mercoledì 27 novembre 2019

The Generi (1a stagione)

Recensione pubblicata su Pietro Saba World il 27/11/2019 Qui - Dopo la parentesi in chiaroscuro (più che scuro) sul grande schermo, con il mediocre Italiano Medio e il dimenticabile Omicidio all'italianaMaccio Capatonda torna al suo primo amore, facendo quello in cui riesce meglio. Qui infatti ritroviamo, giacché la trama, praticamente un viaggio onirico attraversi i generi più famosi dell'intrattenimento, visti tramite gli occhi del protagonista che deve superare le sue fobie per riuscire a tornare a casa, non è altro che un pretesto per dare libero sfogo al suo estro, il suo modo unico di far parodia e di prendere in giro cinema e televisione. E lo fa con una serie, appunto umoristica e parodistica (che sfrutta stereotipi narrativi e stratagemmi diegetici con una struttura che strizza l'occhio ai videogiochi), davvero esilarante. Con una serie (sicuramente grazie a Sky) fatta benissimo dal punto di vista produttivo e realizzativo, con tantissime comparse (c'è addirittura Alvaro Vitali, nel genere facile intuire), location suggestive e regia, montaggio e fotografia di alto profilo. Così The Generi (che in ogni puntata esplora un genere cinematografico diverso: Western, horror, fantasy, commedia sexy all'italiana, supereroistico, quiz, noir) ricalca pedissequamente lo stile di ogni genere affrontato (Dark per i supereroi, Notturna/Foresta per l'horror, bianca e colorata per la commedia sexy, e così via). In questo senso è senza dubbio il progetto più sofisticato a livello tecnico di Marcello Macchia. Ha osservato negli anni programmi, telegiornali, reality, trailer e serie, cogliendone pregi e difetti con precisione chirurgica. In ogni sua parodia ciò che balza immediatamente all'occhio è proprio la conoscenza dei cliché e delle debolezze della materia originale. Il suo fine è esasperarne i difetti, sconfessandone l'essenza stessa con il suo humor dissacrante. Già nei primissimi trailer si intuiva la capacità di cogliere il buffo e il ridondante del genere. Macchia ne riusciva a ricalcare atmosfere e impalcature, inserendoli in un nuovo contesto in salsa nonsense. Ancora oggi, a distanza di più di dieci anni, i suoi trailer surreali e demenziali funzionano a meraviglia. In un'era in cui l'unico mezzo per emergere era ancora il tubo catodico e in cui Youtube ancora non la faceva da padrone, Maccio ha fatto scuola agli attuali youtuber anticipandone linguaggio e format.

Knightfall (2a stagione)

Recensione pubblicata su Pietro Saba World il 27/11/2019 Qui - Dopo la visione della seconda stagione di Knightfall, purtroppo si devono confermare tutte le perplessità e i dubbi suscitati dalla prima stagione (qui la recensione). Pur rimanendo una piacevole e scorrevole fiction di ambientazione medievale (riuscendo a coniugare scene di battaglia adrenaliniche ed emozionanti con sequenze di dialogo ben strutturate, alimentando una trama precisamente intessuta, fatta di intrighi e giochi di potere), la serie di History Channel (che riprende esattamente dal finale della precedente, che vedrà due fazioni ben schierate: da una parte i Templari e dall'altra re Filippo IV con i suoi figli) dimostra di essere stata realizzata all'insegna della massima inverosimiglianza storica, nonostante il tentativo di incanalare la vicenda in un serrato alternarsi di battaglie, duelli, agguati e assedi che accompagnano il doloroso percorso di redenzione del Templare Landry, degradato dall'Ordine per via dei suoi numerosi peccati. Tutte le storyline alternative vengono sbrigativamente accantonate, a cominciare dal mistero del Santo Graal che si è visto nella prima stagione, infrangersi contro un albero per mano di Landry, per concentrarsi sulla rinascita e vendetta del protagonista nei confronti di un Re Filippo sempre più odioso e furente. Il famoso processo ai Templari ci viene presentato in maniera puerile e frettolosa (nella realtà il processo durerà 7 anni), tra roghi e fantasiose torture pseudo-medievali. Nel voler favorire ad ogni costo una narrazione scorrevole e semplicistica, si rinuncia a qualsiasi forma di vero pathos sulla tragica fine dei cavalieri Templari. E anche quegli aspetti più misteriosi ed esoterici che fanno parte della leggenda templare vengono trascurati o banalizzati in Knightfall. Privati del loro nemico storico, in Knightfall vediamo i Templari, con Landry in testa, battersi con i nemici più improbabili: dopo i mercenari russi (e ninja) entrano in scena i fantomatici Luciferiani, una sorta di setta satanica che si nasconde nelle foreste circostanti. Quindi, dal punto di vista storico non ci siamo.

