Recensione pubblicata su Pietro Saba World il 06/11/2019 Qui
Tema e genere: Terza stagione della serie fantascientifica creata dai fratelli Duffer e uno dei prodotti di punta di Netflix.
Tema e genere: Terza stagione della serie fantascientifica creata dai fratelli Duffer e uno dei prodotti di punta di Netflix.
Trama: Ci ritroviamo a Hawkins nel 1985. Qui, poco prima dei festeggiamenti per il 4 luglio, c'è fervore: il mall Starcourt ha stravolto le dinamiche cittadine, e l'assetto sociale e commerciale muta in una forma definitiva. I ragazzi che hanno salvato per ben due volte il mondo dalla minaccia del Sottosopra si ritrovano però ad affrontare un nuovo pericolo.
Recensione: Dopo una prima stagione andata al di sopra delle più rosee aspettative (qui la recensione) e un secondo ciclo di episodio leggermente deludente (colpa soprattutto di una puntata proprio evitabile, qui comunque la recensione), Stranger Things era chiamata a una prova di definitiva maturità, che dimostrasse la capacità dello show di reggersi sulle proprie gambe e di andare oltre al marcato citazionismo e alla genuina e nostalgica passione per le atmosfere anni '80. Al termine degli 8 episodi che compongono la terza stagione, si può affermare che i Duffer Brothers hanno superato brillantemente questa prova, riuscendo nella non facile impresa di riprendere in mano le redini della propria creatura e di assecondarla in maniera limpida e naturale, sfruttando il rapido cambiamento fisionomico e caratteriale dei giovanissimi protagonisti per una profonda e a tratti struggente riflessione sulle gioie e sui dolori dell'adolescenza. La provvidenziale pausa di quasi due anni dal precedente ciclo di episodi ha dato ai Duffer il tempo necessario per rimettere al centro di tutto i propri personaggi e la loro evoluzione, senza però rinunciare alla componente più prettamente orrorifica. Il risultato è una serie che, a un passo dall'implosione, ritrova tutta la propria vitalità, riuscendo a fare nuovamente innamorare il pubblico di Eleven e soci e a unire spettatori di diverse età sotto la bandiera comune della nostalgia anni '80, sfruttata con molteplici citazioni e omaggi al periodo, quasi sempre funzionali al racconto. La terza stagione di Stranger Things ci mostra i ragazzi di Hawkins alle prese con i cambiamenti dovuti alla loro crescita e ai primi amori. Eleven e Mike fanno ormai coppia fissa, scambiandosi dozzine di goffi baci a pochi metri di distanza dal sempre più severo Hopper, Dustin torna dalle vacanze rinvigorito dalla sua nuova ragazza Suzie, che non l'ha seguito ma che lui assicura essere più sexy di Phoebe Cates, mentre Nancy e Jonathan e Lucas e Max rinsaldano i loro rapporti. Con Hawkins scossa dall'apertura di un nuovo modernissimo centro commerciale, presso cui Steve trova un lavoretto come gelataio, il Sottosopra incrocia nuovamente le strade dei protagonisti, a causa di alcuni misteriosi esperimenti condotti in una segretissima base russa. La minaccia soprannaturale è pressoché inalterata rispetto a quella che ha contraddistinto le prime due stagioni della serie, con l'eccezione di un gustoso retrogusto da L'invasione degli ultracorpi (o La cosa, citata esplicitamente dai protagonisti con un dotto paragone fra l'originale e il remake), che porta i personaggi a sospettare di chi li circonda, tutti possibili ospiti del temibile Mind Flayer. I nemici più minacciosi del periodo, ovvero i russi, sono invece volutamente rappresentati con gli stessi stereotipi che li caratterizzavano nel cinema statunitense degli anni '80, da Alba rossa in giù: responsabili dei più disparati complotti governativi, privi di qualsiasi tentennamento o sentimento e talmente malvagi da diventare quasi ridicoli. Questi aspetti avrebbero potuto trasformare una qualsiasi serie contemporanea in un boomerang per i propri creatori, ma non la creatura dei fratelli Duffer, in particolare in questa sua terza ispirata stagione.
