sabato 5 dicembre 2020

Petra (Miniserie)

Recensione pubblicata su Pietro Saba World il 05/12/2020 Qui - Dopo I Delitti del BarLume, che spero di rivedere presto, Sky si butta nuovamente sul giallo, stavolta non in chiave commedia ma in chiave prettamente noir, e il risultato seppur non eccezionale è apprezzabile. Petra, composta da quattro mini-film collegati tra loro, è tratta dalle opere di Alicia Giménez Bartlett ed è interamente diretta da Maria Sole Tognazzi. Alla luce di questo è caratterizzata da uno sguardo spiccatamente femminile che va ad affrontare un storia di crimine e violenza tutto sommato tradizionale attraverso una lente tuttavia abbastanza inedita e scevra dai soliti stereotipi (ma non del tutto, cambiano i toni, e un po' tutto il resto, ma niente di cui sorprendersi troppo). La protagonista è infatti una donna, è Paola Cortellesi, un'ispettrice della mobile di Genova, che dall'archivio si ritrova catapultata in prima linea a risolvere dei casi di omicidio e di violenza, assieme al viceispettore Antonio Monte (interpretato da Andrea Pennacchi) poliziotto vecchio stampo prossimo alla pensione, ricco di saggezza umana e di grandi intuizioni (diligente la sua interpretazione). I due, nonostante le numerose differenze caratteriali, costruiranno una solida affinità professionale oltre che una sincera amicizia. A proposito di ciò, regia, fotografia e adattamento complessivo della serie sono impeccabili (Genova come location funziona abbastanza), ma la ricerca della perfezione nella creazione di un personaggio spigoloso, scostante risulta a tratti troppo artificiosa, costruita, quasi falsa. E in questo, spiace dirlo, non aiuta la scelta di Paola Cortellesi. Nel primo episodio la sua Petra è troppo carica, troppo caricaturale e poco reale, per fortuna nel corso degli episodi in particolare nel terzo e nel quarto tutto si normalizza e il personaggio risulta più naturale, più fluido. Ed alla fine personaggio convincente ed affascinante. E le storie? Sinceramente ho faticato a lasciarmi trasportare dalle storie raccontate nei singoli episodi, innegabilmente però ben scritte e ben dirette. Alla fine una buona serie che semplicemente si lascia guardare. Voto: 6+

Supergirl (3a stagione)

Recensione pubblicata su Pietro Saba World il 05/12/2020 Qui - ArrowFlash e ora anche Supergirl perdono pezzi e qualità. Non fa del tutto peggio dell'altrettanto sofferta seconda stagione (qui), ma non fa neanche meglio. La terza stagione dell'eroina Kryptoniana impersonata da Melissa Benoist, è stata infatti tutt'altro che esaltante ed il finale di stagione, intitolato Battles Lost and Won, il perfetto specchio di quello che è stato il faticoso svolgimento di un trama generalmente poco attenta e, nel complesso, non troppo coinvolgente. Certo, il finale riesce a dare una conclusione sufficientemente dignitosa alle più recenti storyline, ma saranno necessarie molteplici migliorie per riuscire a tenere in piedi questo show, in particolar modo dal punto di vista della scrittura. Difatti questa terza stagione procede sottotono, tanta psicologia, tanti sentimenti, tante cose da raccontare e poca azione di quella vera, ma soprattutto tante stupidaggini. Nel senso che sbagliate alcune soluzioni narrative (sostanzialmente raffazzonate e pretestuose), tanto che alquanto stupida risulta spesso Kara. Con una certa punta di delusione, non posso perciò valutare positivamente questa stagione, anche perché la terza stagione di Supergirl è stata quella dalle potenzialità più disattese, finora. Certo, allo stesso tempo, va ricordato come a livello di storia sia stata anche la più ambiziosa, sotto molteplici aspetti, però fare meglio non era impossibile. Voto: 5+

Room 104 (3a stagione)

Recensione pubblicata su Pietro Saba World il 05/12/2020 Qui - Certamente non un successo di pubblico (siamo in quattro probabilmente ad averla vista), eppure la serie antologica creata dai Fratelli Duplass, forte anche del consenso della critica (io l'ho sempre comunque apprezzata), è tornata con una terza stagione (in onda nuovamente su Sky Atlantic) composta da 12 nuovi episodi ambientati come sempre nel microcosmo della stanza di motel da cui prende il nome. A volte squallida e deprimente, altre volte più luminosa e di classe (ma mai così di classe), la Room 104 è l'unica costante e collegamento tra gli episodi che raccontano ognuno una storia diversa con personaggi diversi, attingendo di volta in volta dai generi più disparati. Dal thriller con sfumature horror, alla commedia nera fino al dramma nudo e crudo. Nella Stagione 3, Room 104 spinge al massimo per assicurarsi che nessuno di questa dozzina di nuovi cortometraggi risulti uguale o già visto a quelli realizzati nelle due stagioni precedenti. Eppure si continua a giocare con i contorni temporali e metafisici di questa solitaria stanza di motel, cosa che non fa altro che accrescere la sensazione di déjà-vù e quindi di già visto. Struttura e ritmo sono quelli che accompagnano lo show sin dalla prima stagione: apertura, sensazione o avvenimento sinistro in crescendo e climax scioccante (grottesco nella maggior parte dei casi) che dovrebbe sorprendere ma che non manca mai di lasciare il pubblico con l'amaro in bocca. In alcuni episodi minori, più leggeri nelle atmosfere, i minuti finali sembrano sempre l'ultimo tentativo di salvare i precedenti venti minuti. Peccato perché con The Plot, l'episodio d'apertura della stagione che vede protagonista Luke Wilson, si era avuta l'impressione che lo show iniziasse a voler seguire una struttura narrativa canonica che investigasse addirittura l'origine della Room 104 e degli avvenimenti che prendono vita tra quelle mura in mezzo al deserto. Tuttavia, Room 104 sembra arrancare anche nelle puntate successive, quasi come se avesse paura di mostrare la sua mitologia (sempre se gli autori ne hanno costruita una). Ogni episodio lascia lo spettatore indifferente, senza nulla avergli dato e senza nulla avergli tolto. Una sensazione piuttosto frustante. Comunque alcuni episodi belli ed interessanti ci sono, ma nessuno oltre la media, cosicché pur confermando il mio apprezzamento alla serie (che vedrà anche una quarta di stagione), il giudizio a questo giro (questa stagione infatti, dopo una sufficiente seconda stagione, delude un po') è parzialmente negativo. Voto: 5,5

Quantico (3a stagione)

Recensione pubblicata su Pietro Saba World il 05/12/2020 Qui - Serie tv arrivata alla sua terza ed ultima stagione e presentata alla sua uscita come una delle più promettenti serie degli ultimi anni. Effettivamente sia il Pilot che la prima serie promettevano davvero bene, con una sceneggiatura avvincente che fondeva eventi presenti (da cui la trama principale) a rimandi passati grazie all'abile uso di continui flashback che di volta in volta spiegavano le dinamiche intercorse tra i vari personaggi ed i loro rapporti all'interno di tutta la storia con un buon mix tra genere romantico e spy. Purtroppo come spesso accade nelle fiction di oltreoceano, però, il voler mercificare ad ogni costo i buoni prodotti seriali, sul lungo periodo non paga quasi mai a meno che alla base non ci sia effettivamente una sceneggiatura capace di reggere per tante stagioni. Infatti dopo il bell'exploit della prima stagione, tra l'altro auto-conclusiva e basata su una trama lineare che si sviluppava per tutte le puntate, ne hanno prodotta una seconda (qui) dove cambiata l'ambientazione, hanno mantenuto lo stesso copione narrativo della stagione precedente, producendo inevitabilmente un fattore di déjà vu nello spettatore pur mantenendo buoni livelli. La terza stagione invece pare essere stata creata solo per spremere le ultime energie da un prodotto che di fatto (o probabilmente) non aveva più nulla da dire, infatti è composta solo da 13 episodi, di cui 8 auto-conclusivi e quindi slegati gli uni dagli altri se non per le sotto-trame che legano i protagonisti, trasformando così una piacevole novità televisiva in un mero telefilm vecchio stile, mentre dall'episodio 9 al 13 vi è un ritorno al format originario con una trama unica. Purtroppo il risultato non è ai livelli della prima stagione, infatti non avrà un seguito. Voto: 4,5

The Gifted (2a stagione)