The Passage (1a stagione)

Recensione pubblicata su Pietro Saba World il 27/11/2019 Qui - Guardando la prima stagione della serie Fox The Passage, si ha la sensazione di trovarsi di fronte ad un prodotto che strizza un po' l'occhio a TWD e un po' alla serie targata Guillermo del Toro The Strain. Un virus proveniente dalla Bolivia che trasforma le persone colpite in vampiri succhiasangue. Vampiri che possono comunicare sia tra loro che con le persone non infette. A combattere questa minaccia un team di scienziati che in questo virus sperava di trovare una cura definitiva a tutte le malattie. A guidarli sono il Dottor Jonas Lear (Henry Ian Cusick di Lost) e la dottoressa Nichole Sykes (Caroline Chikezie). Legati a questa vicenda sono anche i due protagonisti della serie, ovvero l'agente federale Brad Wolgast (Mark-Paul Gosselaar) e la giovanissima Amy Bellafonte (Saniyya Sidney). Il team di scienziati infatti dopo alcuni esperimenti su condannati a morte che per sfuggire all'esecuzione hanno deciso di fare da cavie per l'esperimento chiamato Noah iniettandosi il virus per studiarne gli effetti, ha trovato in Amy la possibile soluzione finale. Una persona molto giovane difatti potrebbe controllare l'effetto del virus in modo da limitarne/annullarne gli effetti collaterali. Saranno però alcuni effetti non considerati e la particolare abilità di coloro già infettati a rimettere tutto in discussione e a portare con sé gravi conseguenze per tutti. Virus, trasformazioni, mutazioni, cure e succhiasangue. Ecco gli ingredienti principali di The Passage. Tipici ingredienti, che vanno dall'horror al fantasy e al thriller, anche troppo tipici, perché anche se in questa prima stagione è però forte il fattore umano, quello dei legami tra i vari personaggi, in particolar modo quello che lega l'orfana Amy all'agente Wolgast, sconvolto da un passato familiare molto triste, quello tra Amy e uno degli infetti, lo scienziato Tim Fanning, personaggio chiave di questa stagione, e ultimo, ma non per importanza quello tra il collega di Wolgast, Clark Richards (Vincent Piazza) e un'altra cavia, la bionda sexy Shauna Babcock (Brianne Howey), tutto è stato già visto. E come se non bastasse ciò, a farla da padrone in questa serie dove almeno fortunatamente i vampiri non brillano come in Twilight (hanno la pelle liscia quasi fosse una guaina e somigliano un po' a quelle salamandre strane che si trovano nelle foreste pluviali, il loro vomitare sangue richiama invece altri vampiri già visti in televisione) è la prevedibilità, quest'ultima in aggiunta ad una dose massiccia di stupidità.