Il cuore di questo nuovo ciclo di episodi di Stranger Things non sta infatti né nel Sottosopra né nei russi, ma nelle dinamiche fra i personaggi, che rendono i pericoli che li circondano quasi accessori. Come il cadavere cercato dai protagonisti di Stand by Me - Ricordo di un'estate, che diventava poco più che un espediente narrativo per raccontare la prima e ultima grande avventura di quattro amici che di lì a poco avrebbero preso strade diverse, alla stessa maniera i pericoli della terza stagione di Stranger Things sono un pretesto per evidenziare il cambiamento e le difficoltà di quei ragazzi che in tre anni abbiamo imparato a conoscere e amare. Nonostante la terza stagione di Stranger Things sia anche quella più truce e violenta dal punto di vista visivo, a prendere il sopravvento sono infatti aspetti del tutto estranei all'azione pura, come la solitudine di Will Byers, che vorrebbe rimanere ancora per un po' nella sua comfort zone fatta di D&D e amenità varie, ma si trova invece a fare i conti con gli ormoni degli amici, più orientati alla piacevole scoperta dell'altro sesso che ai giochi da bambini. Alla stessa maniera, i sempre più evidenti poteri di Eleven sono spesso utilizzati più per assecondare le sue necessità di giovane donna (chiudere la porta dallo sguardo indiscreto di Hopper, indagare sui pensieri e sulle azioni di Mike) che per sconfiggere i mostri che attanagliano Hawkins. I Duffer azzeccano inoltre tutte le scelte di sceneggiatura, traendo il massimo dai vari piccoli ma eterogenei gruppetti in cui vengono divisi i protagonisti, che raccontano a loro volta tanti importanti aspetti legati all'adolescenza. Emblematica in tal senso la divisione fra la fazione delle ex rivali Eleven e Max e quella dei loro spasimanti Lucas e Mike, che evidenzia la maggiore scaltrezza e la superiore maturità delle ragazze rispetto alla loro controparte maschile, mentre i siparietti fra Dustin e Steve sono non soltanto il perfetto contraltare comico agli altri eventi, ma anche un'efficace rappresentazione della particolare miscela di complicità e immedesimazione nei ruolo di mentore e allievo che si instaura fra due ragazzi di età leggermente diverse, ma affini per carattere. Joe Keery ha modo di esaltare le sue notevoli doti espressive con il suo personaggio, protagonista di una delle più interessanti evoluzioni di questa stagione. Abbandonati ormai definitivamente i panni di belloccio, Steve si trova per tutti gli otto episodi costretto in un poco virile abito alla marinara, divisa d'ordinanza della gelateria in cui lavora, nonché alle prese con i suoi risultati sempre più scadenti con l'altro sesso, che la sua nuova collega Robin sottolinea con divertito sarcasmo. I confronti fra i due, perennemente in bilico fra scherno e interesse (in tal senso apprezzabile la modalità con cui viene introdotta l'omosessualità nella serie, in modo naturale e senza scene eclatanti), danno profondità ai personaggi ed esaltano le qualità attoriali di Keery e di Maya Hawke, figlia d'arte di Uma Thurman ed Ethan Hawke che si evidenzia come migliore sorpresa della stagione e pone le basi per una crescita all'interno di Stranger Things e per una luminosa carriera futura.
