venerdì 31 dicembre 2021

Bellezze cinematografiche/serialtelevisive edizione 2021

Classifiche pubblicate su Pietro Saba World il 31/12/2021 Qui - Immancabile come ogni anno è questo post, ode alla bellezza ed alla sensualità, immancabilmente arriva alla fine dell'anno, il Saba Beauty Awards che "premia" le più belle/sensuali donne apparse in tutte le pellicole e serie tv viste quest'anno. Immancabilmente in questo senso ricordo che se le foto di seni nudi o altro vi infastidiscono e le trovate disdicevoli, di ignorare questo post, ricordandovi al tal proposito che sono tutte immagini pubbliche quelle che qui trovate, di film che tanti e molti hanno visto, e niente di scabroso che vada riferito ai minori di 14 anni, che oltretutto non penso mi seguano. Niente è cambiato insomma, a parte il fatto che è stata abolita da quest'anno la regola delle più presenze vietate, a parte il fatto che ci sono ovviamente delle "nuove" protagoniste, ed a parte il fatto che cambiata è la madrina. L'anno scorso (Qui) a fare gli onori c'era la Olivia de Havilland di Via col Vento, quest'anno a farli è Tanya Roberts, morta a 65 anni all'inizio di gennaio, inizialmente era stata persino data per morta molti giorni prima. Chi era direte voi, penso invece che la conoscevate tutti, era nota infatti, e soprattutto, per aver interpretato il ruolo di Julie Rogers nella serie televisiva "Charlie's Angels" e la Bond girl Stacey Sutton in "007 - Bersaglio mobile" nel 1985 accanto a Roger Moore. Ma anche il personaggio di Sheena nel film "Sheena, regina della giungla". Ecco, per molti adolescenti (compreso me) Sheena è rimasta nel cuore, e non solo, perché era davvero bella, come belle sono tutte le altre donne di quest'edizione, la sesta.
 
BELLEZZE CINEMATOGRAFICHE
11. Ex aequo per Berenice Marlohe vista in Dalle 5 alle 7, per Vica Kerekes vista in Resistance, per Doria Tillier vista in La belle èpoque, per Ana Girardot vista in Someone, Somewhere, per Carla Salle e Juliana Lohmann viste entrambe in Motorrad, per Jessica McNamee vista in Mortal Kombat e per Cara Delevigne vista in Life in a year

martedì 28 dicembre 2021

Le migliori attrici e i migliori attori, più le sigle e colonne sonore, delle serie viste nel 2021

Classifiche pubblicate su Pietro Saba World il 28/12/2021 Qui - Sapete già quali sono state personalmente parlando le migliori serie tv e miniserie di quest'anno, tuttavia qualcosa manca, e questo post come di consuetudine (ecco quello del 2020) serve a questo, per premiare i migliori attori, le migliori attrici, le migliori sigle più le colonne sonore, ovvero gli ultimi (nonché gli unici) premi ad essere assegnati in questo specifico campo. Da notarsi che i link alle recensioni ci saranno in ordine di apparizione, inoltre gli suddetti, più quelli che rimandano ai video, se cliccati aprono in una nuova finestra. Detto ciò ecco chi e cosa ho apprezzato di più delle serie tv e miniserie di quest'anno.


I MIGLIORI ATTORI
4. Ex aequo per l'efficace cast della prima stagione del nuovo Perry Mason (sugli scudi John Lithgow, ma non sono da meno gli altri, soprattutto Matthews Rhys), per la coppia Sam Worthington/Paul Bettany, artefici di un arguto "botto" e risposta in Manhunt: Unabomber (meglio comunque il secondo, che tra l'altro recentemente ha spiccato anche in WandaVision), per il bravo Pedro Pascal, che nella terza stagione di Narcos si prende meritatamente la scena (lui che "Mandaloriano" già di suo), e per l'altrettanto bravo Søren Malling, integerrimo investigatore in The Investigation.

lunedì 27 dicembre 2021

Le migliori serie tv viste nel 2021

Classifica pubblicata su Pietro Saba World il 27/12/2021 Qui - Ho visto quest'anno 50 serie (comprese le miniserie) per un totale di 67 stagioni, molte stagioni ed una serie in più rispetto allo scorso anno, in cui tra l'altro solo 15 serie/miniserie entrarono nella Top dell'intera mia stagione serialtevisiva (Qui). Quest'anno invece, complici anche le somme dei voti dovuti all'accorpamento di più stagioni (di una serie) in un unico "punteggio", e di alcune di queste ree di non aver ricevuto un punteggio alto (ma mi dispiaceva che non ci fossero qui state), ben 25 serie/miniserie sono entrate in questa classifica finale annuale. Si parte dal 6,8 fino al massimo raggiunto, ovvero 8,041, di una serie facente parte delle sette "sorelle" (tra l'altro ci sono tutte) recuperate quest'anno, in tal senso vedrete un unico banner e sarà linkata nello stesso banner la recensione dell'ultima stagione (idem per tutte le altre serie, link recensione completa). Ma numeri e voti a parte, ecco il meglio visto da me pronto per voi.

25. Uno show per famiglie con un interessante approccio narrativo che non si era mai visto prima (6,8)

24. Peccato per una seconda stagione decisamente non perfetta, ma rimane comunque una bella serie, teoria dell'amore tragico e disfunzionale (6,875)

23. La terza stagione possiede un buon equilibrio in linea generale. Il passaggio su Netflix non comporta grosse modifiche di fondo, però rispetto alle prime due stagioni qualche piccola lungaggine di troppo è più visibile e qualche passaggio appare un po' forzato (7-)

giovedì 23 dicembre 2021

Le peggiori serie tv viste dell'anno (2021)

Classifica pubblicata su Pietro Saba World il 23/12/2021 Qui - Prima del piacere il dovere, quello di cominciare dalle serie o miniserie televisive peggiori da me viste durante l'anno. Esattamente com'è già successo nelle scorse annate/edizioni (Qui quella del 2020). C'è tuttavia una novità, quest'edizione infatti vede l'abolizione delle mie personali "delusioni", che solitamente aprivano il post, non è detto difatti che quello che delude me può deludere anche gli altri, c'è molta soggettività, mentre al contrario in questa Flop 10 c'è sia quella che un certa obbiettività. E così che si presentano queste serie (personalmente non all'altezza, ma che comunque non sconsiglio, se però vi piace farvi male è colpa vostra, io vi ho avvertito), e cliccando sul banner della stessa potrete leggerne (se volete approfondire ovviamente) la recensione completa.

10. Un'opera in cui vengono architettati voli pindarici piuttosto complessi (ma anche abbastanza inutili) tentando di eviscerare qualsiasi aspetto dello spettro sociale umano in modo fin troppo rimarcato, appesantendo inutilmente e complicando la visione di un prodotto che, per quanto ambizioso (o pretenzioso?) rimane comunque di media qualità (5,5)
 
9. The Undoing non è Big Little Lies. È indiscutibile la presenza di molti elementi in comune: il modo in cui è costruito l'intreccio, il typecasting per Kidman e la ricchezza ostentata da ogni fotogramma. A The Undoing mancano però gli aspetti essenziali per una storia del genere (un'indagine in chiave mystery sulla tipica moglie americana), una delineazione psicologica dei personaggi e un percorso narrativo solido. Dopotutto The Undoing non è niente più che un banale thriller costruito su percorsi già battuti innumerevoli volte (5,5)

venerdì 10 dicembre 2021

The Handmaid's Tale (4a stagione)