The Handmaid's Tale (3a stagione)

Recensione pubblicata su Pietro Saba World il 19/11/2019 Qui
Tema e genere: Terza stagione per la distopica (drammatica) serie di produzione Hulu tratta dal romanzo Il Racconto dell'Ancella di Margaret Atwood.
Trama: June ha messo al sicuro sua figlia Nichole in Canada insieme all'amica Emily, ma è rimasta a Gilead per cercare di salvare anche la sua prima figlia, Hannah. La situazione a casa Waterford prevedibilmente precipita e June viene affidata a un nuovo comandante, Joseph Lawrence, lo stesso che aveva avuto in affidamento Emily. Lawrence è stato un importante ideologo del regime e tutt'ora riveste una posizione di grande potere, anche se in realtà nutre grandi sensi di colpa. La sua prima preoccupazione però non è la propria coscienza, bensì la salute della moglie, sull'orlo della follia. Nel mentre Serena Waterford inizia a tessere il proprio piano per riavvicinarsi a Nichole.
Recensione: La terza stagione di The Handmaid's Tale si riconferma come uno show di grande effetto e di grande impatto, sia sul piano contenutistico sia sul piano estetico (Gilead è ancora lì, sui piccoli schermi, e da lontano ci osserva, ci minaccia e ci inquieta). Questa stagione infatti (disponibile su TimVision), è il perfetto terzo atto di un racconto la cui evoluzione rispecchia sempre di più i nostri tempi. La prima stagione dell'acclamata serie Hulu aveva colpito per il mondo distopico che era riuscita a portare in scena: dal libro di Margaret Atwood (che a quanto pare starebbe lavorando ad un sequel letterario) alla serie tv, The Handmaid's Tale aveva scosso l'opinione pubblica, acceso dibattiti e fatto pensare che non sarebbe stato possibile essere ancora più cupi. La smentita è arrivata con la seconda stagione, sicuramente non perfetta ma non una passeggiata dal punto di vista emotivo, che è servita a porre le basi per il terzo atto rappresentato, appunto, dalla terza stagione. Se nella seconda stagione la protagonista, ormai chiamata definitivamente con il suo nome di battesimo e non da Ancella, ha affrontato una gravidanza, la rassegnazione e quindi il distacco dalla figlia appena nata, nella terza deciderà di alzare la testa (non è un caso che il suo sguardo ora sia decisamente ben differente da quello che sì è conosciuto). The Handmaid's Tale 3 è difatti la stagione della rivolta, tanto auspicata nelle prime due stagioni ma vista ancora da lontano. Ora, invece, è arrivato il momento di passare dalle parole ai fatti: la prima a pensarla così è proprio la protagonista, che sceglie di non scappare in Canada e salvarsi, ma di affidare la figlia ad Emily (Alexis Bledel) e di restare a Gilead per combattere il nemico dall'interno. Ad aiutarla, oltre ad alcune Ancelle ribelli, anche un insolito alleato, il Comandante Joseph Lawrence (Bradley Whitford), ed alcune Marte.

Euphoria (1a stagione)