Non meno importante della crescita dei personaggi è l'utilizzo che i Duffer fanno delle atmosfere e degli usi e costumi degli anni '80. L'ondata nostalgica per quest'epoca ha spesso generato opere incentrate su riferimenti e omaggi fini a se stessi, ma non è questo il caso. In maniera sottile ma centrata, la terza stagione di Stranger Things ha infatti anche il merito di tratteggiare pregi e difetti del periodo, ponendo l'accento su ciò che è arrivato dopo. Significative sono per esempio le rappresentazioni del centro commerciale Starcourt, simbolo del progresso e della grande distribuzione che ha gradualmente tolto spazio alle attività più piccole, e il sessismo imperante all'interno della redazione dell'Hawkins Post, i cui elementi più in vista sminuiscono continuamente le intuizioni di Nancy solo perché giovane donna, raffigurando perfettamente uno dei tratti distintivi della società americana degli ultimi decenni. A toccare le corde del cuore dei cinefili non più giovanissimi è la rappresentazione della sala cinematografica come luogo di aggregazione ed espressione della più pura e viscerale passione, che assume un'importanza ancora maggiore perché prodotta da chi viene spesso visto, abbastanza superficialmente, come il principale nemico del cinema contemporaneo. Le citazioni a Il giorno degli zombi e Ritorno al futuro diventano così sentiti omaggi a un'epoca in cui il cinema era ancora rito di massa e luogo sacro in cui assaporare l'ultima avventura fantascientifica o pregustare il film dell'orrore che di lì a poco avrebbe terrorizzato gli spettatori di tutto il mondo. I Duffer sono ora chiamati a gestire un ulteriore passaggio di età e di ambientazione temporale per Millie Bobby Brown e compagni, con tutte le difficoltà del caso. Fra ricongiungimenti, pianti, separazioni e indizi per il futuro (fondamentali in questo senso i titoli di coda dell'ultimo episodio), il finale di stagione ci mostra che Stranger Things ha solidissime basi su cui costruire, e che con un approccio così profondo e appassionato al periodo e ai propri personaggi può guardare al futuro e al necessario cambiamento con rinnovato ottimismo. La terza stagione di Stranger Things si rivela dunque anche l'apice della creazione dei fratelli Duffer, sempre più prodotto di bandiera sotto cui riunire diverse generazioni di abbonati Netflix, ma non solo. Un universo bizzarro e fantastico, in cui i ragazzi sono sempre più maturi, e salvano il mondo sulle note di The Never Ending Story, mentre gli adulti si rivelano spesso impacciati, avidi e doppiogiochisti. Una visione di società decisamente critica, che ci riconcilia però con la componente più pura e ludica della nostra personalità, ricordandoci una volta di più che siamo fatti anche di ciò che vediamo, giochiamo e amiamo e che anche la più apparentemente banale esperienza può diventare una freccia del nostro arco nello strano percorso della vita. Fra azione e nostalgia, la terza stagione di Stranger Things trova nei personaggi la propria più grande forza, riscattandosi dalle perplessità lasciate dal secondo ciclo di episodi e lanciandosi verso un futuro che appare più luminoso che mai.
Regia/Sceneggiatura/Aspetto tecnico/Cast: Questa terza stagione di Stranger Things ha una struttura narrativa molto solida, con intrecci ben realizzati e che si incastrano fra loro in maniera perfettamente coerente, forte anche delle ottime interpretazioni degli attori protagonisti, sempre molto convincenti (la recitazione è infatti generalmente di buon livello), e di un certo senso di ironia e leggerezza che pervade l'intera opera e che ben si inserisce in un contesto diversamente decisamente drammatico. Certo, la contrapposizione dei due blocchi, con il sovietico cattivo, è un cliché che mancava a Stranger Things, ma la sua apparizione in questa stagione è un atto dovuto bene orchestrato, soprattutto perché volutamente macchiettistico in certi punti. In ogni caso, suspense, azione, scene splatter, colpi di scena del tutto inaspettati e siparietti comici impreziosiscono una storia decisamente molto più oscura e drammatica di quanto visto fino a questo momento in Stranger Things, e che per questo nel suo complesso resta appunto salda su livelli narrativi molto buoni, creando un intreccio decisamente appassionante (ogni piccola trama ha il proprio obbiettivo, la propria evoluzione dei personaggi e un proprio modo di portare avanti gli eventi). La regia, ad opera di diversi registi, tra cui gli stessi Duffer e Shawn Levy, che figura ancora una volta tra i produttori, è potente, capace di valorizzare i numerosi momenti action e ancora più citazionista del solito, giocata su lunghi piani sequenza e movimenti di macchina mai casuali, sempre ragionati. Altra menzione speciale meritano gli effetti speciali, davvero strabilianti e molto realistici nonostante l'assurdità di ciò che si vede, e che rendono possibile la visione anacronistica di una serie ambientata negli anni '80 che sembra quasi realizzata in quel decennio per la cura maniacale dei dettagli (musica, costumi, riferimenti), ma che invece appartiene agli anni 2000 e che per questo può essere rappresentata impiegando i mezzi tecnologici più moderni.
