lunedì 3 giugno 2019

Tin Star (1a stagione)

Recensione pubblicata su Pietro Saba World il 08/11/2017 Qui - Dopo la deludente serie Riviera, che seppur affascinante e gradevole ha deluso le aspettative, perché superficiale e ridondante, Sky Atlantic ci riprova, ma nuovamente non centra il bersaglio grosso. Tin Star infatti, uno dei titoli di punta della produzione televisiva di Sky, nonché il nuovo thriller di Sky UK, andato in onda in Italia sul canale della tivù satellitare dal 12 settembre, non convince quasi per niente. Giacché la serie, creata da Rowan Joffé, figlio del grande Roland (autore anche di una serie sottovalutata ma da me recensita positivamente, ovvero Texas Rising) e che aveva nel nome del suo protagonista l'elemento di maggiore interesse, troppo spesso si perde, troppe volte confonde e troppe volte annoia. Anche perché ad attirare la curiosità iniziale verso questo thriller a puntate dall'atmosfera cupa e violenta è stato sicuramente il nome del protagonista, Tim Roth, che ha fatto però da pifferaio magico attirandoci nella trappola del primo episodio. L'attore è in genere una garanzia sia per la sua bravura indiscussa, sia per la lunga lista di film riusciti in cui ha recitato, ma quando ci si rende conto dell'inganno ormai è troppo tardi. Si sa, quando si inizia una serie, nonostante non ci piaccia, la curiosità di vedere come finisce prende il sopravvento. Ed è stato solo questo a farmi continuare la visione, perché Tin Star purtroppo, nonostante elementi interessanti, dato che essa è un'opera sulla vendetta e sulla brutalità che suscita nel cuore dell'uomo, oltre a rappresentare (parzialmente) la corruzione all'interno di una società petrolifera, non riesce mai ad esprimersi davvero appieno, in ogni puntata infatti, il racconto confusionario e troppo spesso ripetitivo e prevedibile, per colpa di una messa in scena "povera" e ordinaria, ha confermato e incrementato la confusione e l'insensatezza della trama e dei personaggi.
La serie difatti, nonostante un attore protagonista eccellente, ha puntato troppo in alto ed è caduta miseramente tra personaggi a tratti ridicoli e scene nonsense. Tim Roth infatti è uno di quegli attori capaci di far compiere un salto di qualità a serie e film in cui lavorano e il suo curriculum come Cal Lightman di Lie To Me testimonia la credibilità nella parte dell'investigatore tormentato. E sono proprio i tormenti ad aver spinto Jim Worth a lasciare la polizia inglese, chiedendo il trasferimento a Little Big Bear, in Canada. Già il nome del paese lascia intuire la calma e la tranquillità che vi regnano, fino a quando la North Stream Oil, una grande azienda petrolifera, non riesce a imporre la costruzione di una gigantesca raffineria in mezzo ai boschi, dando così inizio a un vortice di violenza e svelando alcuni lati nascosti del protagonista. E proprio il passato di lui torna a fargli visita in cerca di vendetta attaccando lui e la sua famiglia. Una vendetta che degenera presto e porta appunto ad un drammatico finale di pilot, un colpo di scena (che non vado a spoilerarvi perché sono una persona di sani principi) che cambierà per sempre la sua vita. Un colpo al "cuore" che farà però risvegliare il violento e alcolizzato alter ego di Jim, ovvero Jack Devlin, che si scopre essere stato un poliziotto infiltrato, che farà di tutto affinché la giustizia divina e sua personale si scagli contro chi gli ha tolto la gioia ritrovata di vivere.
Anche perché il colpo di scena appena citato è una roba grossa, ma è purtroppo l'unica del primo episodio (ma anche di tutti gli altri) di Tin Star, che si trascina in modo abbastanza confusionario. Ogni personaggio sembra la macchietta di se stesso, a cominciare dai due protagonisti. La sensazione, confermata anche da alcune scene del secondo episodio, è che si volesse dare alla serie un tono che si avvicinasse al grottesco di Fargo, ma i risultati sono tutt'altro che convincenti. Anche la progressione dei fatti lascia a desiderare, con eventi che si succedono senza riuscire a creare nessun tipo di tensione. Addirittura dopo la visione del quarto episodio di Tin Star la speranza che qualcosa di davvero coinvolgente potesse accadere muore. Dopotutto partendo da una premessa già di per sé non molto originale, Tin Star muove, episodio dopo episodio, dai paesaggi sconfinati delle montagne rocciose canadesi al nucleo interno ed interiore del suo personaggio principale, un percorso discendente nell'inferno quotidiano dell'alcolismo e della rabbia repressa che esso può (ri)scatenare, ma senza quella profondità e intensità che ci si aspettava anche dalla trama.
Una trama non innovativa, ma che poteva anche andare bene, se solo la suddetta avesse funzionato almeno un pochino. Poiché anche solo il modo (diretto) di raccontare questa storia avrebbe fatto la differenza, facendo altresì leva soprattutto sui personaggi (quello principale in primis), ma purtroppo non è stato così, anzi, troppo centralizzata ma anche non sufficientemente gestita bene nei confronti del protagonista. Un protagonista in cui l'ambiguità (interiore e non) di Worth è credibile soprattutto per merito dell'attore, non certo grazie agli autori che non ne giustificano sufficientemente il disturbo di personalità/identità. Troppo tempo sprecato per farci capire i suoi problemi, dato che siccome la storia si focalizza troppo sul suo rapporto con il (ridicolo, odioso e patetico) criminale Whitey (Oliver Coopersmith), sviluppandolo altresì in maniera mai davvero incisiva, annoiando continuamente il pubblico che riprende coscienza di sé solo quando Jim Worth si perde nei fumi dell'alcol, perfino la famosa e stupenda Christina Hendricks (qui nel ruolo della Responsabile delle pubbliche relazioni della compagnia accusata) restano ai margini.