Recensione pubblicata su Pietro Saba World il 12/11/2019 Qui
Tema e genere: Scritta e diretta da Sam Levinson e prodotta dal rapper Drake, Euphoria è l'adattamento dell'omonima versione israeliana andata in onda tra il 2012 e il 2013. Siamo di fronte a un teen drama spregiudicato e a tinte forti pensato per un pubblico adulto, che tocca diverse tematiche complesse. C'è il tema della dipendenza, della sessualità, ci sono le dinamiche genitori/figli, la depressione e la malattia mentale.
Trama: Senza entrare troppo nel dettaglio (per evitare di fare spoiler, anche se poi è facile intuire alcune storie), Euphoria racconta semplicemente le vicende di un gruppo di liceali alle prime armi con droghe, sesso, identità, traumi, amore e amicizia.
Recensione: Primo teen drama di HBO, la serie Euphoria racconta le nuove generazioni in maniera schietta, a volte anche cruda ed estrema, con immagini esplicite dal contenuto sessuale o violento che non la rendono adatta, a dispetto del genere, agli adolescenti o giù di lì. Euphoria (trasmessa in Italia per intero da Sky Box e a puntate su Sky Atlantic da settembre scorso) parla infatti (senza filtri) di droghe, relazioni tossiche, rapporti familiari complicati, depressione e sessualità senza edulcorazioni. Nonostante i personaggi abbiano tra i sedici e i diciotto anni non ci sono prime volte, o sono rare, perché gli adolescenti protagonisti hanno già provato quasi tutto. Ogni puntata si apre con la presentazione di uno di loro, offrendo una panoramica dell'infanzia e della famiglia. Un quadro che evidenzia spesso un trauma in grado di spiegare, almeno in parte, perché sono diventati quelli che sono. Tutto viene filtrato dalle parole di Rue, narratrice e protagonista principale, interpretata dall'attrice Zendaya, nota finora per aver preso parte a prodotti di tutt'altro genere, a cominciare dagli show targati Disney fino all'approdo al cinema con Spider-Man - Homecoming e poi con il musical The Greatest Showman. La serie comincia proprio con la sua storia: la giovane soffre di attacchi di panico sin da bambina e ha cominciato presto a fare uso di droghe. Tale situazione si è aggravata al punto da costringerla a trascorrere l'estate in un rehab dopo essere entrata in coma per un'overdose. Le dipendenze che Euphoria affronta però non sono soltanto quelle da sostanze stupefacenti, riguardano anche la sfera emotiva, legate alla voglia di primeggiare, non deludere le aspettative e al desiderio, che si rivela illusione, di avere il controllo sugli altri e su se stessi. E però non seguiamo solo le vicende di Rue e della sua nuova "amica" Jules (una giovane transgender appena trasferitosi). Euphoria si sofferma puntata dopo puntata sulle storie degli altri protagonisti: facciamo così la conoscenza di Nate e di suo padre Cal, di Maddy, di Cassie e di Kat. I loro percorsi e le loro storie si intrecciano con quella di Jules e Rue. Festa dopo festa, dramma dopo dramma, vediamo l'amicizia tra le due crescere e le protagoniste cambiare, evolversi, avvicinarsi e allontanarsi con gli alti e bassi tipici dell'adolescenza. Parallelamente partecipiamo alle storie degli altri protagonisti, in un'altalena di emozioni che culmina in un finale aperto che getta le basi per la seconda stagione. Perché Rue è sì la figura centrale e a lei viene riservato un po' più di spazio, ma riusciamo a conoscere tutti i protagonisti, tramite un approfondimento psicologico importante (gli adulti sono nel migliore dei casi inutili, nel peggiore dannose e pericolose per i ragazzi che appaiono fragili e soli), e tramite problematiche diverse. Appunto, ciascuno di loro, nella propria storyline, porta avanti una tematica, una problematica specifica. È il modo migliore per perseguire l'intento di tracciare il quadro (certo, non universale) di una generazione (anche se poi non si sa quanto può essere davvero verosimile tutto quello che si vede).

Stranger Things (3a stagione)