Commento Finale: Stranger Things 3 impara da quanto sbagliato nella seconda stagione e torna ai fasti della prima, non dimenticando per strada i pregi della precedente. Questa terza stagione infatti (una stagione forte e delicata al tempo stesso che riesce ad emozionare portando ad una riflessione molto interessante), che narrativamente riesce ad offrire nuovi spunti, mantiene moltissime delle caratteristiche dei precedenti archi narrativi (ma schiaccia ancora di più sull'acceleratore, aumentando adrenalina, comicità slapstick, body horror e citazionismo), e conferma la ricercatezza estetica che da sempre ha caratterizzato la serie. Non era scontato mantenere pimpante e frizzante un prodotto che fa del citazionismo e dell'essere derivativo la sua forza, pur cedendo a evitabili ingenuità e sbavature soprattutto nel finale, troppo sbrigativo e poco soppesato (se la serie si fermava così, con questo finale, potevo ritenermi anche soddisfatto, c'è però la già citata scena post credit, sarà abbastanza per dare un ulteriore spunto alle avventure dei ragazzi di Hawkins?), tuttavia, nel complesso è una stagione ben congegnata e ritmata, che non ha paura di prendere pieghe orrorifiche pur puntando sempre la bussola verso seguendo i punti di forza delle precedenti stagioni. Una stagione questa terza, che è forse la migliore finora, con poche distrazioni e con al centro di tutto le fantastiche relazioni tra i suoi personaggi vecchi e nuovi. Oltre a una realizzazione tecnica e valori di produzione ai migliori livelli tra le serie tv in circolazione.
Consigliato: Stranger Things si dimostra ancora una volta uno dei prodotti meglio concepiti della libreria Netflix e del mondo seriale moderno, che con questa terza stagione trova la perfetta quadratura del cerchio, consigliata a grandi e piccoli.
Voto: 8,5
Recensione: Dopo una prima stagione andata al di sopra delle più rosee aspettative (qui la recensione) e un secondo ciclo di episodio leggermente deludente (colpa soprattutto di una puntata proprio evitabile, qui comunque la recensione), Stranger Things era chiamata a una prova di definitiva maturità, che dimostrasse la capacità dello show di reggersi sulle proprie gambe e di andare oltre al marcato citazionismo e alla genuina e nostalgica passione per le atmosfere anni '80. Al termine degli 8 episodi che compongono la terza stagione, si può affermare che i Duffer Brothers hanno superato brillantemente questa prova, riuscendo nella non facile impresa di riprendere in mano le redini della propria creatura e di assecondarla in maniera limpida e naturale, sfruttando il rapido cambiamento fisionomico e caratteriale dei giovanissimi protagonisti per una profonda e a tratti struggente riflessione sulle gioie e sui dolori dell'adolescenza. La provvidenziale pausa di quasi due anni dal precedente ciclo di episodi ha dato ai Duffer il tempo necessario per rimettere al centro di tutto i propri personaggi e la loro evoluzione, senza però rinunciare alla componente più prettamente orrorifica. Il risultato è una serie che, a un passo dall'implosione, ritrova tutta la propria vitalità, riuscendo a fare nuovamente innamorare il pubblico di Eleven e soci e a unire spettatori di diverse età sotto la bandiera comune della nostalgia anni '80, sfruttata con molteplici citazioni e omaggi al periodo, quasi sempre funzionali al racconto. La terza stagione di Stranger Things ci mostra i ragazzi di Hawkins alle prese con i cambiamenti dovuti alla loro crescita e ai primi amori. Eleven e Mike fanno ormai coppia fissa, scambiandosi dozzine di goffi baci a pochi metri di distanza dal sempre più severo Hopper, Dustin torna dalle vacanze rinvigorito dalla sua nuova ragazza Suzie, che non l'ha seguito ma che lui assicura essere più sexy di Phoebe Cates, mentre Nancy e Jonathan e Lucas e Max rinsaldano i loro rapporti. Con Hawkins scossa dall'apertura di un nuovo modernissimo centro commerciale, presso cui Steve trova un lavoretto come gelataio, il Sottosopra incrocia nuovamente le strade dei protagonisti, a causa di alcuni misteriosi esperimenti condotti in una segretissima base russa. La minaccia soprannaturale è