venerdì 11 ottobre 2019

Vikings (5a stagione)

Recensione pubblicata su Pietro Saba World il 09/10/2019 Qui
Tema e genere: Quinta stagione per la serie televisiva canadese di genere storico creata e scritta da Michael Hirst, incentrata sulle gesta del popolo vichingo.
Trama: Ivar, ancora pieno di rabbia per la morte del padre, dopo l'uccisione del fratello Sigurd al termine di Vikings 4, continua a sfogare la sua rabbia muovendo ancora guerra sul suolo inglese per espandere le conquiste dei Norreni (ma anche altro vorrebbe ed avrà). Floki, dopo la morte di Helga, parte per seguire la voce degli dei e si imbarca su una minuscola barca alla ricerca di una nuova vita (la troverà ma ad un prezzo). Dopo che Re Ecbert ha firmato il trattato per cedere parte delle sue terre ai Norreni, suo figlio, Re Aethelwulf, cerca di sfuggire ai pagani con l'aiuto del Vescovo Heahmund. I figli del Re Aethelwulf, Alfred e Aethelred, però non saranno in accordo col modo di agire del padre (che ben presto morirà, e complicata sarà la successione, ingombrante lo zampino della madre). Lagherta continuerà a regnare a Kattegat, ma sarà sempre più minacciata.
Recensione: La serie Vikings, al termine della quarta stagione (qui la recensione), aveva gettato le basi per un'importante svolta nella trama mostrando la morte di Ragnar Lothbrok e le prime anticipazioni su chi avrebbe assunto un ruolo da protagonista nelle puntate inedite. Il creatore dello show, Michael Hirst, ha chiuso (forse sbagliando) un importante capitolo della storia e ha dato vita a spunti narrativi inediti che, tuttavia, forse per colpa dell'assenza della sua punta di diamante, non sono riusciti a mantenere intatta l'atmosfera che aveva contraddistinto fin dal suo inizio il progetto targato History. Questa stagione infatti, segna non solo il punto più basso, ma lascia nello spettatore un senso di frustrazione notevole. Rabbia per aver lasciato che un prodotto valido, innovativo ed indipendente venisse abbandonato a sé stesso. Rabbia per una sceneggiatura quasi inesistente, se non in alcuni momenti di tensione davvero alta (che si possono contare sulle dita di una mano). Delusione per la mancanza di personaggi nuovi a cui appassionarsi, a cui interessarsi e legarsi, come era accaduto nelle stagioni precedenti. Guardando questa stagione si ha l'impressione di osservare una nave che affonda senza la possibilità di salvarla. Una stagione povera di novità e dove quei pochi personaggi che potevano sembrare interessanti scadono nella banalità, prima di essere eliminati completamente per mancanza di logica o coerenza di trama (la suddetta è infatti abbastanza confusa). Il personaggio di Jonathan Rhys Meyers, che prometteva di portare nuova linfa vitale, è stato sballottato da un lato all'altro, finendo in una rete di monotona inutilità. Si tratta tuttavia soltanto di un rappresentante di quella che è una serie lunga di esempi. Personaggi male utilizzati o poco sfruttati, in questo contesto, sono stati davvero tantissimi. Sono mancate le fondamenta che avevano reso la serie tv di Michael Hirst un punto di riferimento tra gli sceneggiati storici. Vikings era un'innovazione nel suo genere: per i dialoghi, le dinamiche e le trame. In questo caso, dato che si è già detto come i personaggi siano allo sbaraglio, non si può che sottolinearne anche la scialba parlantina. Forse si poteva definire Vikings ai suoi albori come "acerba" nei dialoghi, ma quest'ultimi non sono mai stati così brutti come in queste circostanze (e il doppiaggio non aiuta).

Riviera (2a stagione)

