venerdì 31 maggio 2019

House of cards (5a stagione)

Recensione pubblicata su Pietro Saba World il 27/09/2017 Qui - Avevamo lasciato così l'anno scorso gli Underwood e la Casa Bianca (qui la mia recensione), in mezzo ad una grave crisi e ad una elezione presidenziale piena di intoppi e gestioni non proprio pulite delle campagne tramite i social media. Quest'anno la serie riprende esattamente da quel punto, da quella dichiarazione (di terrore) mettendo al centro sempre di più Frank e Claire e le loro ambizioni spesso contrastanti. Giacché in questa nuova (5a) stagione di House of Cards, seppur con qualche alto e basso (con una linea temporale che più delle altre volte si allarga e si restringe, e con un ritmo abbastanza differente rispetto a quello a cui eravamo abituati), il Presidente (numerose sono anche quest'anno le ellissi raccontate direttamente agli spettatori) e la first lady affrontano varie crisi, le elezioni contro il repubblicano Conway, il furto di un camion con del materiale radioattivo, la crisi in Siria e i soliti intrighi dei democratici contro gli Underwood. Le vicende infatti, che non risentono comunque del ritmo frammentato, e che si svolgono tutte in soli cinque mesi di loro presidenza (tra Frank e Claire che assurdamente si passano l'incarico più volte), come vedremo più avanti, sono tante, importanti ed ovviamente eccezionali. I fatti si concatenano perfettamente e i colpi di scena non mancano di certo, ciò che più manca è però la plausibilità. House of Cards è un prodotto sopraffino dal punto di vista tecnico ed originale, ma le stagioni cominciano a far sentire il proprio peso. Il prodotto Netflix fatica a stupire e l'egocentrismo dei suoi protagonisti trova conferma anche in video dove non vi è più spazio per altri interpreti al di fuori della stanza ovale. Per cui compito decisamente difficile per gli sceneggiatori quello di dover dar vita ad una stagione che fosse come minimo all'altezza della quarta, conclusasi con un finale a dir poco agghiacciante. Saranno riusciti nell'impresa?

Mr. Robot (2a stagione)

Recensione pubblicata su Pietro Saba World il 20/09/2017 Qui - Dopo due Emmy e due Golden Globe lo show di USA NetworkMr. Robot, tenta di riconfermarsi tra le migliori serie degli ultimi anni. Ci riesce in parte, perché l'accoppiata Rami Malek e Sam Esmail purtroppo non riesce ad incantare come aveva fatto per l'ottima prima stagione (la mia recensione qui). La seconda stagione infatti, inizia certamente mantenendo le promesse della prima, ma per colpa di una narrazione (che troppo spesso si perde su un percorso a tratti auto-compiaciuto) che avrebbe potuto probabilmente essere sviluppata maggiormente e meglio, date le enormi potenzialità, delude abbastanza. Ai limiti della sufficienza si dimostra difatti non essere all'altezza delle aspettative. Certo, mistero, psicolabilità, machiavellici intrighi mentali, suspense e colpi di scena, ce ne sono a bizzeffe, ma esse non sempre convincono. Giacché nella seconda stagione, sicuramente più oscura e affascinante (dopotutto Elliot è lo stesso eroe non convenzionale di sempre), non avviene quello che si prospettava avvenisse. Il seguito dell'Apocalisse, questo il pubblico di Elliot aspettava da tempo, la naturale evoluzione dell'attacco hacker sferrato dalla Fsociety ai danni della Evil Corp (un nome che dice tutto). Ed è proprio questo che non ha avuto, con gran senso di frustrazione e delusione. Perché dopo una serie di scioccanti rivelazioni sul rapporto tra il protagonista, interpretato da uno spettacolare Rami Malek, e il più navigato Christian Slater che veste i panni del famigerato Mr. Robot (che si rivela essere il padre di Elliot, morto anni prima, che appare al ragazzo sotto forma di allucinazione), durante la prima entusiasmante stagione, di scioccante nella seconda è che ancora una volta sembra la multinazionale, responsabile di un disastro ambientale che ha causato la morte del padre e di altre centinaia di persone, uscirne indenni e più forte che mai, almeno fino a quando nella ormai confermata terza stagione, Elliot, superati i soliti (adesso stancanti) "problemi psichici" riuscirà finalmente a vincere anche la guerra e non solo la battaglia.