Recensione pubblicata su Pietro Saba World il 10/12/2021 Qui - Dopo tre stagioni di altissima qualità, la serie interpretata e prodotta da Elisabeth Moss continua a non deludere le elevate aspettative, anche se la stanchezza comincia a farsi sentire. E l'impressione che The Handmaid's Tale 4 sia stata concepita come una stagione di passaggio, complici forse anche le difficoltà di produzione dovute alla pandemia, in vista di una season 5 confermata ma di cui non è ancora nota la data di rilascio, non aiuta. Sarebbe stato meglio infatti se fosse già finita qui (lo spazio di tre puntate dopotutto c'era). In ogni caso la quarta stagione di The Handmaid's Tale mette un tassello fondamentale nell'evoluzione di June, completa il suo percorso da antieroina, conservando il linguaggio cadenzato, lento e, a volte, anche pesantemente mono passo delle stagioni precedenti. E questa volta ogni idea di redenzione o perdono lascia il campo a un desiderio di vendetta talmente radicale da arrivare perfino dalle ancelle fin qui apparse meno forti e decise. Con questa quarta stagione The Handmaid's Tale esplora a fondo l'animo umano e, soprattutto, il complesso e intricato garbuglio di emozioni che June si porta dietro in quanto sopravvissuta a Gilead, che la gagliarda attrice de L'uomo invisibile, riesce ancora una volta a veicolare con incredibile veridicità. Tuttavia, per quanto i contenuti continuino a risuonare forti nello show di Bruce Miller, The Handmaid's Tale 4 patisce più delle stagioni passate le trame strascicate e le storyline abbandonate. Non solo il succoso piano politico aperto nella season 3 è qui completamente dimenticato, ma l'intero impianto corale sembra ricevere una brusca battuta di arresto che penalizza alcuni dei personaggi più interessanti. Nonostante ciò carisma e coinvolgimento non si perde. La quarta stagione di The Handmaid's Tale finalmente fa anche un grosso passo avanti nella trama, chiudendosi con un colpo di scena che si aspettava da tempo e con un addio inevitabile. Nel complesso ho davvero apprezzato anche questa stagione anche se, lo ammetto, mi aspettavo di più. La lotta per abbattere Gilead è ben lungi dall'essere conclusa o anche solo vicina alla sua fine. Come potranno June e le altre ex ancelle sconfiggere Gilead? Voto: 7+

Romulus (1a stagione)

Recensione pubblicata su Pietro Saba World il 10/12/2021 Qui - Una buona serie che sulla scia del Primo Re di Matteo Rovere, il quale ci mette lo zampino, riprende il discorso sulla fondazione di Roma. Una buona ricostruzione storica (ai limiti della fantasia), e pure socio-politica, segno di un lavoro produttivo abbastanza impegnativo e mettendo in evidenza questa caratteristica, molto profonda, sul misticismo di questi popoli. Il loro rapporto con gli dei, la loro presenza/assenza, segni premonitori di sventura o fertilità. C'è da dire però che non tutti gli avvenimenti e le situazioni che si creano all'interno di Romulus appaiono interessanti, con la conseguenza che alcune storyline risultano prolisse e prive di quel mordente che una serie dovrebbe avere. In alcuni momenti ho avuto la sensazione di assistere a qualcosa di già visto (sempre dal punto dello sviluppo della sceneggiatura) e alcuni personaggi chiave mi è parso facessero delle scelte in totale contrasto con ciò che veniva mostrato nei minuti precedenti. Alcuni episodi, inoltre, non riescono a trovare un equilibrio nel racconto: la serie spesso si affanna da un punto di vista ritmico, alternando momenti di violenza improvvisa a situazioni di stallo completo che chiedono allo spettatore un piccolo sforzo per seguire Romulus. Nel complesso però il lavoro del regista romano risulta promosso (benché non esente da difetti) in quanto dà un forte segnale alla serialità italiana. Nota di merito finale per la sigla iniziale (cantata da Elisa che fa una cover di Shout dei Tears for Fears e accompagnata da immagini veramente azzeccate), senza dubbio l'elemento meglio riuscito. Voto: 6,5

What We Do in the Shadows (2a stagione)

Recensione pubblicata su Pietro Saba World il 10/12/2021 Qui - Praticamente non cambia nulla rispetto alla prima stagione perché questi cortissimi (nuovi 10) episodi ne sono la continuazione diretta, se non che si portano avanti un paio di sottotrame iniziate sul finire della prima stagione (quella riguardante Guillermo ad esempio). C'è il tempo per approfondire meglio i personaggi ed il loro passato con delle puntate dedicate più ad uno o ad un'altro di essi. Colin Robinson sempre più un mito secondo me, nonostante non sia un vero vampiro. Però in fondo in fondo l'ho vista una stagione leggermente meno ispirata e sopratutto con un "finale" che dire tronco è dir poco, questo il motivo del voto leggermente inferiore. Comunque si continua a ridere assieme alla nostra fantastica famigliola. What We Do in the Shadows 2 conferma quindi la genialità della prima stagione. Con un'ironia macabra e brillante continua a divertire, rinnovando allo stesso tempo la propria trama, grazie all'aggiunta di complicazioni e di nuovi spunti. Il bizzarro inserimento di un gruppo di vampiri in una città popolata da esseri umani continua insomma a regalare perle di comicità irresistibili, che evidenziano la qualità di questa serie e la rendono un prodotto immancabile per una serata leggera. Voto: 7

Intergalactic (1a stagione)

Recensione pubblicata su Pietro Saba World il 10/12/2021 Qui - Prima serie di fantascienza tutta al femminile, ma tra troppi snodi narrativi noti, CGI debole, personaggi poco attraenti e stereotipi del genere (non manca il politicamente corretto), Intergalactic non riesce a valorizzare i suoi temi femministi e ambientalisti, inediti per quanto riguarda la serialità sci-fi, ponendosi al di sotto delle aspettative generate. Intergalactic infatti, è una serie che cerca di dare risalto all'universo femminile attraverso una calibrata miscellanea di generi e citazioni derivative, senza mai perdere il timone dell'atmosfera sci-fi da saga dal grande respiro, ma dalla resa opaca e altalenante. Purtroppo alle volte non basta uno sguardo "nuovo" (per quanto possa esserlo quello odierno sul femminino) per realizzare un gioiellino cult. Intergalactic è indubbiamente un prodotto ambizioso e uno sforzo produttivo titanico, dalle buone intenzioni, ma inconcludente (tutte anonime le performance attoriali). Intergalactic non reinventa la fantascienza né rimpolpa un immaginario già ricco a caccia di nuova linfa, crea piuttosto un universo dalle atmosfere derivative. Il risultato di questo cocktail, agitato e mescolato con cura, è perciò un'imitazione di modelli ben più illustri che manca di originalità, traghettando il tentativo britannico nella triste categoria del "ritenta, sarai più fortunato la prossima volta". Anzi no, fortunatamente (e giustamente) il 26 agosto 2021 la serie è stata ufficialmente cancellata. Voto: 4

Raised by Wolves - Una nuova umanità (1a stagione)

Recensione pubblicata su Pietro Saba World il 10/12/2021 Qui - Umanizzazione robotica (Madre e Padre), religione e ateismo. Sono i temi principali di una serie in cui lo zampino di Ridley Scott (padre di Alien) si sente (sia in positivo che in negativo, se l'aspetto visivo e tecnico si fa valere, il peso degli ultimi suo mezzi fallimenti è evidente, non sembra azzecarne anche stavolta). Gli scambi verbali Madre-Padre-"Figlio" sono spesso interessanti, e i cambiamenti dei due androidi (specialmente Madre, dal turbolento passato) rendono il tutto piuttosto intrigante. Anche la vicenda parallela (che poi si fonderà) degli adoratori del Dio Sol, non è male, e le loro convinzioni, prossime al fanatismo, fanno riflettere (buona la resa degli attori, tra i quali Travis Fimmel, che sembra venire direttamente da Vikings). Purtroppo la parte finale, che supera il limite invalicabile tra fantascienza e fantasy, danneggia irrimediabilmente l'opera. Un'opera in cui vengono architettati voli pindarici piuttosto complessi (ma anche abbastanza inutili) tentando di eviscerare qualsiasi aspetto dello spettro sociale umano in modo fin troppo rimarcato, appesantendo inutilmente e complicando la visione di un prodotto che, per quanto ambizioso (o pretenzioso?) rimane comunque di media qualità. Grazie al consenso della critica e alle ottime visualizzazioni HBO Max ha rinnovato la serie per una seconda stagione, ma non so se esserne felice o meno. Voto: 5,5

Cobra Kai (3a stagione)