Recensione pubblicata su Pietro Saba World il 05/12/2020 Qui - La prima stagione di The Gifted finiva con molte potenzialità ancora aperte, tanto ancora da svelare, tanto da raccontare e molta azione da vedere. La seconda stagione comincia con il freno a mano tirato, non ci sono passi in avanti significativi, a parte l'evidente cambio di colore e pettinatura di un paio di personaggi il resto è rimasto tutto invariato. I cattivi Mutanti della Cerchia Interna che pianificano, i Sentinel Services che provano a mantenere l'ordine, i Purificatori che danno la caccia ai mutanti e la Rete clandestina che prova a proteggerli, anche se ha cominciato a dare seri segni di cedimento, e tutti che alla fine fanno solo danni. Durante la stagione sono usati flashback che conducono alcuni dei protagonisti in mini avventure, molto spesso fini a se stesse e poco efficaci ai fini di una trama fluida e godibile. Speravo di assistere a qualche bel combattimento fatto bene oppure allo sviluppo delle trame legate agli Strucker, cosa poco realistica poiché i fratelli sono separati, purtroppo, mi sono ritrovato interi episodi d'immobilismo e fiacca che ti lasciavano davvero solo un paio di briciole di trama interessante. Francamente sono rimasto davvero deluso della gestione di questa stagione, si poteva fare molto ma molto meglio, però ormai è tardi per recriminare sul latte versato, la Fox ha annunciato la cancellazione della serie, e sinceramente (anche se tutto è legato all'acquisizione di 21st Century Fox da parte di Disney che ad altro) è meglio così, anche se probabilmente il meglio doveva ancora avvenire, la guerra era infatti alle porte. Voto: 5

The Blacklist (6a stagione)

Recensione pubblicata su Pietro Saba World il 05/12/2020 Qui - Mistero svelato, o almeno così sembrerebbe, parlo ovviamente dell'identità di Red Reddington, il misterioso ma affascinante protagonista di The Blacklist, magistralmente interpretato da James Spader capace, anno dopo anno, di portare sul piccolo schermo un personaggio difficile da odiare ma che non si può neanche totalmente amare. La sua ambiguità (rappresentata ottimamente da Spader, che ha ricevuto per questo ruolo due nomination ai Golden Globe) fa parte dell'origine del personaggio stesso, finalmente svelata al pubblico ed alla protagonista Liz (Megan Boone) nel diciannovesimo episodio della sesta stagione. Una stagione che arriva dopo una buona quinta stagione (qui) che lasciava però presagire questa verità, anche perché la nuova stagione riprende dal colpo di scena con cui la serie ci lasciò lo scorso ciclo di episodi. Ed è sostanzialmente questo il fulcro di una stagione nella media della serie, che però nelle altre puntate (fra le new entry dei nuovi episodi, c'è anche Christopher Lambert) non regala sorprese, quindi pure sotto a questa media, e poi come se non bastasse più che nelle precedenti stagioni qualcosa comincia a scricchiolare, quanto nella messa in scena che in tutto il resto. Tuttavia non manca di suspense, anzi, proprio al termine di questa sesta stagione l'ennesimo colpo di scena, che manterrà alta sicuramente l'attenzione alla prossima stagione, in cui ritroveremo (più o meno) tutti i protagonisti, anche il recentemente scomparso Clark Middleton nei panni di uno personaggi secondari più amati della serie. Voto: 5,5

martedì 17 novembre 2020

Gangs of London (1a stagione)

Recensione pubblicata su Pietro Saba World il 17/11/2020 Qui - Sky si rituffa (dopo ZeroZeroZero) nel crime drama più graffiante con questa serie, nuova produzione Sky Original creata dal maestro dell'action-fighting Gareth Evans già mente dietro il franchise The Raid, una serie che supera in violenza e qualità quella basata sul romanzo (ultimo) di Saviano. Infatti, echi di Gomorra - La Serie (in questo caso difficile superare), Il Padrino e di un certo cinema di movimento che vede in Evans ma anche in Taylor Sheridan i suoi principali interpreti moderni. Il tutto converge in una prima stagione che è un viaggio nel cuore più nero e multietnico di Londra. Una prima stagione che può fare la gioia di tutti gli appassionati di cinema action (quella mia l'ha fatta), con le sue nove ore e mezza di adrenalina pura e criminalità. Al netto di qualche scivolone narrativo e di qualche personaggio poco a fuoco infatti, Gangs of London è un prodotto da premiare, assolutamente consigliato se non si è particolarmente sensibili al sangue e alla violenza, se si apprezza un certo cinema d'azione che strizza l'occhio a Oriente. Girato con inventiva e grandi mezzi (tecnicamente è ineccepibile), Gangs of London tiene non a caso elevata la tensione quasi costantemente, tra infiltrati, coperture che saltano, amori pericolosi che nascono, bugie, parole date e ritirate, ovviamente tradimenti (la storia è articolata e non priva di sorprese). Gangs of London mostra dove si può arrivare nel nome del profitto, entrando nei meccanismi delle alleanze, durevoli e non. Si mescolano le razze, a ribadire come la nefandezza della violenza non ha confini geografici o continentali. In questo senso, e parlando quindi di "mostri", la serie evita di empatizzare e non salva nessuno, coinvolgendo il coinvolgibile e inventando un finale che farà da preludio a una seconda stagione. Probabilmente sarebbe stato meglio mettere il sigillo a una storia del genere, non lasciando prevalere l'ambiguità e la necessità di prolungare la vita del marchio con un'altra stagione. Come altre serie insegnano, non sempre si riesce a mantenere lo stesso livello di interesse. Il cast è scelto con cura e maestria e la serie in ogni caso, al netto di qualche difettuccio, è (al suo primo giro) una piccola perla. Voto: 7

Cercando Alaska (Miniserie)

Recensione pubblicata su Pietro Saba World il 17/11/2020 Qui - Ideata da Josh Schwartz, già creatore di The O.C.Gossip Girl e Hart of Dixie, una miniserie drammatica di discreto impatto. La sceneggiatura è tratta dal romanzo omonimo di John Green, autore di romanzi di successo quali Tutta colpa delle stelle e Città di carta (divenuti poi film, sempre di successo). Otto episodi della durata di circa un'ora ciascuno, per raccontare la storia della scomparsa della eccentrica ed imprevedibile Alaska Young (la Kristine Froseth de La verità sul caso Harry Quebert) vissuta attraverso gli occhi del sensibile Miles Halter (Charlie Plummer). Location principale della storia è la singolare Culver Creek, una scuola prestigiosa davvero particolare per ragazzi dall'intelligenza vivace e singolare. Nonostante l'indicazione data dal titolo, è Miles il protagonista di Cercando Alaska che funge sia da osservatore principale della vicenda, sia da voce narrante. I personaggi sono interessanti e tutti dalle variegate personalità, ciascuno con caratteristiche ed inclinazioni peculiari. Miles è ossessionato dalle "ultime parole famose" proferite in punto di morte dai personaggi più disparati e ha fatto sue quelle dell'autore francese François Rabelais: "Me ne vado in cerca di un grande forse", l'incontro con Alaska lo lascerà folgorato ed incantato e Miles non potrà che farsi travolgere dalla personalità criptica e sofferente della giovane, lettrice appassionata con un profondo vuoto da colmare. Chip Martin (Denny Love), soprannominato dalla stessa Alaska "Il Colonnello" e Takumi Hikohito (Jay Lee) a completare il quartetto di ragazzi che si oppone alla spocchia e all'arroganza del gruppo dei "settimana breve", studenti eredi di famiglie facoltose, destinati a università prestigiose e soprannominati così perché sono soliti tornare nelle proprie case da sogno durante il fine settimana. Ogni episodio si conclude con l'indicazione di quanto manca alla scomparsa di Alaska, evento clou della serie che attrae lo spettatore verso la soluzione del mistero annunciato fin dalla premessa narrata dalla voce di Miles. Cercando Alaska beneficia dell'arte creativa del romanziere statunitense, sempre in grado di attrarre il pubblico, di emozionarlo e di arricchirne le conoscenze. Sarà fin troppo facile affezionarsi alla discrezione di Takumi, all'umiltà del Colonnello, alla tenerezza di Miles, alla complessità di Alaska e persino alla splendida storia del professore di religione, il dott. Hyde (Ron Cephas Jones). Ma la serie, per quanto interessante e dal finale sorprendente e significativo, non mantiene lo stesso livello di pathos e qualità narrativa durante tutti gli episodi, alcuni dei quali risultano sostanzialmente riempitivi e caratterizzati da momenti che non invitano particolarmente a tenere alta l'attenzione. Cercando Alaska, però, ha un significato profondo e indaga nei sentimenti, nei valori e nelle fragilità umane rappresentando l'importanza dell'amicizia e dell'amore. Certo, non a livello di film quali L'Attimo Fuggente o di serie quali Euphoria, ma pur sempre valida negli intenti. Voto: 6,5

What We Do in the Shadows (1a stagione)