Recensione pubblicata su Pietro Saba World il 06/11/2019 Qui
Tema e genere: Terza stagione della serie fantascientifica creata dai fratelli Duffer e uno dei prodotti di punta di Netflix.
Trama: Ci ritroviamo a Hawkins nel 1985. Qui, poco prima dei festeggiamenti per il 4 luglio, c'è fervore: il mall Starcourt ha stravolto le dinamiche cittadine, e l'assetto sociale e commerciale muta in una forma definitiva. I ragazzi che hanno salvato per ben due volte il mondo dalla minaccia del Sottosopra si ritrovano però ad affrontare un nuovo pericolo.
Recensione: Dopo una prima stagione andata al di sopra delle più rosee aspettative (qui la recensione) e un secondo ciclo di episodio leggermente deludente (colpa soprattutto di una puntata proprio evitabile, qui comunque la recensione), Stranger Things era chiamata a una prova di definitiva maturità, che dimostrasse la capacità dello show di reggersi sulle proprie gambe e di andare oltre al marcato citazionismo e alla genuina e nostalgica passione per le atmosfere anni '80. Al termine degli 8 episodi che compongono la terza stagione, si può affermare che i Duffer Brothers hanno superato brillantemente questa prova, riuscendo nella non facile impresa di riprendere in mano le redini della propria creatura e di assecondarla in maniera limpida e naturale, sfruttando il rapido cambiamento fisionomico e caratteriale dei giovanissimi protagonisti per una profonda e a tratti struggente riflessione sulle gioie e sui dolori dell'adolescenza. La provvidenziale pausa di quasi due anni dal precedente ciclo di episodi ha dato ai Duffer il tempo necessario per rimettere al centro di tutto i propri personaggi e la loro evoluzione, senza però rinunciare alla componente più prettamente orrorifica. Il risultato è una serie che, a un passo dall'implosione, ritrova tutta la propria vitalità, riuscendo a fare nuovamente innamorare il pubblico di Eleven e soci e a unire spettatori di diverse età sotto la bandiera comune della nostalgia anni '80, sfruttata con molteplici citazioni e omaggi al periodo, quasi sempre funzionali al racconto. La terza stagione di Stranger Things ci mostra i ragazzi di Hawkins alle prese con i cambiamenti dovuti alla loro crescita e ai primi amori. Eleven e Mike fanno ormai coppia fissa, scambiandosi dozzine di goffi baci a pochi metri di distanza dal sempre più severo Hopper, Dustin torna dalle vacanze rinvigorito dalla sua nuova ragazza Suzie, che non l'ha seguito ma che lui assicura essere più sexy di Phoebe Cates, mentre Nancy e Jonathan e Lucas e Max rinsaldano i loro rapporti. Con Hawkins scossa dall'apertura di un nuovo modernissimo centro commerciale, presso cui Steve trova un lavoretto come gelataio, il Sottosopra incrocia nuovamente le strade dei protagonisti, a causa di alcuni misteriosi esperimenti condotti in una segretissima base russa. La minaccia soprannaturale è pressoché inalterata rispetto a quella che ha contraddistinto le prime due stagioni della serie, con l'eccezione di un gustoso retrogusto da L'invasione degli ultracorpi (o La cosa, citata esplicitamente dai protagonisti con un dotto paragone fra l'originale e il remake), che porta i personaggi a sospettare di chi li circonda, tutti possibili ospiti del temibile Mind Flayer. I nemici più minacciosi del periodo, ovvero i russi, sono invece volutamente rappresentati con gli stessi stereotipi che li caratterizzavano nel cinema statunitense degli anni '80, da Alba rossa in giù: responsabili dei più disparati complotti governativi, privi di qualsiasi tentennamento o sentimento e talmente malvagi da diventare quasi ridicoli. Questi aspetti avrebbero potuto trasformare una qualsiasi serie contemporanea in un boomerang per i propri creatori, ma non la creatura dei fratelli Duffer, in particolare in questa sua terza ispirata stagione.

Strike Back (7a stagione)