Recensione pubblicata su Pietro Saba World il 10/12/2021 Qui - La terza stagione di Cobra Kai possiede un buon equilibrio in linea generale. Il passaggio su Netflix non comporta grosse modifiche di fondo, però rispetto alle prime due stagioni (qui la seconda) qualche piccola lungaggine di troppo è più visibile e qualche passaggio appare un po' forzato. C'è da dire comunque che il personaggio villain per eccellenza, cioè il vecchio maestro del Cobrai kai, John Kreese, acquisisce notevole spessore in questa stagione. Il cattivo maestro istruito da un altrettanto cattivo maestro. La furbizia con cui riesce a manipolare le menti adolescenti è notevole ed efficace. Lieta sorpresa nel finale di stagione con l'apparizione di Elisabeth Shue, non un cameo fine a se stesso, ma punto di unione fra i due eterni rivali, Johnny e Daniel. Qualche piccolo difetto in più (non ho apprezzato "la rissa in casa", è una trashata che non sta in piedi) ma sempre un buon lavoro sui personaggi. Questa stagione risente del fatto di essere una preparazione a quella futura, che sicuramente sarà ben più ricca di quest'ultima. Resta una buona serie leggera, anche se sta pian piano perdendo smalto. Voto: 7-

Foodie Love (1a stagione)

Recensione pubblicata su Pietro Saba World il 10/12/2021 Qui - Isabel Coixet (la creatrice) invita lo spettatore a gustare un menu gastronomico-sentimentale condito da Laia Costa (un pasticcino niente male) e Guillermo Pfening, tra Barcellona e Tokyo, passando per la Francia. Il palato ne rimane alquanto folgorato, da questa serie che racconta in modo squisitamente originale le difficoltà di incontrarsi, conoscersi e quindi amarsi. Per fortuna un'app ci salverà. Realizzata da HBO Spagna, Foodie Love mette al centro due esperti gastronomici che si nascondono dietro i loro gusti in fatto di cibo non riuscendo a intrattenere rapporti seri con le persone. Anche perché reduci da relazioni non piacevoli. Ma tra un gustoso piatto, un dolce, o buon vino ritroveranno il piacere di amare. Ogni tanto capita ancora, per fortuna, di restare folgorati per qualche bella serie televisiva. È la volta di Foodie Love: dialoghi coinvolgenti, musica appropriata (con la sigla e conseguentemente motivetto sempre nella testa) e una calda fotografia. Insomma una buona e bella portata (di quelle con gli ingredienti giusti e con un pizzico di piccante quando serve) tanto da esserne qui a parlarne, anzi ad assaporarla, magari dopo aver sognato di gustare un caffè etiope con note di arancio. E va bene che non proprio tutto funzioni nel modo giusto, che evitabili siano alcuni espedienti, che inutili sono alcuni inserimenti di elementi esterni, che troppo spesso si spinga sul lato sentimentale che gastronomico (personalmente più interessante), Foodie Love diverte ed appassiona (la trovate su RaiPlay). A conti fatti riuscita, ma non a livelli ottimali. Voto: 7

L'assistente di volo - The Flight Attendant (1a stagione)

Recensione pubblicata su Pietro Saba World il 10/12/2021 Qui - L'assistente di volo mescola i toni thriller all'ironia caotica e confusa della sua protagonista. La serie si sviluppa su un doppio binario: quello esterno in cui si seguono gli sviluppi di un brutale omicidio e quello interiore del personaggio principale, una donna in lotta con l'alcolismo e il suo passato. Storia tutto sommato godibile, qualche plot twist e superficialità tipicamente comedy, un finale forse un pò troppo semplicistico che poteva essere sviluppato un pò meglio (sopratutto le storyline dei personaggi complementari) ma godibile sicuramente. Il problema con The Flight Attendant è che alcune rivelazioni arrivano troppo presto, altre troppo tardi. Ma pur con questi difetti, la serie ideata da Steve Yockey offre del buon intrattenimento, sostenuta principalmente da un'eccellente prova di attrice di Kaley Cuoco, che sta tentando di svicolarsi da un ruolo fin troppo remunerativo (ma poco entusiasmante) come quello della Penny di The Big Bang Theory. Deliziosi i suoi battibecchi con il personaggio di Zosia Mamet, che definiscono la parte comedy della serie, assieme agli improbabili agenti FBI, degni di una poderosa sospensione d'incredulità. La produzione è ricca e accurata, nella fotografia, nelle location e nel montaggio dinamico delle sequenze (nota di merito per la sigla iniziale che ricorda Prova a prendermi). La storia che sembrava una dramedy diventa una comedy nerissima, dai risvolti thriller. Una notte da leoni finita nel peggiore dei modi insomma, e nonostante le premesse di una trama poco credibile, la macchina narrativa funziona, si ha voglia di vedere come va a finire. Tratta da un romanzo omonimo del 2018 (l'autore si chiama Chris Bohjalian), avrà una seconda stagione, già in lavorazione. Voto: 7

Love, Death & Robots (1a stagione)

Recensione pubblicata su Pietro Saba World il 10/12/2021 Qui - Col suo corollario di distopici e avveniristici episodi, diversi tra loro, ma accomunati, non solo dal genere rappresentato (fantascientifico), ma dall'insieme dei fattori che ne determinano il contesto (la terra, o quella che più comunemente può essere definita "dimora") Love, Death & Robots rappresenta una sorta di presa di coscienza (ambientale, filosofica, morale), sotto forma di simultanea animazione, che ha il sapore della denuncia e della critica sociale. La serie antologica creata da David Fincher e Tim Miller, le cui collaborazioni con numerosi animatori provenienti dall'universo videoludico contribuiscono a dare un'impronta diversa all'animazione classica, ha il vantaggio di non avere alcun tabù o divieto, atto ad inficiarne i contenuti, a volte riuscendoci, altre volte finendo per ripiegarsi sui suoi stessi sofismi. Una serie visivamente potente e audace, il cui intento è quello di far riflettere intrattenendo. Diciotto cortometraggi di autori differenti, in stili che spaziano dalla stilizzazione cartonistica alla grafica games più videorealista, così come sono diversi i toni, anche se quelli apocalittici intrisi di pessimismo sulla natura umana (appunto) prevalgono su quelli più ironici e leggeri. Una serie tecnicamente di livello molto elevato, ed anche se non in tutti i casi l'eccellenza grafica si accompagna a contenuti interessanti e originali, la presenza di alcuni capolavori rende la visione un'esperienza appagante: uno tira l'altro, come le ciliegie. Tra gli episodi che meritano una visione c'è senz'altro "Oltre Aquila" con il suo finale horror a sorpresa, il bellissimo "Zima Blue", il guerrigliero "Tute Meccanizzate", gli ottimi "Il Vantaggio di Sonnie" e "Il Testimone", il surreale "L'Era Glaciale" e i semi-comici "Tre Robot" e "Il Dominio dello Yogurt". Tutti gli altri non eccezionali (alcuni anche alquanto anonimi) ma accettabili ed ugualmente visionabili (su Netflix). Voto: 7,5

martedì 16 novembre 2021

WandaVision (Miniserie)