Recensione pubblicata su Pietro Saba World il 17/11/2020 Qui - Di solito non guardo le serie tv tratte dai film (anche perché poche volte si è rivelato una buona idea realizzare) ma siccome Vita da vampiro mi era piaciuto molto ed è lungo solo dieci episodi (il che è un pregio, l'eccessiva lunghezza delle serie porta solo annacquamenti) ho deciso di visionarla. Devo dire che mi ha pienamente soddisfatto soprattutto perché riprende benissimo lo spirito dell'originale, dal falso documentario ai personaggi strambi. Personaggi azzeccati e divertentissimi con bravi attori, all'inizio vedendo una vampira donna al posto di uno dei vampiri del film (anche se i personaggi non sono gli stessi ma bensì un frullato del meglio di essi) ho storto il naso per poi ricredermi in un battito di ciglio visto che è fenomenale. Una serie che ci si beve tutta d'un fiato anche per via della brevissima durata degli episodi. Nonostante Taika Waititi, tra blockbuster della Marvel e premi Oscar (meritato quello a Jojo Rabbit), sia diventato un Hollywoodiano, riesce a produrre ed a dirigere insieme a Jemaine Clement (sono anche presenti in un cameo insieme ad altri attori famosi) questa piccola-grande serie (perfino migliore del film in origine) dove si ride dall'inizio alla fine, dove le situazioni paradossali, horror-comiche e le gag inaspettate non danno mai un attimo di tregua. Una di quelle cose che ti tirano su il morale quando sei depresso. Insomma una genialata della comicità che a parer mio porta una ventata di fresco e di spumeggiante nel panorama televisivo, dove anche gli effetti speciali ed il lato tecnico sono ottimamente curati. Con la conclusione della prima stagione è quasi impossibile separarsi da loro, ma per fortuna c'è già una seconda stagione ad attendermi. Voto: 7+

Yellowstone (1a stagione)

Recensione pubblicata su Pietro Saba World il 17/11/2020 Qui - Uscita abbastanza in sordina, senza grandi clamori pubblicitari e con giudizi altalenanti della critica, è una delle serie personalmente più sorprendenti degli ultimi mesi. E anche vero che io ho una particolare ammirazione per i lavori sceneggiati e/o diretti da Taylor Sheridan. Ho apprezzato SicarioHell or High WaterI segreti di Wind RiverSoldado e, ovviamente, Yellowstone. In ogni caso, un viaggio nei paesaggi del Nord Ovest americano, un vero e proprio western contemporaneo che ripropone in chiave attuale il mito della frontiera e della ruralità. Yellowstone è infatti una narrazione, in chiave seriale, della tradizione americana più intima e profonda: uomini a cavallo che proteggono la propria terra, lo scontro tra la natura e la civiltà, un western dei nostri giorni (lo stile, le tematiche, la caratterizzazione dei personaggi creano un bel mix tra passato e presente). Il protagonista è John Dutton (interpretato da un grande Kevin Costner), ricco proprietario del più grande ranch degli Usa, lo Yellowstone appunto. L'intera zona però è diventata obiettivo dei costruttori edili, viene rivendicata al tempo stesso dalla vicina comunità di indiani ed è troppo vicina al Parco Nazionale d'America. L'uomo (rigido ed irreprensibile) si trova così costretto a difendere il suo regno, con ogni mezzo possibile. E dopo i primi screzi, la vicenda inizia a trasformarsi in una vera e propria guerra, che coinvolgerà anche i figli di John. Taylor Sheridan ripropone lo schema narrativo/tematico che gli ha dato tanto successo in questi anni, e fa nuovamente centro. Nello stile di Sheridan viene toccato anche il grande tema della vita di frontiera, della durezza di essa e della natura che la circonda. A proposito di ciò, la natura in Yellowstone è già addomesticata, i cowboy non hanno nuovi spazi da conquistare, ma terreni da difendere. In questa narrazione sono gli indiani che mirano all'espansione, a riprendersi ciò che era loro. La modernità sta letteralmente invadendo la tradizione: gli alberghi inghiottono i ranch (assurdo ma vero). Della prova attoriale di Costner si è già detto ma non va assolutamente dimenticata anche quella di Kelly Reilly come Beth Dutton, problematica figlia di John ma donna dal carattere d'acciaio e che "distrugge persone per lavoro". Nel complesso tutti i personaggi funzionano benissimo, scritti bene e recitati meglio con tutte le sfumature del caso dipendenti dal non essere nessuno di loro un buono o un cattivo semplice. E' difficile schierarsi totalmente con qualcuno tanto quanto è difficile non aver pietà per loro. Bella la fotografia, aiutata parecchio dai paesaggi maestosi e bellissimi. Discreta la colonna sonora ovviamente quasi tutta influenzata dal genere country. Yellowstone quindi, un grande romanzo familiare, spesso e volentieri tragedia classica, ambientato in un contesto, quello della frontiera americana, che lo esalta ancora di più (non ci sono vincitori o vinti, ci sono solo uomini e donne che lottano per la sopravvivenza) decisamente promossa. Voto: 7

The Affair (5a stagione)

Recensione pubblicata su Pietro Saba World il 17/11/2020 Qui - Poteva tranquillamente finire con la quarta stagione The Affair, che nel suo essere non pienamente soddisfacente, risultava alquanto piena, intensa, emozionante e sorprendente tale da essere capace (quasi) di rinascere dalle proprie ceneri, compreso quel finale aperto, (che a questo punto) era perfetto. Poi Showtime ha ordinato una quinta, Ruth Wilson e Joshua Jackson se ne sono andati e ha dovuto reinventarsi ancora una volta, cercando di non tradire se stessa come avevano fatto Noah e Alison. Un po' ci riesce, un po' non si capisce anche la parentesi futuristica e ambientalista dove voglia andare a parare (il tema risulta debole sia come idea che come realizzazione, e l'Anna Paquin di Trick 'r Treat ne esce "spogliata" del suo talento), ed alla fine ne viene fuori un mezzo pasticcio, risollevato, ma solo in parte, dagli spunti narrativi e di riflessione che sempre hanno accompagnato la serie. Il difetto maggiore di questa quinta ed ultima stagione che chiude (su due piani temporali diversi, uno ambientato nel presente e uno ambientato in futuro più o meno prossimo) le sue storie di amore e tradimento? L'idea dei diversi punti di vista, punto di forza nelle prime stagioni, si è trasformato in un modo per raccontare le storie di altri personaggi, introdotti nel tempo e fondamentalmente inutili (soprattutto in quest'ultimo ciclo di episodi, di alcuni si poteva fare a meno). Voto: 5

Big Little Lies (1a stagione)

Recensione pubblicata su Pietro Saba World il 17/11/2020 Qui - Nella cornice californiana di Monterey, i destini di tre donne si incontrano. La serie (tratta da un romanzo di Liane Moriarty) inizia con un comunicato stampa della polizia dove si accenna ad un cadavere ritrovato. Le protagoniste sembrano condurre delle vite invidiabili: belle famiglie che vivono in case mozzafiato sull'oceano, ma a mano a mano che gli episodi scorrono riusciamo ad intravedere in ogni nucleo familiare delle problematiche attualissime: difficili rapporti madre figlia, separazioni, tradimenti, giochi di potere ed anche violenza sulle donne. Anche se il tutto è servito su un piatto patinato di vita californiana i dialoghi e le situazioni sono veri, accattivanti, e in alcuni casi scioccanti perché descrivono magistralmente bene i vari aspetti del malessere dei nostri tempi. Infatti, un pregio di questa prima stagione (che ne anticipa una seconda) è nel riuscire a mettere sullo stesso piano tutte le problematiche che si ritrovano ad affrontare le nostre protagoniste. In questo modo lo spettatore riesce a coinvolgersi appieno nella storia empatizzando con i vari personaggi. Con sapienti flashback ed una colonna sonora azzeccatissima, il (bravo) regista (Jean-Marc Vallée, regista anche di Sharp Objects, che porta nella miniserie, divenuta a seguito dello straordinario successo riscontrato da critica e pubblico una serie, la sua inconfondibile impronta, brava la HBO ad affidargli la regia di tutte le puntate) ci accompagna al punto di avere un presagio. Sarà solo nel finale che tutti i pezzi del puzzle si incastreranno facendoci capire la terribile realtà. C'è comunque da dire che l'intera trama è eccessivamente banale e che non tutto è perfetto (nella tecnica quanto nella disamina), ma Big Little Lies - Piccole grandi bugie è senza alcun dubbio una serie di alto livello in grado di trattare temi delicati con molta sensibilità. Inoltre la presenza di un cast d'eccezione (nomi importanti del mondo del cinema come i premi Oscar Reese Witherspoon e Nicole Kidman, ma anche da altri celebri attori quali Shailene WoodleyAlexander SkarsgårdLaura Dern e Zoë Kravitz) è un ulteriore conferma dell'elevata qualità di un progetto (pienamente lo si vedrà poi) riuscito. Voto: 7,5

venerdì 16 ottobre 2020

Diavoli (1a stagione)