Recensione pubblicata su Pietro Saba World il 28/10/2019 Qui - L'avevo anticipato al tempo della recensione di Warrior che Strike Back non fosse ancora morto, ma adesso lo sarà, perché la Sezione 20 chiude nuovamente i battenti. Dopo il riavvio con un nuovo cast avvenuto l'anno scorso (qui la recensione), la serie action della Cinemax lascia infatti lo schermo una seconda volta, e questa volta per sempre. E ci lascia con una settima (ma solo se contiamo una prima stagione di altra produzione) ed ultima stagione, intitolata per non far confusione Strike Back: Revolution, andata in onda su Sky Atlantic a primavera scorsa, decisamente scoppiettante. Una stagione che non cambia il leit-motiv, che rimane di gran qualità dal punto di vista tecnico, con acrobazie folli e sequenze d'azione davvero impressionanti, che riprende con la squadra della sezione 20 (solo Alin Sumarwata ossia Gracie Novin c'è ancora) capitanata per la seconda volta dai sergenti Wyatt e McAllister (Daniel MacPherson e Warren Brown), impegnati nelle indagini sull'abbattimento di un terrorista russo nel mare del sud della Cina e della misteriosa sparizione della bomba nucleare su cui egli stava lavorando. Ai due agenti si aggiungeranno anche il colonnello Alexander Coltrane, interpretato da Jamie Bamber, come nuovo comandante della sezione 20 e l'agente russo Katrina Zarkova con il volto di Yasemin Kay Allen. Ai tutti si aggiungerà un nuovo tecnico informatico, e soprattutto un nuovo villain. E insieme daranno vita ad una stagione parecchio movimentata, in cui i nostri dovranno affrontare agenti mercenari e terrificanti signori della guerra, mentre scopriranno una cospirazione che minaccia di spingere il mondo sull'orlo di un conflitto globale.

Ballers (4a stagione)

Recensione pubblicata su Pietro Saba World il 28/10/2019 Qui - In attesa della quinta (ed apparentemente) ultima stagione, ecco la quarta stagione di Ballers, la serie tv ambientata nel mondo del football, dove presenza dominante è sempre Dwayne "The Rock" Johnson, l'attore più pagato al mondo, che qui troviamo sempre più centrato che nei vari film muscolari per adolescenti (e non). Nelle prime tre stagioni (quiqui e qui) l'azione si svolgeva a Miami, nell'ambiente che ruotava intorno ai Dolphins e alle vicende di Spencer Strasmore, ex campione con ambizioni nel mondo della finanza. Giocatori, procuratori, groupie, giornalisti, gente senza arte né parte che vivono delle briciole della NFL. La forza della serie era (ed è) proprio questa: una notevole credibilità nel raccontare i meccanismi imprenditoriali e mediatici dello sport, con ironia (molti personaggi sono al confine della macchietta, alla fine anche il socio di Strasmore, Rob Corddry) e un certo senso critico. La NFL e soprattutto la NCAA ne escono (soprattutto in questa stagione) a pezzi, un po' monopolisti e un po' maneggioni, o comunque con l'immagine di un circolo di pescecani bianchi che si arricchiscono sulla pelle degli atleti afroamericani, cioè del 75% del personale della NFL. La questione razziale è non a caso un grande asso nella manica di Ballers: sempre latente e a volte manifesta, mette in contrasto soprattutto i neri integrati con quelli che del sistema sfruttano soltanto i soldi ma senza crederci. Tema ben trattato, tranne che nella quarta serie (questa), ambientata per lo più a Los Angeles, piena di pistolotti anti-Trump e in palese malafede, come quando si vuole dimostrare che la base del trumpismo sono le élite (invece è certificato che sono i bianchi di classe media e bassa).

Room 104 (2a stagione)