Recensione pubblicata su Pietro Saba World il 16/11/2021 Qui - Wanda e Visione vivono una tranquilla vita di coppia in una cittadina americana, apparentemente ignari della realtà che li circonda. Parte davvero in quarta questa miniserie seguito diretto dei cinecomic Marvel per il grande schermo, ma ai quali pare non abbia nulla da invidiare in quanto fattezze tecniche (ambientata nell'MCU, in continuità con i film del franchise, e si svolge dopo gli eventi del film Avengers: Endgame). La base è una più che geniale idea di mostrarla come fosse una sit-com, ma non una qualsiasi bensì tutte le sit-com americane per famiglie realizzate dagli anni '50 sino ad oggi, quindi regna un clima di divertente e sobria spensieratezza. Eppure in ogni episodio, all'interno di questa atmosfera leggera, avviene un piccolo (inquietante) particolare che ci avverte che ci sia qualcosa di sbagliato, senza contare le pubblicità dei prodotti, dell'Hydra! Poi la realtà esterna, con i militari intorno alla cittadina condizionata, irrompe come un maglio rendendo la storia ancora più incalzante ed angosciante imbastendo tutta la contrapposizione tra i due mondi, quello vero e quello creato da Wanda (cosa genialmente evidenziata anche dall'alternarsi del formato televisivo: 4/3 per l'interno 16/9 per l'esterno). Come serial d'esordio, la Marvel/Disney ingrana benissimo, Elizabeth Olsen/Wanda (ottima nel ruolo di strega bipolare, che passa dall'essere romantica ed innamorata del suo sintezoide all'essere violenta, ma non troppo, improvvisamente col prossimo) e Paul Bettany/Visione (anche lui in parte, visto che alterna benissimo il suo look da Avenger sintezoide, a quello normale di tutti i giorni) si aprono molto di più che nei film dell'MCU in cui compaiono, ma il cattivo (la strega Agatha Harkness) non è il massimo (un po' forzata): molto meglio il personaggio inedito di Monica Rambeau, che apre la strada a "Captain Marvel 2". Sorprendente e spiritoso il ritorno della Darcy dei primi due film di Thor (la sempre adorabile Kat Dennings), shockante il colpo di scena della scena che riguarda il fratello di Wanda (con piacere si rivede Evan Peters). Non una miniserie perfetta, ma divertente nei momenti giusti. Buoni i costumi di scena della protagonosta. Avrei voluto dargli un voto più alto ma alcuni elementi (detti e/o non detti) fanno un pò storcere la bocca. Comunque è da vedere, se non altro per non interrompere la continuità con le pellicole Marvel future. Voto: 7,5

Omicidio a Easttown (Miniserie)

Recensione pubblicata su Pietro Saba World il 16/11/2021 Qui - Nel suo intreccio thriller (abbastanza classico ma non banale), Mare of Easttown (Mare è il nome della protagonista), miniserie ideata da Brad Ingelsby e diretta da Craig Zobel per HBO e Sky Atlantic (si ricordi del regista statunitense per The Hunt), esplora i territori fangosi della sociofobia in modo diretto, spietato e senza remore, dipingendo una provincia americana martoriata dalla paura, dai pregiudizi morali e inasprita dalla disillusione. Kate Winslet (qui poliziotta che deve risolvere il caso di una ragazza scomparsa, nonché quello del misterioso assassinio di un'altra, e al tempo stesso evitare che la sua vita vada in frantumi) recita con una potenza e al contempo una sottigliezza da annientare quasi tutto ciò che la circonda, dal cast alla storia stessa. Tutta la narrazione ruota infatti attorno al suo personaggio, peraltro non privo degli stereotipi tipici dell'agente di polizia con trauma e insofferente alla disciplina. La messa in scena è curata e il talento dell'attrice rende meno gravoso questo sbilanciamento che rende quasi accessorie tutte le altre figure ma si avvertono forzature e alcuni passaggi lasciano perplessi, ciò soprattutto nello script. La sceneggiatura difatti, e paradossalmente, è meglio centrata sulle dinamiche drammatiche (e familiari) che su quelle investigative, giacché appunto lascia a desiderare. La risoluzione, ad un occhio più attento, è più semplicistico di quanto sembri. Però l'ottima prova della Kate Winslet (vincitrice non per caso di un Emmy poche settimane fa) e la perfetta ambientazione valgono la visione. Voto: 6,5

We Are Who We Are (Miniserie)

Recensione pubblicata su Pietro Saba World il 16/11/2021 Qui - Molto meglio (ma non troppo) di Chiamami col tuo nome (nel senso che quest'ultimo era mediocre). Storie di adulti e adolescenti che si intrecciano nello scenario di una base Nato americana in Italia nell'anno 2016. La sensualità della pianura e delle zone fluviali e lacustri, l'erotismo dell'estate, l'adolescenza e il corpo, peccato che dopo il quarto episodio tutto scivola nella noia e la miniserie (per fortuna non serie) si trascina a stento verso il finale. Si apprezza sicuramente il contenuto e la forma (apprezzabile il cast), ma ci sono troppi temi che si sovrappongono. Già sono fastidiosi gli sfasamenti temporali (qui fortunatamente assenti) e il sovrapporsi di linee narrative, una per personaggio (dato che la coralità e le "quote" di rappresentanza sembrano essere l'unica costante stilistica da anni a questa parte), in We Are Who We Are (co-creata e diretta da Luca Guadagnino, che chissà se mai riuscirà a convincermi, per HBO e Sky Atlantic) c'è il ragazzo gay (con genitori lesbiche) che forse non lo è, la ragazza afroamericana ribelle che vuole cambiare sesso o forse no, c'è il soldato francese bisessuale o forse no, c'è l'ombra lunga di Trump, la morte in Afghanistan e il figlio di un maggiore che si sta convertendo all'islamismo con aria di attentato, francamente troppo. Doveva finire alla quarta puntata, o essere un bel film. Così invece, neanche la sufficienza piena raggiunge. Voto: 6--

Unbelievable (Miniserie)

Recensione pubblicata su Pietro Saba World il 16/11/2021 Qui - "Unbelievable" è davvero "incredibile" di nome e di fatto. Non si presenta in modo banale e soprattutto focalizza l'attenzione sul crimine e non sul criminale. Una sorprendente (e potente) miniserie in 8 puntate, dai temi molto forti, ispirata a fatti (veri) di cronaca, fatti così assurdi da sembrare (appunto) incredibili, che rimescola con stile alcuni topoi del genere. La declinazione è tutta al femminile: donne le vittime e donne le "cacciatrici", sugli uomini meglio sorvolare. C'è molta carne al fuoco, dal "victim blaming" alla questione poliziesco-giudiziaria, tra incapacità e brutalità di un sistema che finisce con lo "stuprare" le vittime di stupro. Personaggi benissimo caratterizzati (quasi tutti), non sono cliché ambulanti (le principali protagoniste) ma personaggi ben interpretati e a tutto tondo. Brava Kaitlyn Dever, in un ruolo che non può che ispirare infinita compassione, più che discrete Toni Collette e Merritt Wever, che impersonano due detective determinate a risolvere il caso. Intelligente l'utilizzo del flashback che è qui messo al servizio della storia piuttosto che essere onanistico orpello. Peccato per il finale un po' melenso. Creata, diretta, prodotta (in collaborazione con Netflix) e sceneggiata da Susannah Grant, Unbelievable è una miniserie molto ben strutturata, una denuncia a un sistema macchinoso e poco comunicativo, dove spesso e volentieri i criminali riescono a farla franca. Da vedere. Voto: 7

Manhunt: Unabomber (Miniserie)

Recensione pubblicata su Pietro Saba World il 16/11/2021 Qui - La storia della caccia all'attentatore seriale che terrorizzò gli Stati Uniti a partire dal 1978. La serie prodotta da Netflix approfondisce la psicologia del personaggio principale, ma riserva spazio anche all'azione grazie al doppio arco temporale che riguarda il pre e il post cattura di Unabomber, e ad un montaggio incisivo che non fa mai calare la tensione (l'andirvieni temporale infatti, espediente comunque non sempre piacevole, aiuta a rendere fluidi i passaggi più "teorici"). Ritmo veloce, buona resa realistica delle immagini e dei procedimenti federali, comprimari di rango. Manhunt: Unabomber analizza, e soprattutto, del terrorista, il suo linguaggio, il significato simbolico delle sue tragiche imprese, analizzando le sue parole scritte. Un serial killer fra i più atipici della storia, a suo modo unico, per quella sua caratteristica di mettere distanza tra se stesso e le sue ignare vittime. La serie vive del duelismo di due individui con caratteristiche molto simili tra di loro. Entrambi con un talento innato, ma poco riconosciuto dagli altri, se non addirittura usati o manipolati. Due spiriti affini destinati a far terra bruciata intorno a loro. Isolati e soli. Una produzione ben fatta, che può contare sulle buone interpretazioni di Paul Bettany (autore di un'ottima performance anche "fisica") e Sam Worthington. Quest'ultimo regala forse la sua performance migliore, ma a stupire davvero è Bettany, che riesce nell'impresa di far empatizzare con il terrorista (che terrorista è) e regalare pietà per la sua figura (ma comunque terrorista rimane). Per concludere, miniserie (recentemente divenuta serie antologica) certamente non perfetta (troppe parole, troppi personaggi inutili e/o antipatici), ma sicuramente notevole. Voto: 7