Recensione pubblicata su Pietro Saba World il 16/10/2020 Qui - Di produzione italo-francese ma girata prevalentemente a Londra, tratta dal romanzo I diavoli di Guido Maria Brera, la serie, questa serie, è una serie che aspira (essendo italiana al 75% e prodotta da Sky Italia) a diventare internazionale, si veste bene, si tira a lucido ma manca l'occasione e risulta un pesce fuor d'acqua, come chi a una festa elegante si trova a disagio e si mette in un angolo, accanto al buffet. Pur provando ad alzare il livello, con collegamenti all'attualità, inserendo l'anima thriller in un contesto di alta finanza internazionale con i banchieri che muovono le sorti del mondo, la serie si perde in una narrazione annacquata priva di scatti e non in grado di stupire lo spettatore che rischia piuttosto di annoiarsi tra i tanti riferimenti. In realtà nelle prime puntate di finanziario c'è poco, qualche parola tecnica e il fatto che lavorano in una società finanziaria, anche le vicende personali sono un po' criptiche. Poi la vicenda si svela ma in un modo troppo confusionario con troppa carne al fuoco, con intrighi, sotterfugi e doppi giochi non troppo chiari e neanche troppo probabili, finale sensato ma un po' così, sempre con quel velo di forzatura come se le cose andassero nel verso che devono senza neanche troppe sorprese. Patrick Dempsey e Alessandro Borghi catturano la scena e rappresentano il gancio per lo spettatore, attirato dai grandi nomi (ci sono pure Kasia SmutniakLaia Costa e Lars Mikkelsen, però nessuno convince), ma la sfida tra i due "demoni" della finanza sembra perdersi nei meandri della storia personale di Massimo Ruggero (ovvero del secondo, Borghi che, per quanto ci provi, dà vita a un personaggio troppo freddo per suscitare fino in fondo empatia con lo spettatore, in Sulla mia pelle decisamente più bravo). Diavoli ha un obiettivo, mostrare come la finanza cattiva controlli il mondo, come il denaro sia la rovina e lo porta avanti fino all'estremo, delineando i contorni della perfidia con l'accetta. Alla fine risulta un prodotto godibile, ma che non stupisce e non resterà fissato nella memoria (per "Harry Quebert" e Malachi KirbyPatrick Dempsey nuovamente nullo, l'altro era in The Race, altra debacle, porteranno mica sfortuna?). A dispetto della sue velleità, infatti, Diavoli si rivela sostanzialmente deludente, una produzione che, pur non priva di elementi interessanti, finisce per essere paradossalmente schiacciata dalla sua stessa ambizione. A quanto pare è in cantiere una seconda stagione di Diavoli, nonostante tutto lasciava pensare fosse una miniserie. Voto: 5

Babylon Berlin (3a stagione)

Recensione pubblicata su Pietro Saba World il 16/10/2020 Qui - Puntando ancora una volta in alto muovendosi tra dramma e noir, ed affascinando con costumi, musiche e colori, Babylon Berlin (serie televisiva tedesca prodotta da X-Filme Creative Pool in coproduzione con Degeto FilmSky Deutschland e Beta Film, sempre basata sui libri di Volker Kutscher, le cui trame spaziano dal 1929 al 1934) fa centro (seppur con meno vigore rispetto alle stagioni precedenti) ancora una volta. La serie infatti, con questa terza stagione, riconferma le premesse che erano state già eseguite nelle prime due stagioni (qui). Nei primi episodi della nuova stagione, andata in onda su Sky Atlantic e (ancora) disponibile on demand, si ritrovano difatti tutti gli elementi che caratterizzano la serie: nuove indagini, un parco personaggi variegato, storyline di finzione intrecciate con la vera storia della Germania di fine anni Venti anche se non esenti da difetti storici che continuano a esserci. Nonostante questo la serie creata da Tom Tykwer rimane un buon prodotto di intrattenimento, visivamente ricco, e con molti spunti narrativi che non possono fare a meno di stimolare riflessioni sul mondo contemporaneo. I ruggenti anni '20, simbolo di espansione industriale e del progressivo individualismo, vengono comunque celati nel mistero investigativo e nell'aria decadente di cui i personaggi sono avvolti. Vi è una sorta di aurea "morente" che è in grado di sottolineare non solo ciò che la Germania ha vissuto nel primo dopo guerra, ma anche la consapevolezza delle atrocità che la coinvolgeranno nell'epilogo temporale in cui gli eventi della serie tv sono incastrati. Il trucco, insieme alla fotografia e ai costumi d'epoca, fungono da guida visiva ed emotiva per il pubblico della serie che deve destreggiarsi tra omicidi, indagini, e il nascente nazionalismo. Il tutto viene incalzato da un ritmo narrativo che è in grado di coinvolgere il pubblico passo dopo passo, incuriosendolo e inglobandolo nel mistero che coinvolge i due protagonisti (principali, il bravo Volker Bruch e la brava Liv Lisa Fries), protagonisti che "crescono" e sopravvivono, a tutti e tutto, in tutti i sensi. Certo, non è tutto oro quel che luccica nella serie, come detto, in confronto alle precedenti c'è meno impatto sia sonoro che in generale, tuttavia è una serie ingiustamente sottovalutata da vedere, soprattutto consigliata a chi ha visto ed apprezzato le due stagioni precedenti. Voto: 7

ZeroZeroZero (1a stagione)

Recensione pubblicata su Pietro Saba World il 16/10/2020 Qui - Dopo la serie GomorraStefano Sollima torna ad adattare un romanzo di Roberto Saviano, con ZeroZeroZero, un viaggio dentro il cuore pulsante del narcotraffico internazionale, alla scoperta del prezzo umano atto a soddisfare la sete di potere e di soldi che annebbia il raziocinio umano, un lato oscuro che coinvolge e sconvolge la vita di centinaia di persone nel mondo. In ZeroZeroZero tre filoni narrativi fanno infatti da sfondo al viaggio di 5.000 kg di cocaina dal Messico alla Calabria, ma il meccanismo narrativo funziona solo ad intermittenza. Ci sono errori di sceneggiatura (con alcuni sviluppi della trama discutibili e alcune scelte utili solo ai fini del proseguimento della vicenda che fanno storcere il naso, sembrando fin troppo forzate) e vuoti alquanto grossolani nella credibilità dell'impianto complessivo. Senza spoilerare nulla, i tre filoni sono rappresentati dall'ambientazione messicana, da quella calabrese e dal nucleo familiare dei Lynwood (padre, figlio, figlia) che sono gli spedizionieri navali incaricati del trasporto. Ciascuno di questi tre nuclei narrativi si alterna a blocchi nella narrazione complessiva, alternando nel montaggio i tre scenari di riferimento. Quello che funziona meglio è sicuramente il filone calabrese, dove la mattanza dei sentimenti è speculare a quella fisica. Il percorso narrativo è sicuro, senza cedimenti, perfettamente logico e credibile. Negli altri due filoni, il trattamento (non solo narrativo) non è altrettanto brillante. Tra personaggi, tre, uno a cui viene senza senso assegnata una malattia, uno che viene fatto scomparire troppo presto, ed uno, quello del filone messicano, caratterizzato in modo alquanto ambiguo, la scelta misticheggiante del protagonista è infatti bizzarra senza essere credibile. Le interpretazioni del cast (tra cui spiccano Gabriel ByrneAndrea RiseboroughDane DeHaanAdriano Chiaramida e Francesco Colella) sono quasi sempre (poche volte in verità) convincenti, anche se i dialoghi non sono il punto forte di questa serie. In questo senso, anche il ritmo in alcuni momenti rallenta eccessivamente, mostrando una certa pesantezza. Per quanto riguarda il lato tecnico, Sollima si conferma un grande regista. Come in Soldado, anche qui le scene d'azione sono girate in maniera egregia, con momenti spettacolari alternati a immagini crude di grande impatto. L'unico neo, è che forse, come in altre sue produzioni, anche qui la presenza del back and forward è troppo frequente. Per il resto, come sottolineato nel corso della recensione, ci si trova davanti ad una serie che alterna sequenze di grande impatto a qualche sbadiglio dovuto anche alla gestione dei tanti personaggi. Questo a dispetto dei temi trattati, che sono tanto importanti quanto interessanti, mostrati in modo violento e crudo. Alcune scene, soprattutto a livello visivo, sono costruite in modo eccezionale, andando a sopperire alcuni problemi che attanagliano la sceneggiatura. In conclusione, una buona serie, anche se si è lontani dalla perfezione. Voto: 6,5

A Discovery of Witches (1a stagione)