pressoché inalterata rispetto a quella che ha contraddistinto le prime due stagioni della serie, con l'eccezione di un gustoso retrogusto da L'invasione degli ultracorpi (o La cosa, citata esplicitamente dai protagonisti con un dotto paragone fra l'originale e il remake), che porta i personaggi a sospettare di chi li circonda, tutti possibili ospiti del temibile Mind Flayer. I nemici più minacciosi del periodo, ovvero i russi, sono invece volutamente rappresentati con gli stessi stereotipi che li caratterizzavano nel cinema statunitense degli anni '80, da Alba rossa in giù: responsabili dei più disparati complotti governativi, privi di qualsiasi tentennamento o sentimento e talmente malvagi da diventare quasi ridicoli. Questi aspetti avrebbero potuto trasformare una qualsiasi serie contemporanea in un boomerang per i propri creatori, ma non la creatura dei fratelli Duffer, in particolare in questa sua terza ispirata stagione.
Il cuore di questo nuovo ciclo di episodi di Stranger Things non sta infatti né nel Sottosopra né nei russi, ma nelle dinamiche fra i personaggi, che rendono i pericoli che li circondano quasi accessori. Come il cadavere cercato dai protagonisti di Stand by Me - Ricordo di un'estate, che diventava poco più che un espediente narrativo per raccontare la prima e ultima grande avventura di quattro amici che di lì a poco avrebbero preso strade diverse, alla stessa maniera i pericoli della terza stagione di Stranger Things sono un pretesto per evidenziare il cambiamento e le difficoltà di quei ragazzi che in tre anni abbiamo imparato a conoscere e amare. Nonostante la terza stagione di Stranger Things sia anche quella più truce e violenta dal punto di vista visivo, a prendere il sopravvento sono infatti aspetti del tutto estranei all'azione pura, come la solitudine di Will Byers, che vorrebbe rimanere ancora per un po' nella sua comfort zone fatta di D&D e amenità varie, ma si trova invece a fare i conti con gli ormoni degli amici, più orientati alla piacevole scoperta dell'altro sesso che ai giochi da bambini. Alla stessa maniera, i sempre più evidenti poteri di Eleven sono spesso utilizzati più per assecondare le sue necessità di giovane donna (chiudere la porta dallo sguardo indiscreto di Hopper, indagare sui pensieri e sulle azioni di Mike) che per sconfiggere i mostri che attanagliano Hawkins. I Duffer azzeccano inoltre tutte le scelte di sceneggiatura, traendo il massimo dai vari piccoli ma eterogenei gruppetti in cui vengono divisi i protagonisti, che raccontano a loro volta tanti importanti aspetti legati all'adolescenza. Emblematica in tal senso la divisione fra la fazione delle ex rivali Eleven e Max e quella dei loro spasimanti Lucas e Mike, che evidenzia la maggiore scaltrezza e la superiore maturità delle ragazze rispetto alla loro controparte maschile, mentre i siparietti fra Dustin e Steve sono non soltanto il perfetto contraltare comico agli altri eventi, ma anche un'efficace rappresentazione della particolare miscela di complicità e immedesimazione nei ruolo di mentore e allievo che si instaura fra due ragazzi di età leggermente diverse, ma affini per carattere. Joe Keery ha modo di esaltare le sue notevoli doti espressive con il suo personaggio, protagonista di una delle più interessanti evoluzioni di questa stagione. Abbandonati ormai definitivamente i panni di belloccio, Steve si trova per tutti gli otto episodi costretto in un poco virile abito alla marinara, divisa d'ordinanza della gelateria in cui lavora, nonché alle prese con i suoi risultati sempre più scadenti con l'altro sesso, che la sua nuova collega Robin sottolinea con divertito sarcasmo. I confronti fra i due, perennemente in bilico fra scherno e interesse (in tal senso apprezzabile la modalità con cui viene introdotta l'omosessualità nella serie, in modo naturale e senza scene eclatanti), danno profondità ai personaggi ed esaltano le qualità attoriali di Keery e di Maya Hawke, figlia d'arte di Uma Thurman ed Ethan Hawke che si evidenzia come migliore sorpresa della stagione e pone le basi per una crescita all'interno di Stranger Things e per una luminosa carriera futura.