Anna (Miniserie)

Recensione pubblicata su Pietro Saba World il 16/11/2021 Qui - Una miniserie clamorosamente premonitrice (qui, e ancora, la situazione adulti è "leggermente" più tragica) dove la scena viene presa da bambini e adolescenti, che riverseranno sul mondo (la Sicilia) tutta la loro ingenuità, caparbietà, voglia di vere, lucida follia, cattiveria e fantasia, con quella capacità di sognare e andare avanti, che molti adulti perdono. Quando Niccolò Ammaniti non esagera con l'onirico (soprattutto l'ultima parte), pur essendo giustificato dall'età dei protagonisti, riesce a creare situazioni audiovisivamente appaganti, dove emerge puro talento visionario. Non tutto funziona ma merita la visione. In Anna infatti, dove il mondo è alle prese con una virulenta epidemia che colpisce solamente gli adulti, basata sull'omonimo romanzo del 2015 dello stesso Ammaniti (che si ricordi essere quello de Il Miracolo, sorprendente serie di qualche anno fa), l'intervento della sospensione dell'incredulità non è (volontariamente o meno) chiamato in causa spesso, e quando si cerca d'innescarlo il più delle volte l'operazione non riesce affatto, ma le numerose e vistose improbabilità socio-comportamentali e tecniche passano anche assai facilmente in secondo piano innanzi a certi momenti di genuina bravura dei giovanissimi interpreti, tutti esordienti assoluti, che, ugualmente e per contro, sono in grado, altresì e similmente, di stemperare le ovvie incespicature ed incertezze che la "freschezza" (non) attoriale si portano appresso: e la regia, parimenti, tanto alle volte sfrutta questa genuinità, quanto tal altre vi rimane incastrata (i momenti d'imbarazzo recitativo, e di direzione degli attori, e prim'ancora di scelta delle linee di dialogo, si sprecano). Nel complesso un gran bel lavoro, efficacacissime location, più che discrete musiche, tanto quelle originali che non, non eccezionali invece i titoli di testa, però sono piccole incertezze che non (troppo) intaccano il resto. Voto: 6,5

The Investigation (Miniserie)

Recensione pubblicata su Pietro Saba World il 16/11/2021 Qui - Creata e diretta da Tobias Lindholm, The Investigation è una ricostruzione accurata e priva di spettacolarizzazione del dolore che racconta con ritmo teso e serrato le indagini sull'omicidio della giornalista Kim Wall, noto come "il giallo del sottomarino" che scosse profondamente la Danimarca. Un delitto brutale, una storia truce, un processo sconvolgente. Senza retorica e visto con gli occhi del capo della omicidi (interpretato da Søren Malling, discreto attore visto recentemente in The Vanishing - Il mistero del faro), The Investigation è costruito come un'inchiesta, non ha l'enfasi di simili storie basate su "true crime" americane né l'overacting di quelle italiane. Non è la prima volta che viene adottato questo taglio, ma raramente con un rigore così scevro da tentazioni spettacolari: l'indagato non viene mostrato, le ricadute familiari nelle vite dei poliziotti impegnati sono appena accennate, mentre tutti i passaggi, le ipotesi, i dubbi, le scoperte di indizi sono esposti con una minuzia che ben rende la difficoltà esasperante di far luce su un caso difficile. Un aspetto non trascurabile è anche la scelta di non mostrare alcun dettaglio raccapricciante né impressionante: The Investigation si muove nei binari del dialogo e del ragionamento scientifico per dipanare l'interminabile indagine del sottomarino. Non c'è insomma alcuna volontà di spettacolarizzazione del dramma, bensì totale immedesimazione sia con la frustrazione della polizia, sia con il dolore sommesso dei suoi genitori. La principale criticità della miniserie è la difficoltà di tenere elevata la suspense, dato che l'enigma del giallo è il ritrovamento di un corpo e non quello di un assassino. In molti momenti si ha la sensazione di una dilatazione eccessiva del racconto a fronte di una trama asciutta e scarna che avrebbe potuto essere raccontata efficacemente anche in meno di sei episodi. Come detto, però, il giallo è un pretesto per presentare una vera e propria impresa di polizia scientifica più che la risoluzione di un'enigma. Per questo certamente consigliabile a chi cerca un crime meditato e riflessivo invece che un giallo dinamico e canonico, anche se vista l'originalità, la passione e la discreta riuscita nessuna preclusione, alcun pregiudizio dovrebbe esserci. Voto: 7

La regina degli scacchi (Miniserie)

Recensione pubblicata su Pietro Saba World il 16/11/2021 Qui - Una miniserie (basata sull'omonimo romanzo del 1983 di Walter Tevis) riuscita (che riesce a tenere incollati allo schermo) e coinvolgente (c'è abbondante spazio per le emozioni) benché tratti un argomento piuttosto ostico e non proprio alla portata di tutti come gli scacchi. Ci si sofferma molto sulla personalità della protagonista (interpretata alla perfezione dalla abile e dotata di un fascino particolare Anya Taylor-Joy), una bambina tanto geniale negli scacchi quanto sfortunata e fragile nella vita, e su una perfetta ricostruzione ambientale (con scene e costumi che permettono allo spettatore una vera e propria full immersion negli anni '60 e '70, sullo sfondo l'inquietante ma a suo modo affascinante clima della guerra fredda USA-URSS), aspetti che permettono di passare sopra ad una storia facilmente prevedibile (gli scacchi come forma di salvezza e di riscatto, ma anche di ossessione e desolazione). Tecnicamente ineccepibile, nonostante qualche sbavatura (qualche aspetto magari, come le dipendenze mai approfondito in maniera esauriente, la sceneggiatura presenta inoltre alcune forzature che riguardano i punti chiave della storia, a mio parere forse un po' troppo enfatizzata) è un lavoro che merita sicuramente una visione. Un lavoro in cui per una volta a prevalere è decisamente la forma sulla sostanza, pur valida. La storia è interessante ma non è, a mio giudizio infatti, la chiave del successo del lavoro di Scott Frank. La regina degli scacchi, una miniserie assolutamente godibile, indubbiamente uno dei recenti migliori lavori firmati Netflix. Voto: 7+

Alias Grace (Miniserie)

Recensione pubblicata su Pietro Saba World il 16/11/2021 Qui - La serie sorellina di The Handmaid's Tale (basata anch'essa su di un romanzo della Margaret Atwood, che tuttavia al contrario della sorella si ispira a fatti realmente occorsi intorno al 1840) non è male (tecnicamente è ben curata), però in virtù di aspettative migliori, essa parzialmente delude, nel suo essere leggermente fredda e decisamente ambivalente, non rimane così tanto impressa nella testa. Una giovane donna è accusata dell'omicidio del suo datore di lavoro e della governante della casa in cui è impiegata. Ambientato in Canada a metà ottocento, una serie il cui fulcro è la divergenza tra la vicenda reale e la versione della protagonista, come emerge dal racconto della stessa. La serie "lavora" in particolare sulla psicologia di un personaggio principale dalla doppia personalità, benissimo interpretato da Sarah Gadon, autrice di una prova ricca (anche troppo, ma non per sua colpa) di sfumature e ambiguità (è lei comunque l'unica, di tutto il cast, ad offrire una degna performance, fra di loro, abbastanza incolore, compare anche il regista David Cronenberg). In questo senso la vera dote de L'altra Grace (da titolo italiano, comunque meno efficace dell'originale) è sì la sua capacità di essere una miniserie intrigante, pronta a far dubitare le sicurezze dello spettatore giocando con il suo orientamento, rendendo possibili soluzioni diverse tra loro (non è mai infatti ciò che sembra), ma il troppo stroppia. Prodotta da Netflix, è una serie molto lenta, dove ogni puntata, cogli qualcosa di nuovo, ma sempre pochissimo alla volta. Quindi devi avere molta dedizione per arrivare fino alla fine. Che lascia tutto aperto, comunque. La verità ce la creiamo noi. Forse sei puntate sono un po' troppe per i fatti narrati, non è probabilmente per tutti ed è fin troppo letteraria. Dal mio punto di vista, una miniserie abbastanza dimenticabile, anche se ha vari spunti affascinanti (certamente fa riflettere sulla condizione disumana della donna nei secoli scorsi), con un finale troppo affrettato seppur di buon impatto. Quale che sia la verità, infatti, di una vicenda che ancora oggi rimane avvolta nel mistero, Grace ha sofferto umiliazioni di ogni genere per anni, per cui il finale rimane accettabile (sebbene non del tutto condivisibile). Voto: 6

venerdì 22 ottobre 2021

Santa Clarita Diet (3a stagione)