Recensione pubblicata su Pietro Saba World il 28/10/2019 Qui - Dopo una prima stagione tra alti e bassi, una prima stagione comunque di buon livello complessivo, anche se soddisfacente solo nel quadro della sufficienza (qui la recensione), ecco la seconda stagione di Room 104, la serie che grazie al suo più o meno innovativo format, quello di svolgersi all'interno di una modesta camera d'albergo di una catena americana, e di raccontare in ogni episodio le più svariate storie dei clienti dell'hotel, riuscì a dare vita ad una ricca antologia di 12 episodi, presentando ad ogni puntata un cast, un tema e una storia diversa, variando dai toni più leggeri della commedia a quelli più cupi dell'horror e del dramma. E stessa cosa accade in questa nuova stagione, una stagione che come la precedente presenta un impressionante elenco di persone dietro la telecamera, ma anche al di là della stessa. Questa stagione vede infatti il primo lavoro da regista di Josephine Decke (qui anche sceneggiatrice) dopo Madeline's Madeline, oltre a episodi diretti da Morales, il regista di Lovesong So Young Kim e il regista di Creep Patrick Brice. I creatori della serie Jay e Mark Duplass inoltre, sono tornati come produttori esecutivi, con quest'ultimo che torna anche come sceneggiatore e regista. Infine gli attori, che quest'anno ha dalla sua due pezzi da novanta, il premio Oscar Mahershala Ali e Michael Shannon, e poi anche Judy Greer, ed anche altri più o meno conosciuti, Joel AllenStephanie AllynneKatie AseltonBrian Tyree HenryNatalie MoralesRainn Wilson e Charlyne Yi. Ma se squadra cambia (tanti rispetto alla precedente i nomi e volti nuovi), non cambia come detto, il formato originale, 12 episodi collegati dal luogo, con la sobria camera di Motel del titolo che funge da base quest'anno principalmente per racconti di eventi soprannaturali, arrivi inaspettati e ricordi indesiderati che tornano in superficie (uno dei temi più volte proposti sono non a caso i sensi di colpa), ma soprattutto la qualità di produzione, medio/alta come di consueto quando parliamo della HBO. E quindi, come è andata quest'anno?

Arrow (6a stagione)

Recensione pubblicata su Pietro Saba World il 28/10/2019 Qui - Dopo parecchio tempo dalla messa in onda (un anno più o meno, e ad un anno dalla recensione della stagione precedente, qui), ma oramai dovreste sapere che vado senza cronologia, ho concluso anch'io la sesta stagione di Arrow, non una delle migliori per la serie di punta di casa CW in tema supereroi. Una sesta stagione che fino alla sua metà era stata abbastanza godibile (insomma) quanto la quinta (quest'ultima sicuramente migliore della quarta), ma che si è persa proprio negli episodi dove si affermava l'ascesa di Ricardo Diaz a villain assoluto di questa stagione. Il problema è stato proprio lui, Ricardo Diaz. Un cattivo troppo cattivo, che opera il male per rivalsa e vendetta e niente più. L'unica cosa atipica del suo personaggio è che paradossalmente alla fine non muore e sarà sicuramente un pericolo anche nella prossima stagione. Sarebbe stato molto più interessante proseguire l'arco narrativo che riguardava il gruppo di nemici assoldati da Cayden James (Michael Emerson ancora alle prese con i computer), che quanto meno è stato un antagonista particolare e con una serie di skill uniche nel suo genere che poteva dare molto più filo da torcere. Se non fosse stato che qualcuno degli sceneggiatori, a metà stagione circa, ha deciso che no, meglio tornare su un filone narrativo standard, facendo emergere un super-cattivo banalissimo. Cayden James e il suo gruppo era stato capace di seminare discordia e dividere il Team Arrow, dando linfa ad una sceneggiatura che si è concentrata molto sui problemi personali di ogni membro della squadra, originando situazioni spiacevoli e tutto sommato interessanti da seguire. Quando poi si è voluto creare l'effetto sorpresa, eliminando il villain a metà stagione per farne emergere un secondo molto più potente, qualcosa si è guastato. E si è giunti ad una serie di episodi scialbi che hanno rovinato il giudizio dell'intera stagione. L'ultimo episodio è stato atipico. Dopo un'intera annata dove tutto quello che aveva un costo a Star City era stato pagato da Diaz, l'FBI entra in scena e si ricorda di avere un certo peso e prende posizione contro il criminale.