Un discorso a parte merita invece il personaggio di Louis Gagnon, Capo della sicurezza della compagnia, enigmatico, terrificante ed ipnotico viene relegato a comparsa da un racconto che non lo vede mai prendersi la scena. Non è certo un caso che due dei momenti più riusciti di questa stagione abbiano proprio per protagonista il personaggio interpretato da Christopher Heyerdahl, ma due scene in dieci episodi è davvero troppo poco per quello che sembrava a tutti gli effetti l'antagonista di Jim Worth fin dalle prime immagini dello show. In tal senso le appena abbozzate indagini di Elizabeth Bradshaw (Christina Hendricks) sui crimini della North Stream Oil sono interessanti ma tardive e vaghe, ma soprattutto completamente estranee (sia narrativamente che concettualmente) alla vicenda principale della serie, risultando infine accessorie. Accessori di uno sviluppo narrativo mediocre, dove incredibilmente i cattivi spesso sono i personaggi più affascinanti di una storia, contorti, folli e crudeli, quelli di Tin Star invece sembra abbiano tentato di essere tutto questo ma senza riuscirci.
I morti si sprecano, le spruzzate di sangue pure, ma è tutto così irrealistico da non fare davvero paura. Ad incutere terrore per la maggior parte del tempo è il protagonista, Tim Roth, tra le sue pazzie e ubriachezze moleste. Per non parlare della moglie (la Genevieve O'Reilly di Rogue One), che si rivela essere una donna cinica e con istinto omicida, pazza abbastanza da uccidere un uomo e nascondere le prove dando fuoco alla sua casa. Poi c'è la figlia maggiore (la solo graziosa ma antipatica qui, Abigail Lawrie) che deve affrontare una famiglia disconnessa, e neanche lei riesce ad uscire indenne da tutto questo. Si innamora nientemeno (ma prevedibilmente) dell'assassino, un ragazzo dai chiari problemi affettivi, che cerca disperatamente qualcuno che lo ami e che è afflitto dalla sindrome dell'abbandono. Sia lui che gli altri sicari sembrano essere stati solo abbozzati, senza un minimo di profondità risultando stupidi e poco minacciosi. Una banda di criminali davvero improbabile e goffa che ne combina una dietro l'altra senza, inspiegabilmente, destare sospetti. Come inspiegabile è l'imbarazzante gestione della trama, dato che la serie gestisce molto male gli intrecci, le cospirazioni, la vendetta e gli omicidi, risultando a tratti assurda.
Tanto che, neanche Tim Roth riesce a salvare la baracca trovandosi ad interpretare un protagonista davvero odioso. E' bravo, certo che è bravo, è Tim Roth, ma Jim Worth non suscita nessuna pietà (anche perché è impossibile provare empatia per lui o qualsiasi altro personaggio) nel suo continuo ricadere in vecchi vizi, maltrattare sottoposti, biascicare senza posa, menare gente a caso. Va bene che è la sua parte selvaggia che si è scatenata, ma è davvero troppo patetico. Si prova un po' di empatia con lui solo quando è a tu per tu con la sua famiglia ad affrontare un dolore profondo, ma non c'è altro e il suo personaggio resta piatto, privo di un vero passato che giustifichi il suo (e degli altri, anche per i "vendicatori") modo di agire. E' solo, per colpa appunto di una trama confusa e distorta, un ubriacone manesco intento a mettere una pezza ai guai causati dai suoi eccessi. Anche perché al non eccezionale sviluppo della storia si aggiunge la mediocre messa in scena, essa infatti segue pressoché quella direzione, uniformandosi ad uno stile semplice ed essenziale, "televisivo", senza osare o ricercare una forma superiore che possa elevare lo show al di sopra dello standard del piccolo schermo.
Oltretutto di questa prima stagione rimangono alcune sequenze esaltanti sparse nei quasi 500 minuti di visione, mentre altre lasciano invece l'amaro in bocca, come di un'occasione sprecata. Al contrario l'opportunità non l'ha persa Tim Roth, che ancora una volta mette in mostra tutte le proprie abilità di grande attore al servizio di una storia intrigante ma sviluppata in maniera mediocre. Resta difatti l'impressione che l'unica ragione valida per ricordare (o continuare) questo show sia la performance di Tim Roth, e poco altro. Perché tirando le somme Tin Star, che voleva forse essere un piccolo Twin Peaks, porta sullo schermo tanta violenza gratuita, bellissimi paesaggi (in riferimento a quella straordinaria serie), una colonna sonora pochino interessante, e niente altro. Rimane una storia vista e rivista altrove ma realizzata sicuramente meglio e stupisce il fatto che sia stata già rinnovata per una seconda stagione. Anche perché Tin Star è una serie davvero poco convincente, a tratti ridicola e assurda, dove neanche Tim Roth, è riuscito a porvi rimedio. Confusa e poco credibile, non riesce gestire né la trama né i personaggi, rimanendo così un prodotto mediocre. Voto: 5,5

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