The Leftlovers (3a stagione)

Recensione pubblicata su Pietro Saba World il 13/09/2017 Qui - E alla fine giunse la fine. Ultimo episodio non solo della terza stagione ma anche della serie. The Leftovers termina infatti con un bellissimo ultimo episodio. Un ultimo episodio che, dopo una non personalmente straordinaria prima stagione e una leggermente deludente seconda stagione, qui la recensione, sintetizza molti motivi della sua grandezza (perché in ogni caso questa serie lo è comunque), dalla resa del dolore e dell'essere umani, dalla costruzione di personaggi profondi e iconici, dalla realizzazione di scene con dialoghi intensi, aiutati dalla bellissima musica, interpretati da attori e attrici davvero bravissimi. Damon Lindelof (noto soprattutto per essere stato lo showrunner di Lost) e Tom Perrotta (scrittore e co-produttore per la HBO dell'adattamento del suo romanzo) ci hanno difatti accompagnato per questi tre anni (su Sky Atlantic), regalandoci episodi intensi che ci hanno fatto commuovere, pensare, divertire, innervosire, interrogare. Dovevano scrivere ora il finale di questa lunga storia, iniziata con un mistero inspiegabile e conclusasi con una risposta dopotutto semplice (seppur di non facile interpretazione) a quella domanda che la scena finale della "premiere" di questa terza stagione aveva suscitato. Una risposta che comunque non chiarisce gli eventi che per tre lunghi anni ci hanno fatto perdere il senno. Chi si aspettava delle chiare risposte, sarà rimasto infatti e sicuramente deluso, ma d'altronde The Leftovers, come chiaramente era intuibile all'inizio, non è e non è mai stata una serie per gente che pretende risposte. Spesso è lo spettatore che sceglie la serie tv, ma The Leftovers fa un'opera diversa, è lui a scegliere lo spettatore. E lo sceglie appunto così, con episodi criptici e retorica a fiumi, con simbolismi religiosi e mistici che possono farti innamorare o farti odiare la vita e tutto ciò di cui è pregna (personalmente nessuno dei due ma va bene così).

Quantico (2a stagione)

Recensione pubblicata su Pietro Saba World il 06/09/2017 Qui - La prima stagione di Quanticoqui la prima parte e qui la seconda, mi aveva davvero sorpreso in positivo nonostante evidenti limiti, perché il metodo di regia e montaggio innovativo ed alcuni piccoli (anche ingegnosi) dettagli a cui si aggiungeva una buona dose di coinvolgimento ed azione, riusciva a sopperire a certi ridicoli e un po' forzati capovolgimenti. Avevo però molte riserve sulla resa complessiva del progetto, poiché dopo la prima sufficiente stagione e la conferma della seconda, speravo in un cambio di rotta importante ed una rivoluzione ideologica interessante, ed invece niente di tutto ciò. La seconda stagione di Quantico infatti, serie televisiva statunitense creata da Joshua Safran per il network ABC e andata in onda in due tronconi (da novembre a dicembre e da marzo a giugno), pur presentando le linee guida che avevano caratterizzato e convinto nella prima stagione (il ritmo delle scene alto e l'elevato tasso di adrenalina e mistero), che in questa seconda vengono ben marcate e rispettate in toto (anche troppo similmente), risultano adesso troppo esasperanti ed alquanto inutili. Giacché se nella prima, gli odiosi flashback ad ogni puntata, i dialoghi fin troppo lunghi seppur veloci e pungenti, le classiche relazioni sentimentali e i classici intrecci spionistici, si potevano accettare, nella seconda proprio no. Dato che praticamente è la stessa storia già vista, proprio nella stagione precedente.

Penny Dreadful (1a-2a-3a stagione)