Recensione pubblicata su Pietro Saba World il 03/10/2019 Qui
Tema e genere: Seconda stagione della serie televisiva britannica dai toni drammatici e thriller creata da Neil Jordan e prodotto originale Sky.
Trama: La trama della seconda stagione di Riviera riprende esattamente da dove si era interrotta: dopo il tête-à-tête con Adam e conseguente burrasca Georgina viene salvata da Raafi Al-Qadar (Alex Lanipekun), un uomo di affari in luna di miele con la moglie Daphne (Poppy Delevingne), che diventa amica della protagonista ed è la figlia di Lady Cassandra Eltham (Juliet Stevenson), che nasconde un inaspettato segreto. Un segreto (più di uno) che verrà a luce e scompiglierà le carte, che metterà in difficoltà Georgina, che nel frattempo si ricongiungerà con il suo carismatico zio Jeff (Will Arnett), e verrà quindi svelato qualcosa in più sul difficile passato che la donna si è lasciata alle spalle negli Stati Uniti, e in ultimo dovrà anche fare i conti con affascinanti e misteriosi personaggi (uno, Noah) e loschi individui (tanti, uno in famiglia e l'altro no).
Recensione: Quasi quasi tenderei a rivalutare la prima stagione, valutata positivamente ma con tante riserve (qui la recensione), perché quelle riserve in questa seconda stagione non si sciolgono, anzi, la stagione cerca infatti di dare nuova linfa ad una trama sempre a rischio in più punti nel scivolare in atmosfere e in svolte narrative da soap opera, introducendo ulteriori personaggi e dando maggior spazio ai misteri, ma non ci riesce. I nuovi arrivi, aumentano la percentuale di intrighi internazionali, tra morti, opere d'arte e relazioni sentimentali ed economiche, ma la confezione patinata e incredibilmente glamour ideata per Riviera, tra famosi dipinti, yacht e residenze lussuose, non riesce a mettere in secondo piano la narrazione in cui il grado di irrealtà cresce in modo esponenziale fin dal primo episodio, tra morti e "ritorni in vita" (più o meno) inaspettati. Una narrazione che riprende dal finale della prima stagione, che riprende la storia di una famiglia in lutto, ancora alle prese con la "morte" del capofamiglia, che certamente ha un buon ritmo, e infatti la seconda stagione della serie originale di Sky Atlantic non ci lascia mai un momento di tranquillità, ma sono davvero troppe le cose da raccontare, e purtroppo, come spesso accade, quando ci sono diverse storyline intrecciate, si fatica a renderle efficaci tutte quante. Perché sì, gli sceneggiatori cercano di allontanarsi lievemente dai sentieri già percorsi, anche facendo scoprire qualche pagina inedita sul passato della protagonista interpretata da una (ancor più) statica Julia Stiles, ma quello che ne esce, insieme a tutta la rete di bugie e dettagli oscuri che contraddistingue la loro famiglia, è ugualmente una puntata (più puntate) di Beautiful. Infatti la somiglianza con titoli maggiormente vicini alla soap opera, come anche Dallas o Dynasty, non scompare, anzi, e al contrario, fin dal primo episodio diventa evidente a causa appunto del ritorno di una figura che sembrava ormai destinata a far parte del passato dei protagonisti.

Warrior (1a stagione)

Recensione pubblicata su Pietro Saba World il 25/09/2019 Qui
Tema e genereIspirata dai racconti di Bruce Lee, la serie irrompe nel mercato con calci, pugni e spettacolari arti marziali. Nonostante l'azione sia un elemento chiave, emergono anche tematiche come i diritti dei lavoratori e il razzismo. Eppure, non è errato affermare che si tratti principalmente di uno spaghetti western in salsa cinese.
TramaNel 1878, San Francisco è sul punto di esplodere. Imprenditori che sfruttano lavoratori cinesi a basso costo hanno causato disoccupazione e scontento tra gli irlandesi nativi. Chinatown, nel frattempo, è fiorita diventando il cuore vibrante della città, anche se controllata dalle tong, clan criminali coinvolti in attività illecite come il gioco d'azzardo e la prostituzione. La situazione è così tesa che il sindaco è obbligato a creare una forza speciale per Chinatown, ingaggiando il riluttante Bill O'Hara, un poliziotto irlandese razzista, corrotto e indebitato. In questo contesto arriva Ah Sahm (Andrew Koji, il cui comportamento, movenze e stile di combattimento evocano il leggendario protagonista di "Il furore della Cina colpisce ancora"), un maestro di arti marziali indomabile. Venuto a San Francisco alla ricerca di una ragazza misteriosa, il suo ritrovamento segnerà solo l'inizio dei suoi guai.
Recensione: Il nuovo fiore all'occhiello di Cinemax, "Warrior", è già stato rinnovato per una seconda stagione e trasmesso in Italia su Sky Atlantic. Nonostante i paragoni inevitabili con "Peaky Blinders" per il suo focus sulle gang, "Warrior" segue un ritmo tutto suo, risultando ancora più coinvolgente. La serie unisce combattimenti coreografati, intrighi politici e l'atmosfera turbolenta della San Francisco del 1870, mantenendo alta l'attenzione e l'interesse per tutti i dieci episodi. Sotto la supervisione di Jonathan Tropper (showrunner di "Banshee"), "Warrior" prende vita da un'idea originale di Bruce Lee del 1971, inizialmente scartata da Warner Bros e Paramount. Shannon Lee, figlia di Bruce, ha poi recuperato il progetto, portandolo sullo schermo nel 2015 con la regia di Justin Lin. Sin dal pilot, la serie si distingue per il suo stile pulp e per le somiglianze con "Peaky Blinders", narrando le lotte tra gang cinesi nelle Chinatown americane del XIX secolo, note come Tong Wars. Presenta un microcosmo corrotto e razzista, dominato dalla legge del più forte. Pur offrendo una rappresentazione non caricaturale della società americana dell'epoca, "Warrior" si rivolge principalmente a un pubblico maschile, non esitando a mostrare scene di sesso esplicite, in linea con lo spirito del canale via cavo di Warner, e dando grande risalto al kung fu. Grazie all'abilità degli stuntman, i combattimenti rappresentano il vero punto di forza di Warrior, mantenendo lo spettatore incollato allo schermo grazie al loro realismo.

