento il proprio percorso di formazione, con un colpo da maestro Noah Hawley capovolge i ruoli e dimostra ancora una volta che Legion non è una serie televisiva capace di restarsene buona e confinata nei preconcetti del genere, non solo, perché il coup de théâtre nell'ultimo episodio disintegra il percorso compiuto da David (l'eccelso Dan Stevens, imprescindibile per l'esistenza del personaggio che interpreta) fino a quel momento, restituendo non un nuovo eroe, ma un personaggio ancor più oscuro, certamente ambiguo e indecifrabile, schizofrenico e inafferrabile perché superiore per abilità e ormai sul baratro di un abisso di follia e perdita dell'autocontrollo. Un percorso troppo impervio? Tutt'altro, perché se da una parte egli è stato accorto nel preferire una messa in scena impetuosa e molteplice senza graffiarne la superficie con sbalzi di inopportuno didascalismo (vedasi il finale del penultimo episodio della prima stagione), rendendo fede e giustizia alla sua creatura fino all'ultima inquadratura, dall'altra merita un plauso per aver posto le basi per una (misteriosa a questo punto) terza stagione svincolata da qualsivoglia previsione, in cui è lecito aspettarsi di tutto, e non necessariamente un lieto fine scanzonato.
Non a caso parte con un mistero il nuovo corso della serie targata FX, con il tentativo di ricomporre le fila di un finale di stagione rocambolesco e più che mai problematico. Un mistero sempre più impenetrabile e caotico, scandagliato in ogni episodio con una risoluzione lenta e quasi insostenibile. D'altronde è questo Legion, ed è così che Hawley riprende la formula della prima stagione adattandola al volgere degli eventi, a un inseguimento infinito trasfigurato dalla mente sempre più instabile del suo protagonista. Cosa è successo a David dopo il suo misterioso rapimento alla fine dell'ottavo episodio? Quali stravolgimenti sono avvenuti durante l'anno in cui è scomparso? Dov'è diretto il Re delle Ombre assieme al suo nuovo ospite Oliver Bird (Jemaine Clement)? Già dall'incipit di questa nuova stagione scopriamo che David è stato recuperato dagli agenti dell'organizzazione e tenuto al sicuro in attesa del suo risveglio (anche se, una volta sveglio, non sembra ricordare nulla), invece nel frattempo, Amahl Farouk, il temutissimo Signore delle ombre (interpretato da Navid Negahban, imponente e intimidatorio) è ancora in fuga, nel corpo di, alla ricerca del suo vero corpo, in modo da riacquistare tutto il suo reale potere, ovviamente spetterà certamente a David impedirgli di portare a compimento il suo piano, anche se non tutto è così scontato. Quello che è certo, in questo nuovo scenario dove i nemici sono diventati amici (o forse no?) e la realtà è sempre più labile e indefinita, è che le risposte non si nascondono dietro l'angolo, ma, casomai, al di là di una spessa coltre di sogni, menzogne e poteri psichici, in cui non tutto è (costantemente e nuovamente) come sembra. Se nella prima stagione lo show giocava infatti sul fatto di non riuscire a dare un senso logico alle sequenze del passato di David, questa volta sono le sue scelte future (o i suoi possibili futuri) ad essere nebulosi e a sparigliare le carte della narrazione. La trama quindi si può riassumere in un allucinante (e allucinato) inseguimento, anche se è il contorno, fatto di introspezione, momenti assurdi (le lezioni filosofiche di inizio puntata, le puntate sul multiverso e quella alla "Ricomincio da capo" con protagonista la bellissima Rachel Keller) e personaggi affascinanti, non mancano altresì molti spunti di riflessione ed allegorie, ad elevare il tutto a un livello di eccellenza incredibile. Eppure, in verità e comunque, non è che un'anomala (similmente banale e semplice) caccia all'uomo la seconda stagione di Legion.