Recensione pubblicata su Pietro Saba World il 08/08/2017 Qui - Avevo in mente di fare una recensione singola per ogni stagione, ma purtroppo per la grande delusione che essa mi ha trasmesso, dato che a metà della seconda stagione ho rischiato persino di lasciarla incompiuta, ho preferito una unica recensione. Giacché è inutile nasconderlo, ho visto Penny Dreadful, serie televisiva statunitense e britannica di genere horror creata ed interamente scritta da John Logan per la Showtime, solo per Lei, Eva Green, e chi sennò, ma è solo lei, a conti personalmente fatti, a salvarsi dalla bocciatura. Dopo un inizio abbastanza soddisfacente infatti la serie, per colpa di una narrazione lenta, noiosa e a volte ambigua ed estraniante, un'ambientazione discreta ma poco affascinante e intrigante, di alcuni (inconcludenti) buchi di sceneggiatura, di personaggi al contempo affascinanti ma inutili ed inefficaci per larga parte, si sfracella e resta indigesta, tanto che soprattutto la stagione finale (e la seconda parte della seconda, che paradossalmente è quella dei momenti più "terrorizzanti" e minimamente convincenti) l'ho vista a velocità raddoppiata, una cosa che fino ad ora non mi era mai successa. E non riesco a spiegarmi il perché, dopotutto le atmosfere horror, cupe e sanguinolenti, sono due cose che mi piacciono vedere e/o gustare, ma il tempo perso dietro a certe storie, certe insoddisfacenti sotto-trame, è stato davvero troppo da sopportare. A parte la trama principale e con essa l'attrice principale, niente di quello che ho visto oltre a quella, mi ha entusiasmato, appassionato o intrattenuto. Troppi discorsi, poca azione e troppe bizzarrie inutili, soprattutto se non adeguatamente supportate. D'altronde è anche il titolo bizzarro scelto per questa, comunque moderatamente invitante serie tv, che prende il nome dai Penny Dreadful, omonime pubblicazioni del XIX secolo, che intrecciavano, in una collana di libri, le origini di personaggi della letteratura horror come Victor FrankensteinDorian Gray e il Conte Dracula, alle prese con la loro alienazione mostruosa nella Londra vittoriana, a non convincere.

Genius: Einstein (Miniserie)

Recensione pubblicata su Pietro Saba World il 02/08/2017 Qui - Prodotta da Brian Grazer col contributo di Ron Howard (ancora una volta insieme dopo The Beatles: Eight Days a Week - The Touring Years), a sua volta ideatore del prodotto (è anche tra i produttori esecutivi) e regista parziale della serie, Genius, è la serie antologica di Discovery Channel dedicata alle grandi menti che hanno cambiato per sempre la storia. La prima stagione infatti, composta da 10 episodi, racconta di un personaggio che con il proprio genio ha influenzato la storia, in questo caso appunto Albert Einstein, il famoso fisico tedesco e una delle menti più geniali di tutti i tempi. Andata in onda su National Geographic Channel dall'11 Maggio in Italia e in contemporanea in 171 paesi del mondo, Genius: Einstein, basata e raccontata seguendo la narrazione del libro del 2007 di Walter IsaacsonEinstein: His Life and Universe, descrive difatti la vita di Albert Einstein (interpretato anche dal premio Oscar Geoffrey Rush) dall'ottenimento dell'insegnamento e del dottorato fino alla scoperta e alla pubblicazione della teoria della relatività. 10 episodi per esplorare il turbolento viaggio del fisico che sarebbe diventato un'icona, Einstein appunto, fieramente indipendente, innaturalmente brillante, eternamente curioso, che ha cambiato il nostro modo di vedere l'universo. Ma lui non era soltanto un uomo "difficile" da comprendere nella sua genialità, lo era anche nella sua umanità, il biopic infatti, dai suoi primi fallimenti nel mondo degli accademici, alla sua ricerca emozionante di amore e di connessione umana, dipinge un ritratto del vero Albert Einstein in tutta la sua complessità. Complesso com'è anche questo documentario, un incredibile documentario, un trattato sulle origini, sulle difficoltà e sulle vittorie di Einstein, alle prese con un sistema che non premia la stravaganza.

Outcast (2a stagione)

Recensione pubblicata su Pietro Saba World il 26/07/2017 Qui - Spesso quando vedo un horror raramente mi spavento, poiché è davvero difficile trovarne uno discretamente spaventoso (a parte i grandi classici), ma avevo cominciato a guardare la prima stagione di Outcast perché mi aveva incuriosito in quanto tratta/trattava di un fumetto che ha tra i suoi autori Robert Kirkman, uno dei creatori e produttore esecutivo di The Walking Dead. Purtroppo però la seconda stagione, terminata il 5 giugno (il 12 giugno in Italia su Fox), nuovamente non convince fino in fondo. Come avevo già precedentemente spiegato nella recensione della prima stagione (qui), per quanto essa avesse presentato degli elementi interessanti, aveva poco entusiasmato, e pochissimo spaventato (a parte il plot iniziale), per cui poco intrattenuto. La prima stagione di Outcast infatti, spesso lenta, a volte un po' sconclusionata, che si era premurata di svelare davvero poco di quelle che inizialmente erano state presentate come delle possessioni demoniache, tanto che neppure il season finale era riuscito a fare chiarezza o ad offrire allo spettatore qualche misera risposta, deluse le mie aspettative, anche se speravo in una seconda migliore. Ora non che non faccia di meglio, anzi, soprattutto nella sua parte centrale con tanta azione e scene impressionanti la seconda stagione qualcosa in più lo da e lo fa, ma anche questa volta la trama (fin dall'inizio debole) non riesce davvero a spiccare il volo tornando a pasticciarsi con fin troppi elementi, chiudendo con un finale confusionario. Giacché il primo episodio di questa stagione, che in ogni caso non ha creato moltissime aspettative, mettendo in mostra esattamente quegli stessi elementi che avevano reso la prima stagione poco incisiva e riportando i personaggi al punto di partenza, senza indicare la direzione che avrebbero potuto percorrere, proprio interessante ed originale non è.