Recensione pubblicata su Pietro Saba World il 22/10/2021 Qui - La terza (ed ultima) stagione di Santa Clarita Diet intrattiene con una comicità ancora fresca ed efficace, mentre porta avanti una trama orizzontale non sempre gestita in modo chiaro e puntuale ma che tuttavia è arricchita da alcuni subplot tanto divertenti quanto interessanti. Meno horror e più intrigo. Non manca lo splatter. La trama si intreccia sui rapporti di tutti i personaggi principali e secondari di rilievo. Sempre alto il divertimento provocato dalle mosse dei 4 protagonisti. Conclusione della serie, forse frettolosa. Mi attendevo qualche mistero in più sui cavalieri di Serbia, magari un viaggio alla scoperta, ma è una comedy e va bene così. Come sempre composta da 10 episodi da 25 minuti l'uno, inizia esattamente là dove si era chiusa la stagione precedente, ed esattamente come in precedenza, la serie si conferma seriamente e gravemente divertente, quel tanto che basta da creare dipendenza ed assuefazione. Nonostante un livello generale ancora di buona qualità, le vicende narrate non sembrano però convincere tanto. Si aggiungono nuovi elementi narrativi, ma le risposte che si aspettavano tardano ad arrivare, e lasciano spazio a nuovi interrogativi. In questa stagione si nota comunque un apprezzabile approfondimento dei personaggi minori, ed un costante buon ritmo nei momenti comici, a volte inaspettati. Bene i protagonisti, il carattere e le caratteristiche comiche espresse da Timothy Olyphant crescono nuovamente, senza mai sconfinare nella storpiatura: è perfetto. Mentre della perfezione cicciottellosa di Drew Barrymore invece già si sapeva. Chiudono il cast, che comprende, tra gli ospiti Goran Visnjic (Timeless) ed Ethan Suplee (il mai dimenticato Randy di My Name Is Earl), principali le discrete prestazioni dei giovani, amorini Liv Hewson e Skyler Gisondo. Da non perdere dopo i titoli di coda, le questioni sembrano chiuse ma non mi sarebbe dispiaciuta un'altra stagione, e per uno show per famiglie con un interessante approccio narrativo che non si era mai visto prima, è un vero peccato. Voto: 7-

The Man in the High Castle (4a stagione)

Recensione pubblicata su Pietro Saba World il 22/10/2021 Qui - La serie tratta da La Svastica sul Sole di P. K. Dick arriva a conclusione dopo aver percorso strade decisamente accidentate (tra alti e bassi). Momenti di grande impatto emozionale si succedono ad altri d'impatto molto inferiore, e questo alternarsi riguarda un po' tutto, dalle scenografie alle interpretazioni, non solo in questa ultima stagione. Una stagione che seppur nel complesso mi è piaciuta parecchio, non affatto priva di difetti e con un finale spiazzante ma non soddisfacente. Sono rimasto infatti davvero spiazzato e per certi versi anche deluso dal finale, non mi aspettavo qualcosa in più, ma probabilmente qualcosa di diverso, questo sì. Qualcosa di più lieto, di più delineato, ma si sa non tutti gli epiloghi sono felici. Il finale difatti, lascia molti punti interrogativi e non fornisce risposta ai tanti dubbi sollevati durante lo svolgimento della serie e soprattutto il futuro di ciò che accadrà dopo l'ultima puntata è molto incerto. Nonostante ciò (ed altro) la quarta ed ultima stagione è stata all'altezza, mi ha intrattenuto e non mi ha annoiato. Il ritmo è stato sempre incalzante e l'aggiunta della BCR (Ribellione Comunista Nera) è stata decisamente interessante, dando quel tocco in più alla serie. Sicuramente ci sono stati passaggi frettolosi, che potevano essere sviluppati meglio se gestivano le cose in modi migliori nelle stagioni precedenti (la terza Qui), ma nel complesso è stata per me una valida ultima stagione. Perché certo, non tutto funziona e la storia avrebbe potuto e dovuto essere gestita meglio, ma l'ultima stagione di The Man in the High Castle riesce comunque a tirare le fila di buona parte delle trame, a far riflettere e a inquietare, non permettendo ad alcun personaggio di uscire indenne dal male compiuto. Sicuramente The Man in the High Castle non è stata una serie tv perfetta, tutt'altro. C'è da dire però che è stata interessante per l'idea di base. Ci sono state cose buone e cose non buone. La non perfetta gestione dei personaggi e delle componenti narrative non la rende il capolavoro che avrebbe potuto essere, ma permette di annoverarla comunque tra le serie che meritano una o più visioni, soprattutto nel momento storico che stiamo vivendo. Voto: 7

Fleabag (2a stagione)

Recensione pubblicata su Pietro Saba World il 22/10/2021 Qui - Continua con la medesima, tagliente ironia l'avventura relazionale e sentimentale della protagonista che questa volta alleggerisce il carico dell'individualismo per cercare un equilibrio con i familiari, in particolare con la problematica sorella. In più, la nostra prende una bella sbandata per un simpatico e attraente prete cattolico, con le schermaglie, le reticenze e i problemi che questo comporta. Restano integri lo humor impietoso, le mezze frasi e le allusioni mimiche, anche se con un tocco più dubbioso e amaro, ma di certo non sentimentalistico. La seconda stagione, forse e nonostante metti un po' frettolosamente una chiusura al cerchio, è anche superiore alla già notevole prima (Qui). Il punto di forza di questa serie, oltre alla naturale empatia con la protagonista, è l'accuratezza dei dialoghi. Battute sagaci e acutezza nello sguardo, aiutano ad una migliore comprensione di tutti i personaggi, senza per questo inficiare nel ritmo e nella capacità di non sfiorare mai la banalità. Phoebe Waller-Bridge è magistrale nel tratteggiare sia l'ego femminile che l'inesausto bisogno che abbiamo di una famiglia che ci avvolga e ci circondi. Memorabili due scene (entrambe con due new entry nel cast): il confronto nel confessionale con la fantastica figura del prete (interpretato benissimo da Andrew Scott) e il confronto con la donna d'affari con cui Fleabag cerca di andare a letto (di rilievo in questo caso il cameo di Kristin Scott Thomas). Adorabile e sorprendente il contro-sfondamento/ri-(s)velamento della quarta parete, come la serie stessa, che peccato finisca così, perché a lei mi ci ero affezionato, non mi sarebbe dispiaciuta infatti un'altra stagione. Non sapremo dunque nulla di come Fleabag ha risolto il suo lutto, ma forse questa è la vita. Voto: 7,5

BoJack Horseman (6a stagione)

Recensione pubblicata su Pietro Saba World il 22/10/2021 Qui - L'ultima stagione di BoJack Horseman si dimostra all'altezza di tutti gli episodi precedenti (e delle stagioni precedenti, Qui la quinta), capace di mettere il protagonista a confronto con il proprio passato così da portare alla luce (in maniera definitiva) la sua anima disperata, ma ancora dotata di un piccolo barlume di luce. Come se i problemi ed i drammi da cui BoJack ha tentato di fuggire negli anni non fossero già stati notevoli, se ne aggiungono nella stagione di chiusura, alcuni di rilevanza assoluta e tale che tutto prende un senso, si focalizza e diventa sempre più chiaro il senso della vita che ogni personaggio ha affannosamente cercato nel corso delle stagioni, poi rendicontato nell'episodio finale. Un finale di stagione profondo e toccante, in grado di suscitare sicuramente forti emozioni senza comunque dimenticarsi, in vari momenti, di puntare anche su un registro satirico efficace. Quello di BoJack Horseman è, senza dubbio, un lascito importante e non poteva concludersi diversamente. Un finale sospeso e senza certezze, come la vita. Monologhi profondi, viaggi introspettivi nei vari personaggi (le paranoie di Diane, la fedeltà del cane Mr. Peanubutter e dell'amico Tod) per una serie che ha saputo usare l'umorismo in modo emozionante. Per questo, inutile negarlo, BoJack mi mancherà. Non sono pronto a dirgli addio, ma devo, addio amico (tossico) mio, e grazie per tutto il pesce. Voto: 8,5

sabato 25 settembre 2021

The Man in the High Castle (3a stagione)