Recensione pubblicata su Pietro Saba World il 16/10/2020 Qui - Un amore contrastato, lotte tra creature sovrannaturali e la ricerca della propria identità animano la prima stagione di questa serie. Il progetto televisivo (è prodotta da Bad Wolf e Sky Productions e andata in onda ovviamente su Sky Atlantic in Italia) è tratto dalla trilogia di romanzi scritti da Deborah Harkness e ha già ottenuto l'approvazione per un secondo e un terzo ciclo di episodi che proseguiranno la storia di questo mondo popolato da vampiri e streghe. Un mondo, una storia, che però non mi ha soddisfatto del tutto. Un inizio promettente si è difatti scontrato con una realtà dei fatti diversa, in cui lo show non è riuscito a salvarsi dallo spettro dello stereotipo, finendo per lasciare troppo spazio alla storia d'amore tra i due protagonisti (tra una strega esperta di storia, interpretata così così da Teresa Palmer, e un vampiro esperto in genetica, interpretato anch'esso così così da Matthew Goode, insieme dovranno "collaborare" per evitare futuri scontri) piuttosto che all'interessante contorno. Infatti, come purtroppo un po' prevedibile, la serie si concentra presto sugli elementi più "romantici" della narrazione. Ne consegue uno show sì nel complesso originale e che cerca di distanziarsi dai suoi lontani "cugini" (recenti e meno recenti), ma che alla fine non riesce a dare quella ventata d'aria fresca al genere. Perché certo, un cast (più o meno) convincente sostiene la struttura piuttosto fragile e al tempo stesso non priva di fascino della serie, riuscendo oltretutto a mantenere alta l'attenzione degli spettatori non troppo esigenti (perfetto per chi è alla ricerca di un prodotto leggero e di una bella storia d'amore da vivere), e poi a sostenere la serie c'è comunque anche il buon lavoro compiuto dal team di registi che valorizzano le splendide location utilizzate mettendo in secondo piano la bassa qualità degli effetti speciali durante le scene d'azione, però credevo meglio. Spero che la prossima stagione sia più movimentata, con più scontri soprannaturali e magia. Magari una vena di romanticismo in meno. Voto: 6

venerdì 25 settembre 2020

Tredici (3a stagione)

Recensione pubblicata su Pietro Saba World il 25/09/2020 Qui - Già la seconda stagione, dopo l'ottima prima stagione, sembrava essere una forzatura, che comunque nella sua quasi inutilità un senso aveva (e riusciva parzialmente nei suoi scopi), questa terza purtroppo un senso non ce l'ha e nei tredici episodi la tematica di base si perde più volte in colpi di scena, twist e segreti di vario genere abbastanza ridicoli (la serie, come per le scorse stagione, parte con tutte le buone intenzioni di voler far luce su argomenti importanti come il bullismo, la violenza sessuale e il suicidio, ma il tutto questa volta viene affrontato in maniera superficiale e fin troppo sbrigativa). Una stagione che sebbene resti fedele alla morale della seconda, dimostrando che nessuno è linearmente buono o cattivo e che non esiste mai una unica e tragica versione della storia, non riesce affatto a stare al passo con le sue sorelle più grandi. Anche perché questa volta la qualità notevolmente si abbassa raggiungendo livelli aberranti sotto molti punti di vista, in particolar modo la sceneggiatura, anzi, la scrittura della terza stagione di Tredici è un chiaro esempio di come non si dovrebbe realizzare una sceneggiatura. La storia raccontata è infatti confusa e piena di incongruenze. La serie cerca in tutti i modi di farsi prendere seriamente, ma, proprio a causa delle continue incongruenze, ogni sforzo degli sceneggiatori risulta vano. La fotografia si differenzia a seconda delle diverse linee temporali presenti, ma tale scelta non risulta essere pienamente azzeccata perché a lungo andare crea più che altro confusione e la narrazione sconclusionata non aiuta di certo la situazione. La regia, come anche il montaggio, risulta nella media, mentre le interpretazioni del cast sono altalenanti. Infatti alcuni attori, come Dylan Minnette nei panni di Clay, buoni nel proprio lavoro, mentre altri, come Alisha Boe nel ruolo di Jessica, non convincono appieno. Un appunto particolare va dato alla new entry Ani che risulta essere un ruolo altamente detestabile ed incapace di creare interesse (e della sua narrazione fuori campo ne avremmo volentieri fatto a meno, un po' come della cotta che ovviamente Clay prende per lei e della sua "relazione" con Bryce Walker, era davvero necessario?). Eppure questa terza stagione sembrava essere partita con il piede giusto, sembrava avere un ritmo incalzante e gestire bene il mistero della morte di Bryce, tuttavia, questa cosa è durata solamente la prima puntata, poi la serie è diventata lenta e ripetitiva, con i personaggi che hanno iniziato ad assumere comportamenti incoerenti, soprattutto alla luce di ciò che hanno fatto o che hanno visto. La terza stagione di Tredici è perciò un fallimento vero e proprio. In questo senso, c'era bisogno di una quarta stagione? No. Piace ancora? Non proprio. Continuerò a vederla? Probabilmente sì, anche se ormai Tredici, senza i tredici motivi di Hannah Baker, non ha quasi più motivo di esistere. Voto: 4,5

The OA (2a stagione)

Recensione pubblicata su Pietro Saba World il 25/09/2020 Qui - La prima stagione di The OA non mi aveva convinto granché, ritmi troppo lenti, poca varietà di contenuti e spesso in talune situazioni l'ho trovata anche irritante. La seconda stagione di The OA fa un decisivo balzo in avanti in termini di qualità rispetto alla prima stagione grazie all'inserimento di nuovi contenuti, un nuovo importante personaggio e ai ritmi più sostenuti. Purtroppo i difetti caratteristici di questa serie persistono anche nella seconda stagione. I protagonisti fanno di tutto per risultare irritanti con il loro comportamento privo di logica e coerenza. Inoltre, accanto a idee assolutamente azzeccate per originalità e inventiva ci sono tante altre trovate inappropriate e fuori contesto. Per quanta fantasia possa metterci lo spettatore nell'accettare certe situazioni, riuscire a dare un minimo di senso alla trama di The OA diventa veramente un'impresa difficile. Anche se stiamo parlando di una serie fantastica dove tutto potrebbe essere lecito a prescindere, alcune sequenze, oltre ad essere troppo strambe, sembrano quasi scollegate fra loro. Sembra quasi che gli autori (sempre gli stessi, Brit Marling, nella serie anche come attrice protagonista, e Zal Batmanglij), in un eccesso di creatività, si siano divertiti a buttare nel calderone qualsiasi cosa gli venisse in mente cercando poi di fare quadrare il tutto con molta pretenziosità. The OA, nonostante ciò, è comunque una serie assolutamente affascinante per la sua capacità di instillare un interrogativo dopo l'altro obbligando lo spettatore a pensare in maniera alternativa e fuori dagli schemi per dare un senso al tutto. Non che si riesca sempre in questo intento ma quantomeno la curiosità cresce a tal punto da "incollarti alla poltrona" per vedere cosa succederà nella puntata successiva. Le tante idee bizzarre che sembrano inserite quasi per caso in realtà diventano in qualche modo anche dei pregi (il polpo che sembra citare Cthulhu). Potrei dire che è una serie che fa del surreale e dell'irrazionalità le sue componenti più intriganti. Inoltre in alcuni frangenti la trama sembra quasi la trasposizione di un immenso incredibile sogno, tanto complesso e intricato quanto affascinante. Vuoi anche per l'ottima fotografia e vuoi anche per la funzionali musiche evocative di accompagnamento. Per non parlare del finale che definirei sorprendente, geniale ma stravagante come tutto il resto della stagione. Voto: 6

Dark (2a stagione)

Recensione pubblicata su Pietro Saba World il 25/09/2020 Qui - Se la prima (straordinaria) stagione lasciava in bilico (qui), la seconda stagione è decisamente più esplicativa. Quasi tutti i nodi vengono al pettine e il puzzle viene (parzialmente) ricomposto (alla fine del racconto infatti, diventa chiaro che tutto il progetto era stato scritto fin dall'inizio e in tre parti, e questa conclusione al momento non sono minimamente in grado di anticipare quale sia). In questa seconda stagione ci vengono difatti chiarificati i ruoli e le origini dei vari personaggi, non senza colpi di scena e non senza sorprese che contribuiscono a complicare di nuovo la situazione (Dark 2 eccelle nel rinforzare un mistero avvincente, e il fatto che la trama non perda mai di mordente è la prova calzante di uno script solido). In questo senso penso però che se non si è vista la prima stagione, difficile vedere la seconda. Perché certo, molti potrebbero scherzosamente (ma non troppo) dire, che tanto anche vedendo la prima non si capisce niente lo stesso, ma credo sia importante a fini del coinvolgimento. Ed a proposito di ciò e del non capirci niente, paradossalmente è proprio questo il bello (è stato così per la prima, è così per la seconda e così sarà per la terza). Perché, anche avendo a portata di mano l'albero genealogico delle famiglie di Winden e uno di quegli schemi che cercano di mettere ordine a posteriori nel caos dei viaggi nel tempo, la cosa che più affascina di Dark è proprio questa. Non capirci niente ed essere incredibilmente soddisfatti che sia così (una cosa però è abbastanza chiara, il tempo, come già nella prima stagione si era percepito, è circolare, e in questo circolo vizioso bene e male si confondono). Soddisfatti da una stagione che in confronto all'ottima prima, perde solo mezzo voto, che è dovuto a una certa prevedibilità di fondo, capito il giochetto, si riesce a prevedere certe cose. Di certo al cliffangher finale di questa seconda si rimane spiazzati, una stagione dove (senza spoilerare niente) tutto ciò che gli spettatori adoravano della serie tedesca torna nella seconda stagione, solo che qui la narrazione è trainata dal pericolo imminente dell'Apocalisse. Molte cose ancora restano da svelare, alcuni personaggi hanno una valenza non proprio chiara, insomma c'è di tutto anche questa volta, ci sono inoltre delle "rimpatriate" che stringono il cuore e tengono sul filo del rasoio per 8 episodi di fila. Ed è solo il giro di boa, nella terza il cervello mi esploderà. Voto: 7,5