Una corsa contro il tempo per scongiurare un'Apocalisse imminente, una minaccia crescente macchiata, all'occorrenza, da viaggi nel tempo, disquisizioni sul valore epidemico delle idee, piani multidimensionali e diversi livelli di realtà. Un inseguimento allucinato e senza più coordinate, che attraversa generi e immaginari (in un citazionismo che, questa volta, si spinge persino a replicare fedelmente un'intera scena di Arancia Meccanica), sulle tracce di un antagonista sempre più sfuggente e mefistofelico, pronto a far precipitare le proprie vittime in un vortice di dubbi e ribaltamenti prospettici tanto repentini da non permettere più di distinguere chi è buono da chi non lo è. È qui, tra monaci muti, misteriosi samurai con un cesto di vimini in testa (il Generale Fukyama, una delle new entry più spiazzanti ed enigmatiche della nuova stagione), immancabili ritorni (una Aubrey Plaza sempre perfetta nel suo essere sopra le righe) e mondi alternativi, che Legion pare collassare su se stesso, sui suoi differenti piani temporali e di realtà, sulla persistente ambiguità tra reale e irreale, giusto e sbagliato, solo per poi, in extremis, riprendere le fila della propria narrazione e proseguire la sua disperata corsa contro il tempo. Infatti al sorprendente finale (che ci propone il ribaltamento di ruolo, forse un colpo di scena un po' telefonato, soprattutto per chi conosce il personaggio dei fumetti, ma di sicuro impatto, anche se poi alla fin dei conti, giacché non si è voluto proporre una lotta convenzionale tra bene e male, ma piuttosto uno scontro tra volere e potere, è difficile giudicare chi sia il buono, perché entrambi, chi prima chi dopo, ha commesso troppe atrocità e violenze nel corso della sua vita per essere considerato un eroe, per essere il "guardiano della giustizia", al massimo si può valutare chi sia meno folle) Legion arriva dopo una carrellata di episodi che a tratti sono sembrati quasi fini a sé stessi come se Noah Hawley fosse fin troppo consapevole della sua bravura che gli ha fatto meritatamente guadagnare un credito illimitato da parte degli spettatori della serie. Sebbene sia impossibile non assegnare un voto alto ad ognuno dei quaranta minuti settimanali, è comunque altrettanto innegabile che la storia è proceduta spesso a rilento con soste che solo la maestria degli interpreti hanno reso magnificamente accettabili e non pesantemente inaccettabili. Esemplari da questo punto di vista gli episodi dedicati all'elaborazione del lutto per la morte di Amy (Katie Aselton) e alla liberazione di Syd dalla prigione mentale in cui lo Shadow King la aveva rinchiusa. Momenti in cui la serie si è sostanzialmente fermata e che hanno evitato di ricevere la poco onorevole etichetta di filler solo perché troppo magistrali sono state le prove attoriali del cast coinvolto e la qualità della messa in scena.
Eppure questa studiata lentezza, questo apparente girovagare senza una meta precisa, questo pedante bighellonare tra le lezioni di psicologia di Oliver e i saggi musicali di Lenny, questi viaggi mentali senza andare da nessuna parte di David, questi lunghi momenti di pausa tra i dubbi di Clark e l'apatia di Melanie non sono risultati alla fine momenti persi, ma piuttosto puntini scollegati che alla fine si sono uniti con un tratto di penna che ha rivelato il disegno imprevedibile di autori che sapevano già dove arrivare ma che hanno saputo nascondere il traguardo ultimo di una corsa a tappe sempre interessante e mai banale. Perché Legion una meta precisa ce l'aveva. Perché la storia delle idee che sono tutte uguali prima di uscire da un anonimo uovo e rivelare la loro potenza distruttiva era l'annuncio di quel che sarebbe successo. Perché i protagonisti e le loro azioni avevano uno scopo, perché David stava scoprendo quello che poi lo avrebbe portato a rileggere la prima stagione e rinnegare il suo percorso per intraprenderne uno nuovo. E, allora, la seconda stagione di Legion non è stata lo spettacolo vuoto di un mago che non sa più che dire, ma piuttosto i fuochi di artificio di un narratore