Recensione pubblicata su Pietro Saba World il 25/09/2021 Qui - La terza stagione di The Man in the High Castle espande e approfondisce ulteriormente il contesto narrativo della serie, coniugando la distopia che fino ad ora lo aveva caratterizzato (qui la seconda stagione) con un deciso accento fantascientifico. Lo fa attraverso un ritmo piuttosto riflessivo, eppure quanto mai generoso di avvenimenti e colpi di scena. La serie infatti, ispirata a Philip K. Dick su una realtà alternativa dominata dai nazisti, da cui tuttavia ora distaccatasi completamente, spinge a fondo sulla fantascienza e sull'esplorazione del multiverso (di cui aspetti non vengono tuttavia ancora chiariti) senza tralasciare però i drammi umani dei suoi personaggi che combattono contro i loro regimi oppressivi. I percorsi dei vari personaggi sono sempre più sull'orlo dell'esplosione psicologica, con un John Smith di cui continuiamo a conoscere nuovi dettagli sul suo passato, aprendo una pista narrativa che preannuncia uno scatenarsi di eventi esplosivi nella quarta stagione. Questa terza stagione insieme a John Smith (un Rufus Sewell sempre più carismatico) ruota molto sul personaggio di Juliana Crain, che finalmente si "evolve", e la bellissima Alexa Davalos migliora la sua recitazione, rendendola più coesa e donando sfumature emotive più efficaci che erano state talvolta carenti. Se risulta molto riuscito e convincente il mix di elementi fantascientifici, atmosfere noir e la ricostruzione storica "alternativa" di un mondo dove la 2° Guerra Mondiale ha avuto un esito diverso da quello che conosciamo (a tal proposito uno degli aspetti più riusciti è la plausibilità della ricostruzione storico/ucronica di questa America soggiogata dal nazismo, particolarmente riuscito è l'incrociarsi tra personaggi storici reali e figure inventate), appaiono un po' superflue e stucchevoli certe concessioni al "politically correct", con la messa in scena di amori anticonvenzionali, che vedono protagonisti alcuni dei personaggi secondari. Non ci si fa mancare neanche la tematica dell'arte che può diventare una forma di resistenza contro le dittature. Rimane ancora ingarbugliata la vicenda dei filmati e il mistero della loro origine, ma questa stagione di The Man in the High Castle soddisfa abbastanza, soddisfa per come sono stati studiati gli episodi, per il coinvolgimento emotivo intenso e travolgente delle scene. Voto: 7

BoJack Horseman (5a stagione)

Recensione pubblicata su Pietro Saba World il 25/09/2021 Qui - Dopo tre stagioni di altissimo livello (la terza in particolare rimane forse la migliore) e una quarta annata relativamente deludente (ma comunque di qualità), BoJack Horseman torna per fortuna su altissimi livelli con questo quinto ciclo di episodi. Sempre aggiornata sui fatti dello star system hollywoodiano, il filo conduttore non poteva che essere lo scandalo delle molestie sessuali. Ma il punto forte di questa serie Netflix non è mai stata la satira sociale, comunque di qualità, bensì la capacità di raccontare i problemi esistenziali dell'uomo post-moderno con un catalogo di personaggi variegati ed approfonditi. Forse questa stagione è la più equilibrata di tutte nel dosare dramma e commedia. Una stagione in cui quasi tutti gli episodi meriterebbero un approfondimento a sé stante, che non ho il tempo di fare, una stagione che gira soprattutto intorno al nuovo progetto lavorativo di BoJack, la serie Philbert che non è altro che l'ennesimo poliziesco americano con un protagonista fascinoso e tormentato, scritto da un tizio bianchiccio e con le occhiaie che crede di essere il nuovo Kubrick e non fa nulla per nasconderlo. Attorno a quel nuovo show, in maniera più o meno diretta, si incastrano episodi più orizzontali e altri più verticali, che continuano a lavorare sul tentativo del protagonista di trovare un posto nel mondo in cui sentirsi, se non proprio felice, quanto meno adeguato. Un disagio che colpisce anche i personaggi di contorno, che spesso "di contorno" non sono. Costoro aprono tanti temi, che fluiscono all'interno degli episodi con cadenza e forza variabili, a volte restando sottotraccia di un'altra trama principale, altre volte prendendo con forza la scena. Ma Bojack Horseman c'è sempre, lui, un cavallo che non cambia mai. Il sesto episodio rappresenta in tal senso la punta di diamante della stagione e anche una delle puntate più ardite dello show, un unico soliloquio di 25 minuti del personaggio senza soste o stacchi che rimane impresso per potenza e sincerità. Anche la classica penultima puntata, da sempre il climax emotivo di una stagione, non delude le aspettative e propone a questo giro una mega riflessione sulla metanarrativa dello show. Concludendo, ancora una volta Bojack Horseman è riuscito a confermarsi per quello che è, una storia sulla realtà che non ha paura di affondare nell'oscurità fragile a disegnare tutti noi. Decisamente sorprendente. Voto: 8

Santa Clarita Diet (2a stagione)

Recensione pubblicata su Pietro Saba World il 25/09/2021 Qui - Prosegue sulla strada della prima stagione ma migliorando un po' tutto. Aggiunge nuovi personaggi secondari, alcuni dei quali discretamente interessanti, amplia le situazioni in cui è coinvolta la famiglia aggiungendo carne al fuoco e prende un po' più di respiro, uscendo dai confini della casa/vicinato. Pur andando costantemente in calando, dal riuscitissimo pilot al più semplicistico final season, e forte probabilmente di un forse inaspettato buon riscontro relativo alla prima annata, la seconda stagione di Santa Clarita Diet (al contempo più strutturata, più cartoonesca, più solida, più seria, più compatta, più demenziale, più screwball, più slapstick della precedente) si libera da ogni remora e sforna una sfilza di episodi di circa 25 minuti l'uno che sono come dita mozzate pronte da sgranocchiare: uno tira l'altro. Drew Barrymore è (come) sempre (più) adorabile, Timothy Olyphant consolida la sua vena comica (sorprendente, ma naturalissima). La "coppia" di teenager composta da Liv Hewson e Skyler Gisondo (a cui s'aggiunge per un tratto, prima di partire verso Seattle per cause di forza maggiore, Ramona Young nei panni di Ramona) funziona alla grandissima. Completano il cast la testa di Nathan FillionMary Elizabeth EllisNatalie Morales e la breve ma indimenticabile presenza in una piccola parte di Gerald McRaney nei panni del Colonnello (che fa il paio con l'apparizione di Grace Zabriskie nella scorsa stagione). Questa stagione di Santa Clarita Diet rappresenta insomma una sostanziale conferma per la serie, proprio alla sua prova più difficile (come per ogni show, la seconda annata risulta determinante nel decretare la solidità dell'impianto globale). Purtroppo non si può soprassedere su alcune scelte di trama discutibili che abbassano in parte il livello generale, tuttavia, non si può nemmeno ignorare come tutto il resto sia orchestrato quasi alla perfezione, con una solida alternanza tra momenti seri e divertenti, scene splatter e più emotive, che consolidano (ciascuna a modo loro) i rapporti tra i personaggi. Grazie inoltre ad attori che insieme danno davvero il loro meglio, si può dire che questa stagione sia stata una vera sorpresa, si vedrà la prossima, che avrà certamente il compito obbligatorio di essere più completa a livello di trama e quello, ancora più difficile, di mantenere o superare il multilivello di scrittura raggiunto con questa. Voto: 7