Black Mirror (5a stagione)

Recensione pubblicata su Pietro Saba World il 25/09/2020 Qui - Ben lontana dalla qualità dei suoi esordi, la serie Black Mirror torna, dopo una quarta stagione non del tutto disprezzabile e l'esperimento interattivo di Bandersnatch, con la sua quinta stagione, con un sensibile cambio di rotta rispetto al passato. Ritorna sì al formato classico, senza però riacquistare la stessa cattiveria e la stessa ispirazione di un tempo. Narrando infatti vicende poco complesse e concentrate maggiormente sull'umanità e sui drammi dei suoi protagonisti, la nuova stagione di Black Mirror dimostra di non essere in grado di osare e sconvolgere come un tempo. Tra i difetti (trame e personaggi dal debole approfondimento), la serie mostra qualche pregio, una buona capacità di intrattenimento, la qualità delle interpretazioni (Anthony Mackie in primis) e il fatto di aver annullato quello scarto temporale che ci separa da un futuro tecnologico mostrato nei primissimi episodi, rendendo le questioni etiche ancora più attuali e inquietanti. Nonostante ciò rimane un prodotto ben confezionato e poco più, questo è Black Mirror adesso, che si prende pure il lusso di deludere. Delude nel complesso difatti questa stagione, nuovamente disponibile su Netflix e con Charlie Brooker al timone, che si salva dal baratro grazie e paradossalmente al terzo episodio dei tre complessivi, quello più criticato. Il primo episodio è infatti un racconto di amicizia in cui il contesto tecnologico diventa più che altro una scusa per narrare la vicenda, che non avrebbe avuto bisogno di un'ora intera per essere sviluppata. Non è certamente la peggior puntata della serie (apprezzabile è il citazionismo nei confronti dei picchiaduro, con tanto di riferimenti ai vari Tekken e Street Fighter, condensati nel fittizio Striking Vipers nel cui mondo virtuale si rifugiano i protagonisti), ma si può facilmente collocare tra quelle non memorabili (una puntata alla San Junipero, ma di livello molto molto inferiore). Smithereens è il secondo tassello narrativo, il più lungo dei tre e forse quello che fa maggiore affidamento sugli attori. In particolare, per quasi tutto il minutaggio la puntata è sorretta dal talento di Andrew Scott. Il problema è che oltre all'interpretazione del protagonista c'è ben poco, perché la pericolosità della dipendenza dai device mobili è tutto eccetto un'idea illuminante e soprattutto ciò che succede non ha nulla a che vedere con la pervasività tecnologica ma solo con una crisi in tutto e per tutto umana. Il terzo e ultimo episodio della stagione, in maniera antitetica rispetto al precedente, si concentra su un'idea già ampiamente utilizzata sia dalla fantascienza contemporanea sia dalla stessa Black Mirror, perché la migrazione della personalità di un individuo in un involucro artificiale era già stata sviluppata in maniera infinitamente più complessa in Be Right BackRachel, Jack and Ashley Too è stato l'episodio protagonista della campagna promozionale della stagione per via della presenza di Miley Cyrus e sebbene non racconti nulla di originale riesce a essere lo specchio migliore della Black Mirror di questi ultimi anni: idee molto semplici (o già viste) e sviluppate in un modo meno cupo, che in questo caso si aggira dalle parti della favola e del coming of age, decisamente simpatico (e non solo, tematiche per riflettere). Ma ovviamente non basta, e alla fine resta da dire che Black Mirror praticamente non c'è più. Voto: 5

venerdì 11 settembre 2020

The Mandalorian (1a stagione)

Recensione pubblicata su Pietro Saba World il 11/09/2020 Qui - Il miglior prodotto Star Wars degli ultimi anni, migliore anche di Rogue One e dell'intera nuova trilogia (anche se di questa mi manca ancora l'ultimo tassello), questo è The Mandalorian (nota anche come Star Wars: The Mandalorian), la prima serie televisiva live action ambientata nell'universo di Guerre Stellari. La serie infatti, distribuita sulla piattaforma streaming Disney Plus dal 12 novembre 2019, data di lancio del servizio negli Stati Uniti, e da marzo scorso in Italia (lanciata da Italia 1 con la sola prima puntata ma disponibile interamente in esclusiva dalla suddetta piattaforma), lascia senza fiato. The Mandalorian, ambientato dopo le vicende de Il Ritorno dello Jedi e 25 anni prima de Il Risveglio della Forza e del suo sequel ovviamente, Gli ultimi Jedi, è un western futuristico dove tutti sono brutti, sporchi e cattivi, dove il deserto (sia fisico che metaforico) la fa da padrone, dove i saloon sono pieni di feccia proveniente da ogni parte della galassia, dove rischi la vita ogni giorno e dove sparatorie e tradimenti sono il pane quotidiano. È un futuro già vecchio in cui la più moderna delle tecnologie è già polverosa, dove si parla poco e si agisce molto, in cui nonostante le disavventure, l'Impero, i tradimenti, tutto è bellissimo. Se The Mandalorian funziona molto, si deve alla buona sceneggiatura scritta a otto mani da Jon Favreau (anche ideatore), Dave FiloniChristopher Yost e Rick Famuyiwa, capaci di portare sul piccolo schermo tutti gli elementi che hanno decretato il successo di Star Wars, aggiungendo una storia avvincente (fatta di tanti piccoli step talmente banali e didascalici da fare il giro e risultare, nonostante tutto, incredibilmente affascinanti) e un protagonista accattivante. A cui si somma la brevità degli episodi, condensando così in poco più di mezz'ora l'azione che non perde (quasi) mai di intensità. La serie ha una linearità d'altri tempi, un crescendo emozionante e una regia cristallina, affidata a sei filmmaker diversi (tra cui spicca Taika Waititi, regista del finale di stagione) per gli otto Capitoli complessivi.

giovedì 27 agosto 2020

American Horror Story: 1984 (9a stagione)

Recensione pubblicata su Pietro Saba World il 27/08/2020 Qui - Passano gli anni ma la serie antologica horror, American Horror Story è ormai un cult della televisione. Questa nona stagione, seppur debole e sottotono, si conferma di grande intrattenimento e conferma nuovamente che il prodotto è un'abile (ma raramente eccezionale) contenitore narrativo della mitologia horror statunitense. La serie antologica creata da Ryan Murphy alla sua nona stagione decide di omaggiare gli anni '80 (il suo stile, i suoi colori, l'aerobica, la musica giusta, le tutine aderenti, esagerando però in alcune circostanze) e il cinema slasher che in quegli anni esplodeva, rifacendosi direttamente a cult come Venerdì 13 (anche citato) ed Halloween, ma convergendo molto (forse troppo) sul filone parodistico. Di horror c'è infatti ben poca traccia, i puristi (quelli che rimpiangono le prime stagioni) non saranno stati contenti di questo cambiamento, in parte anch'io, seppur nonostante ciò, anche questa volta grazie ad un intreccio divertente, semplice, AHS si lascia guardare volentieri. I personaggi principali sono stupidi ma in linea con la loro caratterizzazione. Sono giovani, vivono a L.A. e sono tutti fissati con la palestra. Hanno poca esperienza di vita e sono passionali. Casualmente si trovano invischiati in sette sataniche e serial killer. AHS: 1984 propone una storia che riflette in modo esaustivo il periodo storico degli anni Ottanta. Un'aderenza a quegli anni che gioca un ruolo importante nella storia. Quindi, complessivamente, lo show è un omaggio (un po' paraculo) all'intero decennio. A livello di costruzione dei personaggi principali, questa stagione si rivela carente poiché sono sfaccettati in modo grossolano. Personaggi piatti, monodimensionali, grotteschi e con poche motivazioni solide che giustifichino le loro azioni. Vero che AHS non ha mai brillato sotto questo aspetto, tuttavia, in questo nuovo ciclo di episodi manca il carisma, un personaggio ben caratterizzato che incarni l'essenza di questa storia. Si sente la mancanza dei due storici attori, Evan Peters e Sarah Paulson, seppur Emma Roberts e John Carroll Lynch offrano comunque (e più degli altri) una discreta performance. Altri difetti riscontrabili nelle sequenze d'azione, realizzate mediocremente e appaiono confusionarie, così come la dimensione del paranormale viene spinta eccessivamente, virando verso il trash e lo straniamento dello spettatore. Quindi stagione di buon intrattenimento, tuttavia non in grado di soddisfare appieno in quanto propone situazioni ed elementi mitologici (tipo le persone bloccate in un luogo una volta morte) già viste e assorbite. C'è poco di nuovo e nonostante il cambiamento temporale, non presenta nessuna novità dal punto di vista creativo. Si nota una certa mancanza di idee originali e ormai si capisce che lo show è quasi arrivato alla frutta. Essendo un macro universo narrativo che abbraccia multi-stagioni, tali scelte narrative possono essere "inglobate" in un'ottica allargata, ma come singola stagione, è al di sotto delle precedenti, anche dell'ottavaAHS: 1984 ripresenta situazioni già note e gioca sul fattore malinconia. Propone un modello strutturale narrativo che nelle ultime stagioni è rimasto praticamente uguale. Si percepisce una stanchezza e seppur sia divertente seguirla, AHS sembra aver perso (definitivamente, ma si spera di no) la retta via. Voto: 5,5