Non meno importante della crescita dei personaggi è l'utilizzo che i Duffer fanno delle atmosfere e degli usi e costumi degli anni '80. L'ondata nostalgica per quest'epoca ha spesso generato opere incentrate su riferimenti e omaggi fini a se stessi, ma non è questo il caso. In maniera sottile ma centrata, la terza stagione di Stranger Things ha infatti anche il merito di tratteggiare pregi e difetti del periodo, ponendo l'accento su ciò che è arrivato dopo. Significative sono per esempio le rappresentazioni del centro commerciale Starcourt, simbolo del progresso e della grande distribuzione che ha gradualmente tolto spazio alle attività più piccole, e il sessismo imperante all'interno della redazione dell'Hawkins Post, i cui elementi più in vista sminuiscono continuamente le intuizioni di Nancy solo perché giovane donna, raffigurando perfettamente uno dei tratti distintivi della società americana degli ultimi decenni. A toccare le corde del cuore dei cinefili non più giovanissimi è la rappresentazione della sala cinematografica come luogo di aggregazione ed espressione della più pura e viscerale passione, che assume un'importanza ancora maggiore perché prodotta da chi viene spesso visto, abbastanza superficialmente, come il principale nemico del cinema contemporaneo. Le citazioni a Il giorno degli zombi e Ritorno al futuro diventano così sentiti omaggi a un'epoca in cui il cinema era ancora rito di massa e luogo sacro in cui assaporare l'ultima avventura fantascientifica o pregustare il film dell'orrore che di lì a poco avrebbe terrorizzato gli spettatori di tutto il mondo. I Duffer sono ora chiamati a gestire un ulteriore passaggio di età e di ambientazione temporale per Millie Bobby Brown e compagni, con tutte le difficoltà del caso. Fra ricongiungimenti, pianti, separazioni e indizi per il futuro (fondamentali in questo senso i titoli di coda dell'ultimo episodio), il finale di stagione ci mostra che Stranger Things ha solidissime basi su cui costruire, e che con un approccio così profondo e appassionato al periodo e ai propri personaggi può guardare al futuro e al necessario cambiamento con rinnovato ottimismo. La terza stagione di Stranger Things si rivela dunque anche l'apice della creazione dei fratelli Duffer, sempre più prodotto di bandiera sotto cui riunire diverse generazioni di abbonati Netflix, ma non solo. Un universo bizzarro e fantastico, in cui i ragazzi sono sempre più maturi, e salvano il mondo sulle note di The Never Ending Story, mentre gli adulti si rivelano spesso impacciati, avidi e doppiogiochisti. Una visione di società decisamente critica, che ci riconcilia però con la componente più pura e ludica della nostra personalità, ricordandoci una volta di più che siamo fatti anche di ciò che vediamo, giochiamo e amiamo e che anche la più apparentemente banale esperienza può diventare una freccia del nostro arco nello strano percorso della vita. Fra azione e nostalgia, la terza stagione di Stranger Things trova nei personaggi la propria più grande forza, riscattandosi dalle perplessità lasciate dal secondo ciclo di episodi e lanciandosi verso un futuro che appare più luminoso che mai.