che vuole distrarre il suo lettore per rivelargli infine una verità che potrebbe non voler sentire. E la verità che Legion non voleva dire era una sola: che David è davvero malato, che David è di per sé folle di suo, che David è un personaggio ambiguo da cui aspettarsi di tutto. Dal punto di vista puramente visivo, Noah Hawley già ci aveva abituato non bene di più nella prima stagione e qui con più budget non si smentisce mettendo su uno spettacolo di luci stroboscopiche, danze, musica, effetti digitali e pratici tra cui alcuni giochi con la camera che ingannano le proporzioni, veramente notevole. Ma certamente lo showrunner non è uno sprovveduto e sa bene come gestire tutti questi elementi fantastici e psichedelici in modo da non renderli fastidiosi e nemmeno non voluti. Lo scontro finale di questa stagione poi (tra David e Farouk), visivamente (tra le note di Behind Blue Eyes e cartoon innovativi) si è dimostrato spettacolare a vedersi, non solo, apre anche (visto il suo "turn heel") un intero mondo di possibilità che il terzo capitolo potrà esplorare regalando altre perle. Basta, in tal senso, lasciar fare a Noah Hawley e lasciarsi incantare ancora una volta da Dan Stevens (capace di mille sfaccettature e sempre bravo nell'impersonarle) e Navid Negabhan (un Amahl Farouk splendidamente caratterizzato).
Ma anche da Aubrey Plaza (che si conferma attrice di grande talento) e Jermain Clement (sempre efficace e funzionale), da Rachel Keller (che non è solo bella ma anche brava) e da tutto il resto del cast di una serie (tecnicamente validissima essendo visivamente tra le eccellenze assolute in questo campo) che ha confermato di essere nel meglio che la tv sa offrire. La seconda stagione di Legion infatti, che offrendo un mix di narrazione introspettiva e sperimentazione ai limiti dell'assurdo si rivela uno dei prodotti più originali e innovativi dell'attuale panorama televisivo, che ha avuto il coraggio di alzare ancora l'asticella da questo punto di vista, dando quasi più importanza alla forma che alla sostanza, e in tal senso nonostante la sensazione, in qualche passaggio, di assistere a qualcosa di stupendo da vedere, ma fine a sé stesso, convince nuovamente. Poiché nel finale, tutti i punti vengono collegati, facendoci capire che un percorso c'era, solo che era troppo tortuoso per vederlo alla prima occhiata. Legion 2a stagione si dimostra dunque un ottimo prodotto che supera le aspettative che già l'ottima prima stagione aveva creato e che si conclude con un cliffhanger degno di nota e gestito con tutti i crismi, non inaspettato ma neanche facile, un percorso difficile è iniziato per David e noi siamo pronti ad accompagnarlo. Insostenibile, caotico, confusionario, Legion si conferma così un esperimento capace, pur rimanendo all'interno delle logiche di un prodotto di intrattenimento, di mettere a dura prova l'attenzione e la coscienza critica dello spettatore, minando la sua capacità o incapacità (proprio come il protagonista della serie) di discernere ciò che è reale da ciò che non lo è. Fino a fargli porre, ancora una volta, la stessa, identica domanda: e se fosse tutto un sogno? Non è un caso che riprendendo le fila degli eventi della passata stagione, Legion non tradisca il proprio spirito iconoclasta (la sua anima originale e sperimentale), mantenendo alta l'asticella del rappresentabile e imbastendo un'allucinata e psicotica caccia all'uomo trasfigurata dalla mente sempre più instabile del suo protagonista. E insomma, sorretto da new entry, graditi ritorni e dall'estro inesauribile del suo autore, Legion si conferma così un prodotto unico nel suo genere, capace di unire in sé grande intrattenimento e introspezione psicologica, un trionfo assurdo e psichedelico senza precedenti o paragoni. Perché anche se in verità questa seconda stagione mi è piaciuta leggermente meno della precedente, sono davvero molto curioso di vedere come proseguirà la storia di David e cosa si inventerà il suo folle ideatore per stupirci nuovamente. Voto: 8-
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