Legion (3a stagione)

Recensione pubblicata su Pietro Saba World il 27/08/2020 Qui - Arriva al termine una delle migliori serie degli ultimi anni in campo supereroi, anche se Legion, come omonimo personaggio dei fumetti Marvel Comics, eroe non è ma vorrebbe esserlo e diventarlo. Egli infatti non accetta la sua natura di antieroe e perciò ingaggia (in questa terza ed ultima stagione che chiude il suo "cammino dell'anti-eroe") una viaggiatrice nel tempo (Switch, interpretata dalla semi-esordiente Lauren Tsai) per permettergli di ritornare indietro nel tempo e uccidere l'ancestrale entità, Farouck, prima che contamini la sua essenza. In cerca di redenzione o forse no, composto da ben otto episodi, quest'ultimo ciclo di episodi mette così la parola fine alla storia di David Haller, il potentissimo mutante, figlio del futuro professore Charles Xavier. Lo fa delineando una nuova fase della multi-personalità di David (Dan Stevens folle è eccezionale), e offrendo una storyline (sempre ad opera di Noah Hawley, che si conferma un abile showrunner e un ottimo scrittore di prodotti seriali) che chiuda (in modo idoneo) il cerchio sulla sua storia. Volutamente psichedelica, sovversiva e confusionaria, una storia in linea con le precedenti stagioni, nuovamente atipica e non convenzionale. La storia riprende direttamente dalla conclusione della precedente stagione, ma introduce un elemento fondamentale che incrementa esponenzialmente l'alto tasso di bizzarria e di "psichedelica" alla storia: i viaggi nel tempo. In Legion è difficile comprendere fino in fondo il reale dall'irreale, il sogno dall'incubo, tocca allo spettatore saperlo distinguere attraverso segnali quasi impercettibili, quest'anno è stato paradossalmente più facile, ma sempre portentoso caleidoscopio di emozioni umane, che offrono spunti neurali efficaci in grado di intrattenere tutti i visionari alla ricerca di puro intrattenimento. Difatti, come già accaduto nel dipanarsi delle stagioni precedenti il sotto-testo psicanalitico e la ricerca della sperimentazione narrativa diventano occasione per immergere lo spettatore in un'esperienza sensoriale che sfrutta al meglio il comparto tecnico tra luci fluorescenti, distorsioni sonore e silenzi vuoti. Visivamente, la terza stagione si mantiene leggermente sotto alle precedenti stagioni, ma si conferma comunque più che buona. Alcuni episodi sono portentosi e hanno delle svolte narrative e visive imprevedibili e inaspettate (basta guardare solo il primo episodio di questa terza stagione). Scene oniriche che mischiano più generi e mostrano numerose contaminazioni tra generi differenti. Il bilancio finale, dunque, è positivo. E non perché Legion sia perfetta, o perché ogni singolo dettaglio sia stato aperto, sviluppato e chiuso in modo impeccabile. Ma perché in tutti questi tre anni ha provato a fare qualcosa di diverso all'interno del genere in cui era inserita, riuscendo in molti casi a creare genuino stupore, e arrivando a una chiusura anch'essa coraggiosa (e quindi sempre a rischio delusione) ma che è soprattutto vera e definitiva, compiuta. Legion era e resta una serie di nicchia, che forse non farà esattamente scuola. Ma per chi c'era, per chi ha vissuto tre anni dentro queste assurde menti mutanti, il viaggio è valso il prezzo del biglietto. Voto: 7+

GLOW (3a stagione)

Recensione pubblicata su Pietro Saba World il 27/08/2020 Qui - La seconda stagione di GLOW era terminata con il gruppo in partenza per l'hotel Fan-Tan di Las Vegas. Adesso le grandiose lottatrici del wrestling tornano più deboli ma al contempo più resistenti che mai. Gli sceneggiatori decidono di puntare tutto sulle fragilità dei personaggi della serie, che però si riveleranno dure da abbattere. Se la seconda stagione rimarcava la questione delle molestie sessuali, ora viene affrontata l'omofobia, tematica sempre più attuale, affrontata da una serie ambientata negli anni '80. Giunta alla terza stagione, ciò che GLOW porta ancora con sé è proprio il distaccarsi dalla banalità delle situazioni. I dieci episodi che compongono GLOW 3 riguardano le difficoltà che ogni personaggio è costretto ad affrontare. Nessuno è infatti esente da problematiche che renderanno ancora più difficile lo svolgimento dello show. Una stagione diversa dalle precedenti vista la minor leggerezza e simpatia con cui si vengono trattate le dinamiche della serie. La marcia è diversa, minore è la leggerezza e di simpatico è rimasto ben poco. GLOW 3 si fa più emotiva e drammatica rispetto alle stagioni precedenti. I finali degli episodi si concludono sempre con un primo piano (che sia frontale o più angolato) di uno dei personaggi, che in quel momento si trova il più delle volte in uno stato di felicità o difficoltà. Difficoltà che a sua volta va di pari passo con l'immaturità e l'inesperienza nell'affrontare le relazioni con i propri cari (in ogni caso se Alison Brie ci mette l'anima, Betty Gilpin il corpo). Il wrestling viene quindi messo in secondo piano, sovrastato dalle dinamiche personali: scelta condivisibile giacché GLOW, in fondo, si è da sempre basato sull'unione contro le disuguaglianze (ma per uno che ha deciso di vedere la serie proprio per il wrestling, un po' deludente è). Se però l'aspetto correlato allo show avesse tenuto la stessa leggerezza che ha contraddistinto le prime due stagioni, GLOW 3 sarebbe stato sicuramente più apprezzabile ed interessante. La terza stagione di GLOW fa un piccolo passo indietro rispetto alle precedenti, cambiando marcia rispetto al passato e mettendo più carne al fuoco, offrendo così uno show diverso da quello che abbiamo imparato a conoscere ed amare. GLOW chiude la sua terza stagione suggerendo un ritorno alle ambientazioni degli esordi. Resta da sperare che allontanarsi dalle paillettes luccicanti della città dei casinò smetta di abbagliare gli autori. Le gorgeous ladies ci sono ancora, aspettiamo di rivedere oltre loro anche GLOW, e il vero (falso) wrestling. Voto: 6,5

Westworld (3a stagione)