American Horror Story: Apocalypse (8a stagione)

Recensione pubblicata su Pietro Saba World il 11/09/2019 Qui
Tema e genere: Ottava stagione delle celebre serie tv antologica horror creata da Ryan Murphy e Brad Falchuk.
Trama: Una crisi missilistica ha ridotto la terra in un agglomerato di scorie radioattive sterminando la quasi totalità della popolazione mondiale. I più ricchi hanno trovato riparo in bunker chiamati Avamposti, ma come e perché è successo? ma soprattutto chi la scatenata?
Recensione: Una serie che ha raccolto numerosi estimatori American Horror Story, fin dalla sua messa in onda dall'ormai lontano 2011, ma al contempo ne ha persi tanti. Poiché la serie antologica creata da Ryan Murphy, probabilmente la creazione più popolare del produttore e regista americano, tra le principali creazioni artefici del suo successo, ha offerto punti davvero alti di televisione ma anche sonori tonfi. Però nonostante i non eccezionali risultati delle precedenti stagioni (compresa la settima, Cult), egli, insieme a Brad Falchuk, ci riprova, e il risultato in parte sorprende, perché seppur emergono nuovamente segni di stanchezza creativa e di brillantezza nella costruzione narrativa, lo show si mantiene di buon livello. Perché certo, Ryan Murphy è bravissimo a calarsi in qualunque registro, maestro nella costruzione di personaggi complessi e dal vissuto delicato, egli si dimostra però meno abile a gestire il tutto d'insieme, a conferire unità alla varietà, a mantenersi coerente. L'horror, il demenziale, il cinema muto, la Fabbrica di Cioccolato dell'Apocalisse, ognuno di questi elementi è perfettamente realizzato in se stesso ma perde di senso nella globalità dello show, che risulta sovraccarico. Tuttavia non si può negare che Apocalypse rappresenti un netto miglioramento rispetto al recente passato della serie. Anche se questa svolta positiva debba essere presa come fonte di speranza o occasione di una degna e auspicabile chiusura, sarà il tempo a dirlo. Comunque, non all'altezza delle prime stagioni, lo show conferma ugualmente un trend in discesa, ma grazie al fandom e alla storyline interconnessa riesce a confezionare un buon prodotto seriale d'intrattenimento. Infatti Apocalypse, ovviamente lontano anni luce dalla perfezione di Asylum, si avvicina alla piena sufficienza di Coven, di cui è crossover insieme a un altro riuscito capitolo della serie, Murder House. Una scelta che si è rivelata curiosa, interessante e certamente originale nelle sue intenzioni iniziali, quella appunto di voler riunire in un'unica stagione i nuclei narrativi della prima e terza stagione della serie, che seppur non convince fino in fondo, trova una sua dimensione e forza. Questo grazie all'intreccio, che si discosta dalle precedenti contaminazioni in quanto quest'ultima connette direttamente quelle due stagioni. Se prima i legami erano dei puri e semplici riferimenti per fan, Apocalypse è frutto diretto dell'intreccio da quelle due storyline. L'Anticristo (se non era ancora chiaro dal banner è lui il personaggio della stagione) contro la confraternita di Streghe. Un scontro atteso e che è il fulcro di questa nuova stagione. Uno scontro fra titani. Questa decisione è in un certo senso la croce e delizia dell'ottava stagione che funziona in gran parte grazie alla spasmodica attesa di carpire tutte le interconnessioni tra i vari cicli di episodi. Funziona in gran parte per un fattore nostalgia e di affetto, però, dal punto di vista narrativo, la nuova storyline che non si dirama in modo congruo, anzi, complessivamente si completa ed estende in modo discontinuo. Ci sono puntate strepitose per costruzione narrativa e altre molto flosce e di puro "rilassamento". Alcune puntate riservano grandi momenti d'intrattenimento ma altre sono banali e soffrono di una costruzione sufficiente e superficialità.