Fleabag (1a stagione)

Recensione pubblicata su Pietro Saba World il 25/09/2021 Qui - Una comedy-drama, un po' noir, che si è rivelata una vera sorpresa. Consigliata da molti, ma non mi aspettavo ciò, non mi aspettavo di ridere così tanto, e di gusto. Fleabag, british al 100%, che diverte, spiazza per il suo linguaggio libero e per l'introspezione esasperata ed espressa con feroce autoironia, specie da parte della bravissima protagonista, mi è piaciuta perché non è mai banale, anche se affronta temi già trattati ampiamente al cinema e in tv. Nel corso di soli 6 episodi (durata media: 25 minuti), la serie televisiva racconta le sfaccettature della vita instabile di una trentenne londinese senza nome. In teoria, il suo nome sarebbe proprio Fleabag, ma non è un nome proprio, è un soprannome che mi pare non venga neppure mai pronunciato. In sostanza, il termine inglese (che, letteralmente, potrebbe significare "pulce da borsa") indica una persona che cura poco la propria igiene e che, appunto, ha le pulci. La protagonista non ha di questi problemi: è lei la pulce. Come un insetto infestante ed emotofago, Fleabag urtica le persone con cui entra in contatto. Lo fa naturalmente, senza colpa. Inquieta chi la circonda, perché è troppo libera, schietta, senza filtri e la sua appariscenza non artificiosa la mette in competizione con il resto del mondo, quando lei, dal mondo, vorrebbe solo un abbraccio. Inizialmente, grazie anche al continuo sfondamento della quarta parete da parte della protagonista, Fleabag (disponibile su Prime Video) sembra una comedy anticonformista su una giovane donna emancipata, benché un bel po' incasinata. Strada facendo, si scoprono la sua spontanea capacità di complicare ogni cosa, anche la più banale, le sue debolezze e le sue profondissime paure. L'ultimo episodio, in questo senso, è straziante e alza l'asticella dell'empatia ad alti livelli. Bravi gli attori. Phoebe Waller-Bridge, che non conoscevo, ha un viso e una presenza scenica estremamente interessanti. Brett Gelman, interpreta bene il cognato ambiguo, in un ruolo particolarmente antipatico, c'è anche Olivia Colman, premio Oscar per la sua interpretazione ne La favorita di Yorgos Lanthimos. Una specie di BoJack Horseman, ma al femminile, che seppur non raggiunge il livello dell'originale, riesce a farsi notare. Voto: 7,5

lunedì 23 agosto 2021

Santa Clarita Diet (1a stagione)

Recensione pubblicata su Pietro Saba World il 23/08/2021 Qui - Una commedia divertente, densa di ironia e di prese in giro alla vita della periferia americana, estremamente leggera, piacevole da vedere nei momenti di relax, ma di certo non adatta a tutti. Santa Clarita Diet è infatti una serie per stomaci forti: uno splatter gioioso che lascia alla porta il virtuosismo distopico a cui la televisione ci sta troppo abituando. Un inno alla leggerezza e all'esorcizzare i propri tumulti interiori, che non perde occasione di sviscerare (termine estremamente appropriato) la fine del sogno americano, cannibalizzato da sé stesso. Soltanto i coraggiosi sono in grado di rivalutare la normalità. Già prima di Santa Clarita Diet altre serie come Ash vs Evil DeadScream Queen e tutta la saga di American Horror Story, hanno cercato di creare un prodotto televisivo che si potrebbe definire horror leggero, ed è questo che la serie fa, riuscendoci abbastanza bene (difficile raggiungere l'ottimo livello della serie dell'iconico Ash Williams), con il pregio che sta nelle puntate (10 a stagione) tutte da circa 25 minuti, da guardare una dietro l'altra (cresce piano piano col passare delle puntate) in un binge watching sempre più "affamato" (dopotutto qui si parla zombie, anzi di zombismo, mica di altro). Creata da Victor Fresco (già creatore di altri show) e distribuita da Netflix, questa serie televisiva statunitense, che nella sua stagione introduttiva si gioca ancora poche carte ma lo fa sapientemente, creando un solido quartetto di personaggi, poco approfonditi dal punto di vista psicologico, ma in grado di entrare rapidamente in simpatia, in cui alcune idee un po' trash, qualche piccolo mistero e diverse situazioni tragicomiche aiutano ad arrivare alla fine con leggerezza e curiosità verso il futuro della famiglia Hammond, si avvale di un cast molto interessante. La particolarità del cast è senz'altro Drew Barrymore, in un ruolo molto significativo nella sua carriera. Protagonista di molte commedie romantiche come Duplex - Un appartamento per tre e 50 volte il primo bacio, il suo personaggio diventa la perversione estrema di quelle donne innamorate. Degenerazione di quei ruoli appena citati, la Barrymore è perfetta, avendo incarnato molto spesso quella borghese americana che è costantemente derisa dalla serie televisiva. A completare la coppia ci pensa Joel Hammond, interpretato da Timothy Olyphant, forse sarebbe stato meglio un attore decisamente più coinvolto nella carriera della Barrymore come Adam Sandler, ma la chimica della relazione è molto soddisfacente. Come soddisfacente è per il momento la serie, una serie un po' confusa nei suoi generi ma al suo primo giro in grado di alternare situazioni divertenti e di suspense in modo apprezzabile. Voto: 6,5

The Man in the High Castle (2a stagione)

Recensione pubblicata su Pietro Saba World il 23/08/2021 Qui - La seconda stagione va a riprendere l'ultima scena della prima stagione e su di essa e sul personaggio di Nobusuke Tagomi si va a creare l'arco narrativo più importante dell'intera stagione, una stagione che riflette nuovamente sui poteri dei Media, del giornalismo e dell'importanza di immagini, che sciogliendo qualche mistero (sulle pellicole "divergenti") non dà comunque certezze sulle derive che intraprende la serie in questa stagione, serie ora slegata definitivamente dal romanzo di Philip K. Dick. Al momento infatti siamo tra la fantascienza e il fantastico esoterico, e in questo senso dico subito che la seconda stagione (in cui compare il fantomatico Uomo dell'Alto Castello, interpretato da Stephen Root) evita il problema della (scomoda) spiegazione del "viaggio" di Tagomi, rimandandola probabilmente a una terza stagione, concentrandosi invece sull'evoluzione drammatica dei personaggi le cui vite sono sempre più legate agli eventi fanta-storici e agli intrighi spionistici visti nascere nella prima serie (di 10 puntate). Questa seconda stagione scava nelle viscere della distorta morale nazista, ne mette in luce tutte le discrasie e le contraddizioni e lo fa attraverso le vicende degli uomini che ne compongono la società. Vicende che non necessariamente coincidono con la storyline principale che spesso pecca di lungaggini e sviluppi poco interessanti. Eppure nonostante una certa lentezza nei primi episodi ed alcuni punti non risolti o un po' comodamente accantonati, la seconda stagione di The Man in the High Castle si fa vedere con grande interesse e nel complesso non delude le aspettative: quasi tutti i personaggi (anche quelli secondari, e quelli meno "forti") acquisiscono una complessità psicologica, uno spessore drammatico e un ruolo attivo nella vicenda dando finalmente all'azione un andamento più incalzante. The Man in the High Castle 2 va infatti ad approfondire ogni singolo carattere mostrandolo in una realtà nuova e inedita a loro ed i loro comportamenti all'interno di questa. In queste dieci puntate nessuno dei personaggi è più quello conosciuto all'inizio della prima stagione, ma si sono evoluti nel bene e nel male. In questo senso una delle cose più riuscite di questa seconda stagione (che comunque migliore non è, meglio non fa della precedente), è il singolare e ambiguo rovesciamento di ruoli tra buoni e cattivi che fanno risultare quest'ultimi quasi più "simpatici" (se così si può dire) agli occhi dello spettatore. Una scelta, da parte degli sceneggiatori, sicuramente non banale e coraggiosa. In conclusione con la seconda stagione, The Man in the High Castle pur continuando a creare "disagio", ne conferma le doti positive. Voto: 7