Recensione pubblicata su Pietro Saba World il 27/08/2020 Qui - Una terza stagione che conferma l'eccezionalità dal punto di vista tecnico (anche se manca una colonna sonora memorabile come quella delle scorse stagioni, fatta eccezione per una stupenda cover di Space Oddity), con pochi altri rivali nel mondo televisivo (complessivamente ottimi gli effetti visivi, ma si sa che HBO non bada al risparmio in tal senso, come visto anche nella un po' deludente serie His Dark Materials). In questa stagione è però venuta meno la struttura portante dello show (che muta e si sposta al di fuori dei parchi), lasciando l'impressione che i "nostri" androidi ormai abbiano poco da dire. Anche perché ora più che mai la serie mette al centro il tema del libero arbitrio, ma lo fa spostando lo sguardo dagli "host" agli umani, chiedendosi quanto sia giusto barattare la privacy e la libertà di scelta delle persone in nome di una maggiore sicurezza per tutti, trattare il mondo come un software in cui correggere ogni anomalia che ne mini il funzionamento. Temi certamente interessanti e per certi aspetti, come la gestione dei dati personali, molto contemporanei, ma mancano della profondità che aveva caratterizzato le stagioni precedenti, inclusa la (criticata, eccessivamente a parer mio) seconda. Comunque questa nuova stagione parte subito con dei ritmi molto serrati, anche per via di Dolores (sempre splendidamente interpretata da Evan Rachel Wood) e della sua crociata contro gli umani. La strada di Dolores però sarà costellata di vecchi e nuovi "amici", ognuno con il proprio tornaconto ma intenti a fermarla ad ogni costo (tra questi l'impassibile Serac, a capo di una società ancora più inquietante della Delos, tenacemente interpretato da Vincent Cassel). Ed è così che vengono abbandonate le atmosfere da spaghetti western e cappa e spada del passato, vengono abbracciate invece nuove tematiche orwelliane, non solo il controllo delle masse e il valore della libertà, anche il tenore dell'azione, che adesso abbraccia a tutto tondo quello dell'action sci-fi, quasi a trovarci di fronte ad una "scimmiottatura" (in senso buono) di Terminator. Infatti non che sia una brutta cosa, anzi, è proprio su questo aspetto che gran parte della serie (in cui comunque la riuscita degli episodi mantiene una qualità costante mediamente alta per una serie di questa portata) si regge, mettendo in scena quanto "annusato" con la fine della seconda stagione: lo scontro epocale (uno scontro d'impatto) fra Maeve e Dolores, ma in questo modo la serie non ha nulla di speciale rispetto a tanti altri prodotti simili. Il peccato più grande quindi, commesso in questa stagione 3, è stato sicuramente quello di rendere una serie straordinaria come Westworld qualcosa di normale, di lineare. Lineare perché gli autori Jonathan Nolan e Lisa Joy, dopo aver effettivamente calcato un po' troppo la mano con i "rompicapi" nella scorsa stagione, questa volta optano per qualcosa di più lineare. Il che non è un male, ma la serie privata della sua identità viene. Una serie che avrà una quarta stagione e delle premesse interessanti, dopo una terza che comunque si è difesa bene, ma voglio sperare che questa sia stata solo una fase di passaggio per arrivare a qualcosa di meglio. Voto: 6,5

lunedì 13 luglio 2020

The Outsider (Miniserie)

Recensione pubblicata su Pietro Saba World il 13/07/2020 Qui - Stephen King, con Richard Price, crea un prodotto avvincente. Suddivisa in dieci episodi, The outsider (miniserie distribuita da HBO e tratta dall'omonimo romanzo del Re) è una serie televisiva ricca di simboli e metafore che parla all'uomo e alla donna di oggi facendoci riflettere non sul senso della giustizia bensì sull'eterna dialettica tra ragione e intuito. La macchina da presa si muove abile in una piccola cittadina degli Stati Uniti, dove si consuma un efferato omicidio ai danni di Frankie Peterson, un ragazzino di undici anni. In un primo momento le prove sembrano inchiodare l'allenatore e tranquillo padre di famiglia, Terry Maitland (Jason Bateman), eppure c'è qualcosa di oscuro che sfugge all'occhio allenato del detective, Ralph Anderson (Ben Mendelsohn), già provato dalla morte del figlio. Le cose si complicano per la polizia (non si può dire altro per non fare spoiler) che è così costretta a contattare Holly Gibney (Cynthia Erivo), una strana investigatrice dal passato tormentato. Il razionale Ralph e l'intuitiva Holly indagheranno su questa forza misteriosa che annichilisce gli individui coinvolti e che, per sopravvivere si diffonde da persona a persona, proprio come un virus o come il panico, che è estremamente contagioso. Nell'arco delle 10 puntate di cui si compone forse non tutto funziona. Alcuni passaggi appaiono scontati ma sono tappe obbligate del racconto, giustificano l'evoluzione dell'indagine quanto quella dei personaggi (a tal proposito, cast ben equipaggiato, guidato dall'eclettico Ben Mendelsohn e tra gli altri Jason Bateman, che cura anche la regia dei primi due episodi). Manca forse una fotografia (anche se buona) più inquietante, avrebbe certamente aiutato, ma nel complesso The outsider è una buona serie tv/miniserie, che comunque verso il finale purtroppo perde un po' l'incisività e il ritmo delle prime puntate. Ve la consiglio? Non saprei, però se avete letto il libro magari potete farne a meno, ma diciamo che non è la serie tv che maledici dopo aver visto. Scorre bene e lascia (più o meno) soddisfatti. Voto: 6

Britannia (2a stagione)

Recensione pubblicata su Pietro Saba World il 13/07/2020 Qui - La prima stagione della serie Sky Original ha raccontato la vittoria dell'Impero Romano sulla civiltà dei Celti. La seconda, che andò in onda su Sky Atlantic sul finire dello scorso anno ed ora è disponibile su On demand, riparte due anni più tardi, a cavallo tra realtà, epica e finzione. È la storia che incontra la magia, l'epica che si manifesta, rivelando tra sé quel suo groviglio di realtà e fantasia. Britannia è la finzione scritta sulle pagine del tempo, dove, due millenni or sono, si sono dati battaglia Celti e Romani. Archiviato ogni legame con i fatti storici realmente accaduti, la serie ideata da Tom e Jez Butterworth, trova paradossalmente ed incredibilmente (giacché nella prima stagione era un difetto slegarsi quasi completamente dall'attinenza storica e non mi aveva convinto del tutto lo sviluppo narrativo conseguente) la propria identità con una narrazione al limite della follia, magica e in più momenti brutale. Ci vuole un po' affinché carburi, qualche aspetto difetta ancora (in altri lo si è migliorati), rimangono le perplessità, ma riesce comunque a divertire con un mix di situazioni quasi psichedeliche, come i titoli di testa sulle note della cover di Season of the Witch, teste mozzate, uccisioni, amori, sacrifici e intrighi politici. L'atmosfera mistica e un po' folle che contraddistingue i nuovi episodi della serie, è difatti la carta vincente di questo capitolo della storia proposta sul piccolo schermo. L'utilizzo della storia come semplice punto di partenza permette infatti alla serie di trovare la sua dimensione e, sulle note della trascinante colonna sonora, portare in scena l'eterna lotta per il potere e il tentativo di trovare se stessi e il proprio posto nel mondo in modo originale e persino divertente. Gli eccessi, narrativi e visivi, si inseriscono bene in un contesto quasi onirico e ricco d'azione che riesce a coinvolgere, sempre a patto di non fermarsi troppo a riflettere su quanto si sta vedendo, considerando l'elevato grado di follia che anima gli eventi. Britannia, sfruttando nel migliore dei modi il budget a propria disposizione (scenografie e fotografia nuovamente efficaci), usa a proprio favore la libertà creativa e la bravura del cast (in testa David Morrissey, poi ecco Mackenzie Crook, in un doppio ruolo, Nikolaj Lie Kaas e Eleanor Worthington CoxAnnabel Scholey e David Bradley, piccola parte per Samantha Colley) per dare vita a un mondo davvero incredibile che, tuttavia, intrattiene, non benissimo, ma bene, praticamente il giusto. Non migliore né peggiore della precedente, ma seconda stagione riuscita. Voto: 6,5

The Walking Dead (10a stagione/seconda parte)

Recensione pubblicata su Pietro Saba World il 13/07/2020 Qui - Paradossale come cosa, ma anche TWD soccombe alla pandemia (quella vera), e in seguito alle disposizioni governative (mondiali), farà attendere fino a data da destinarsi (si dice comunque che entro fine anno ciò accadrà) il pubblico per scoprire che ne sarà dei protagonisti. Sì perché la serie si ferma ad una puntata dal traguardo della decima stagione, e "regala" agli spettatori un finale transitorio (con una puntata, la 15, che sfortunatamente questo è). Non il massimo insomma, anche perché tutto ciò arriva dopo una seconda parte di stagione non propriamente esaltante (ci si aggiunga poi il fatto che le ultime quattro puntate vengano, per il pubblico italiano, interamente sottotitolate), e dopo una stagione (nel suo complesso) che ha soltanto accennato un miglioramento senza mai concretizzarlo realmente. In primis, siamo sempre lì, si ripropongono difatti le medesime dinamiche narrative ed alla fine, nonostante un cambio di "padrone", tutto è come prima, battaglia doveva essere e sicuramente sarà quando si riprenderà (sperando che un vincitore ci sarà definitivamente tra Sussurratori e Tutti i nostri). In secundis, si continua a "chiacchierare" troppo e ad approfondire inutilmente i personaggi (non bastasse una certa prevedibilità di fondo). Dalla prima parte (qui) poco è quindi cambiato, ed a parte qualche grandioso colpo di scena (essenzialmente due, il migliore è nella mazza, ops mani, del Negan di Jeffrey Dean Morgan, l'altro riguarda Rick, uno grosso comunque potrebbe presumibilmente ancora arrivare) ed una new entry parecchio interessante (che da brio ma che tuttavia poco c'entra), niente succede, niente migliora. E quando qualcosa finalmente stava per succedere, il blocco che non ti aspetti, e si arriva così al momentaneo season finale della decima stagione di TWD, che come detto, lascia a desiderare, perciò non facile esprimere un giudizio, ma certamente impensabile optare per una sufficienza. Per questa volta schiaffetto e rimandato a Settembre. Si spera. Voto: 5,5