Gomorra (4a stagione)

Recensione pubblicata su Pietro Saba World il 12/06/2019 Qui
Tema e genere: Giunge al giro di Boa numero 4 la serie di Sky prodotta dal trio Sollima-Cupellini-Comencini. Una quarta stagione, composta da 12 episodi, e conclusasi poco tempo fa, che nuovamente tratta dall'omonimo romanzo di Roberto Saviano, continua nel suo percorso del potere criminoso.
Trama: La quarta stagione riparte esattamente da dove si era chiusa la terza: Genny Savastano da solo sullo yacht a largo del Golfo di Napoli su cui pochi istanti prima ha ucciso, su ordine di Enzo, Ciro Esposito. Dopo la morte de "L'Immortale" il protagonista viene riportato a riva. Solo e in pericolo di vita decide quindi di volare a Londra, con lui la moglie Azzurra, per cominciare a costruire qualcosa di vero. A Napoli intanto gli equilibri sono saltati, ma un accordo viene trovato, e tutto sembra ristabilito, però niente dura in eterno.
Recensione: Sì è fatta attendere quasi un anno e mezzo la quarta stagione di Gomorra, serie che dopo il finale choc dell'annata precedente (qui la recensione) lasciò gli spettatori appesi a un filo, curiosi di sapere dove gli autori della serie avrebbero deciso di dirigere il racconto. La quarta stagione arrivava quindi accompagnata da tantissimi punti interrogativi, sia per quanto riguarda il piano prettamente drammaturgico (come sarà il racconto senza la presenza di Ciro?) sia per quanto concerne il rapporto di pesi e contrappesi tra i personaggi più importanti della serie, vista la necessità di creare nuovi equilibri. Ebbene, il responso non è del tutto positivo, anzi. La serie infatti, presenta un interessante ed affascinante scenario sempre più intenso e noir nella configurazione delle location e nella riproduzione delle colonne sonore. Ma per il resto la suddetta non fa altro che continuare con i soliti contenuti e nelle solite dinamiche fatte di guerre tra clan rivali per il monopolio dei quartieri della città (tematiche riprese anche in Suburra), di amicizie e tradimenti continui, di storie d'amore finite male, degli avvicendamenti al potere, delle paranze, dei vecchi boss, delle sparatorie e degli omicidi cruenti. Tutte cose interessanti certo, ma che cominciano leggermente a stancare, anche perché in questa stagione si ritorna al punto di partenza, stagione in cui molte cose non funzionano, a partire dai personaggi e la storia, seppur la costruzione dei personaggi (soprattutto di Enzo Sangue Blu e Patrizia Santoro) funziona bene, ma la quarta stagione di Gomorra sembra dimenticarsene, scegliendo di sacrificarne uno dei due (Enzo) pur di dare più spazio a tre storie meno interessanti: la costruzione del nuovo aeroporto di Napoli, l'introduzione della famiglia dei Levante e quella del magistrato Ruggieri. Il problema dei personaggi è essenzialmente un problema di scrittura. Salvatore Esposito è ancora qui, con i suoi pregi e i suoi difetti, ma dopo la dipartita di Don Pietro, Donna Imma, Salvatore Conte e Ciro di Marzio, è evidente come Gennaro Savastano non sia più abbastanza per tenere in piedi lo show. La quarta stagione butta qualche nuovo personaggio nel mix, ma fallisce completamente nel dare ai nuovi coprotagonisti un qualsiasi senso di profondità. Non è solo un problema di recitazione, ma piuttosto un errore fondamentale di scrittura che tende a rendere le nuove personalità tristemente monocromatiche. La differenza principale tra Pietro Savastano e Gerlando Levante la si trova proprio qui: Don Pietro lo si ama o lo si odia sulla base che se ne condividano o meno le idee, mentre Gerlando è un personaggio scritto come "cattivo" per il solo fine di esserlo. Soffre dello stesso problema il personaggio di Alberto Resta: non avendo una qualsiasi profondità, al momento della sua morte si prova solo un senso di delusione, come se le sue scene nelle prime otto puntate siano state un semplice riempitivo. L'introduzione di questi personaggi e la side story dedicata alla costruzione dell'aeroporto sono arrivate ad un prezzo: a pagarlo è stato il personaggio di Enzo Sangue Blu, totalmente dimenticato nella prima metà della stagione e ridotto a macchietta per maggior parte della seconda metà.