Regia/Sceneggiatura/Aspetto tecnico/Cast: Questa terza stagione di Stranger Things ha una struttura narrativa molto solida, con intrecci ben realizzati e che si incastrano fra loro in maniera perfettamente coerente, forte anche delle ottime interpretazioni degli attori protagonisti, sempre molto convincenti (la recitazione è infatti generalmente di buon livello), e di un certo senso di ironia e leggerezza che pervade l'intera opera e che ben si inserisce in un contesto diversamente decisamente drammatico. Certo, la contrapposizione dei due blocchi, con il sovietico cattivo, è un cliché che mancava a Stranger Things, ma la sua apparizione in questa stagione è un atto dovuto bene orchestrato, soprattutto perché volutamente macchiettistico in certi punti. In ogni caso, suspense, azione, scene splatter, colpi di scena del tutto inaspettati e siparietti comici impreziosiscono una storia decisamente molto più oscura e drammatica di quanto visto fino a questo momento in Stranger Things, e che per questo nel suo complesso resta appunto salda su livelli narrativi molto buoni, creando un intreccio decisamente appassionante (ogni piccola trama ha il proprio obbiettivo, la propria evoluzione dei personaggi e un proprio modo di portare avanti gli eventi). La regia, ad opera di diversi registi, tra cui gli stessi Duffer e Shawn Levy, che figura ancora una volta tra i produttori, è potente, capace di valorizzare i numerosi momenti action e ancora più citazionista del solito, giocata su lunghi piani sequenza e movimenti di macchina mai casuali, sempre ragionati. Altra menzione speciale meritano gli effetti speciali, davvero strabilianti e molto realistici nonostante l'assurdità di ciò che si vede, e che rendono possibile la visione anacronistica di una serie ambientata negli anni '80 che sembra quasi realizzata in quel decennio per la cura maniacale dei dettagli (musica, costumi, riferimenti), ma che invece appartiene agli anni 2000 e che per questo può essere rappresentata impiegando i mezzi tecnologici più moderni.
Commento Finale: Stranger Things 3 impara da quanto sbagliato nella seconda stagione e torna ai fasti della prima, non dimenticando per strada i pregi della precedente. Questa terza stagione infatti (una stagione forte e delicata al tempo stesso che riesce ad emozionare portando ad una riflessione molto interessante), che narrativamente riesce ad offrire nuovi spunti, mantiene moltissime delle caratteristiche dei precedenti archi narrativi (ma schiaccia ancora di più sull'acceleratore, aumentando adrenalina, comicità slapstick, body horror e citazionismo), e conferma la ricercatezza estetica che da sempre ha caratterizzato la serie. Non era scontato mantenere pimpante e frizzante un prodotto che fa del citazionismo e dell'essere derivativo la sua forza, pur cedendo a evitabili ingenuità e sbavature soprattutto nel finale, troppo sbrigativo e poco soppesato (se la serie si fermava così, con questo finale, potevo ritenermi anche soddisfatto, c'è però la già citata scena post credit, sarà abbastanza per dare un ulteriore spunto alle avventure dei ragazzi di Hawkins?), tuttavia, nel complesso è una stagione ben congegnata e ritmata, che non ha paura di prendere pieghe orrorifiche pur puntando sempre la bussola verso seguendo i punti di forza delle precedenti stagioni. Una stagione questa terza, che è forse la migliore finora, con poche distrazioni e con al centro di tutto le fantastiche relazioni tra i suoi personaggi vecchi e nuovi. Oltre a una realizzazione tecnica e valori di produzione ai migliori livelli tra le serie tv in circolazione.
Consigliato: Stranger Things si dimostra ancora una volta uno dei prodotti meglio concepiti della libreria Netflix e del mondo seriale moderno, che con questa terza stagione trova la perfetta quadratura del cerchio, consigliata a grandi e piccoli.
Voto: 8,5
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