Chernobyl (Miniserie)

Recensione pubblicata su Pietro Saba World il 04/09/2019 Qui
Tema e genereChernobyl è la serie tv (miniserie per esser precisi) che racconta cosa è successo nel 1986 ricostruendo la storia fatta di errori e menzogne che hanno contribuito a causare il peggior disastro nucleare di sempre.
Trama: Era l'1:23 del mattino del 26 aprile del 1986 quando una potente esplosione alla centrale nucleare di Chernobyl vicino Pripyat a 120 km da Kiev, sconvolse l'URSS, l'Europa e il mondo intero.
Recensione: Quanto è difficile parlare di Chernobyl. Sono quegli eventi che segnano la storia dell'umanità, la mettono in pericolo. Poi il tempo passa, finché l'uomo non trova il coraggio e la lucidità di raccontarli. Ed è un bene: Chernobyl è presente nell'immaginario di molti, anche di chi quel giorno non era ancora nato. Si sa che è accaduto qualcosa di epocale, rimbalzato sui media e finito sui libri di storia, ma raramente si conoscono le dinamiche, i protagonisti, i fatti. La miniserie, prodotta da Sky e HBO composta da cinque puntate girate da Johan Renck, andata in onda dal 10 giugno e per cinque settimane su Sky Atlantic, si da proprio questo obiettivo: dare al mondo una narrazione di un certo rilievo artistico che abbia la potenza di denunciare l'orrore di ciò che è accaduto. Tutto questo lo fa non cadendo nella tentazione di altre rappresentazioni ispirate a fatti reali: drammatizza ma tiene a bada la traslitterazione, l'impulso di romanzare le singole biografie, perdendo lo spirito documentale, l'evento macro nella sua gravità. Chernobyl, invece, mostra con efficace e angosciante realismo le conseguenze dell'incidente avvenuto quel maledetto 26 Aprile 1986. Chernobyl infatti, entra nel dettaglio, spiega con cura, fa rabbrividire, mostra gli effetti di quell'esplosione radioattiva sulla carne umana e nelle vite dei protagonisti. Chernobyl racconta la tragedia umana di persone che combattono contro un nemico invisibile e imprevedibile, un male che non si può vedere se non nei suoi effetti agghiaccianti, ma non propriamente quantificabili. Per farlo si avvale di una regia molto efficace, di una fotografia che predilige le tinte grigiastre, cupe, scure, di una sceneggiatura solida che crea un collante molto solido tra le vite di personaggi molto diversi e distanti e che avvalora ogni singola parola pronunciata all'interno di un'idea narrativa composita e molto efficace. La colonna sonora è essenziale, scarna, a tratti ricorda il tema di Jaws, con il quale si può dire che condivida la questione dell'invisibilità del pericolo, il quale si manifesta frequentemente a livello sonoro con rumori graffianti che da sottofondo diventano spesso pervasivi. Con una ricostruzione accurata e brutale, dunque, veniamo trascinati in un'esplorazione degli eventi e delle scelte che hanno portato alla catastrofe nucleare e che l'hanno parzialmente arginata. Al centro di questi due poli troviamo un denominatore comune: l'uomo, che con le sue bugie è in grado non solo di compromettere la buona riuscita di un esperimento, ma di distruggere se stesso. Difatti Chernobyl non mostra soltanto la sofferenza fisica, la deturpazione, i danni ambientali, ma anche l'ingiustificabile e volontaria miopia politica, e soprattutto l'innocente ingenuità di un popolo che ha pagato a carissimo prezzo, con la vita, l'irresponsabilità di altri. Come presumibile, gli eventi della serie si concentrano in gran parte nella vicina cittadina di Pripyat, città più di tutte investite dalla devastazione. I protagonisti sono a turno un pompiere, una moglie casalinga, un politico, un fisico nucleare, con la dichiarata volontà di mostrare come è stato percepito il tragico evento, da ogni punto di vista. Tutto parte a guaio già avvenuto, il reattore 4 ha dato problemi, il nocciolo è esploso, nessuno sembra crederci, ma si capisce subito che la situazione sia delicata, sebbene gli ingegneri, i politici, minimizzino. È inaccettabile per la razionalità umana (tanto fiduciosa nel progresso e nel mondo che verrà dato lo spirito del periodo) accogliere l'idea di aver innescato una reazione a catena fuori controllo, aver esposto milioni di persone, le generazione future, a morte precoce. Si prova una certa dissonanza interna, psicologica, la mente si rifugia in altre verità. E quindi non è il panico la reazione dei protagonisti, ma la negazione, "è tutto sotto controllo", "non è niente di che" si ripetono tra loro, mentre la catastrofe si realizza, si aggrava.