1993 (Miniserie)

Recensione pubblicata su Pietro Saba World il 18/07/2017 Qui - Dopo il grande successo, soprattutto di pubblico, della prima stagione, quasi 10 episodi di riscaldamento nonostante il pathos nel ricreare le scene che hanno segnato l'inizio della fine della prima Repubblica, è tornato 1992 e lo fa cambiando cifra finale, trasformandosi quindi in quel 1993 che risultò essere l'anno cruciale del famoso processo "Tangentopoli", il secondo capitolo dell'ambizioso progetto di Sky (andato in onda su Sky Atlantic dal 16 maggio al 6 giugno 2017) nato da un'idea di Stefano Accorsi sulla fine della prima Repubblica e sulla nascita delle nuove forze politiche, una su tutte Forza Italia. La prima stagione, 1992, uscita nel 2015, ha messo la pulce nell'orecchio agli spettatori, introducendo i personaggi fittizi, calati nel contesto storico, da discreto romanzo storico, e dando il via alla trama, ma questo 1993 dopo una prima annata comunque poco convincente, riesce a migliorarsi, confermando solo il meglio accaduto in precedenza, riuscendo a conferire ai personaggi una sorta di karma interno, quasi come per ripagarli per quanto accaduto precedentemente, rendendo perciò 1993 una serie potente sia dal punto di vista dei temi trattati che da quello della narrazione, in futuro (tra un paio d'anni?) si arriverà a 1994, la resa dei conti e la nascita della seconda Repubblica, ovvero, la nascita del futuro. Con un notevole incremento della qualità tecnica e registica, il secondo capitolo infatti, nato per raccontare l'inchiesta Mani Pulite e molto altro, si fa più interessante ed avvincente. Certo, non era una sfida improponibile fare meglio del suo predecessore, ma la serie televisiva ha fatto tesoro di tutti i difetti presenti in 1992 e ha cercato di porvi rimedio. Ovviamente non siamo ai livelli di una produzione americana di prim'ordine (e sarebbe stata una richiesta impossibile da esaudire per gli addetti ai lavori di questa discreta produzione), ma la strada intrapresa sembra esser quella corretta per essere italiana.

The Blacklist: Redemption (1a stagione)

Recensione pubblicata su Pietro Saba World il 11/07/2017 Qui - Non è cominciata proprio con i migliori auspici o aspirazioni e non è finita (anzi, un po' lo si intuiva prima) come ci si aspettava The Blacklist: Redemption, lo spin-off della più celebre The Blacklist, dove il padrone incontrastato della dimora risponde al nome di Raymond Reddington, perché la serie della NBC ha deluso le mie aspettative. Colpa di un impianto narrativo non proprio originale, di un finale che lascia tutto in sospeso (perché speravano in una seconda stagione che invece non ci sarà) e che forse mai troverà soluzione ultima (anche se spero che questa trama venga chiusa nella serie principale), ma soprattutto il puntare sull'elemento meno personalmente interessante e simpatico (ovvero la ex spia Keen) è stato l'errore più grave. The Blacklist: Redemption difatti veleggia certamente su argomentazioni e stili simili, ma comunque molto (troppo) distanti da quelli della serie madre. Mentre The Blacklist può essere accostato decisamente ad un poliziesco, Redemption si dipana in una vera e propria spy story dove il ruolo di primi ballerini è affidato a Ryan Eggold (Tom Keen) e a Famke Janssen (Susan Scott "Scottie" Hargrave, nonché madre di Tom come rivelato da Red), non propriamente due personaggi iconici della serie. Io infatti la vedo perché c'è James Spader, qui senza è tutt'altra cosa, qualcosa di mediocre, prevedibile e addirittura dannoso. Perché Redemption, che come dalle parole del suo produttore John Eisendrath, va considerato un racconto a se stante, dedicato alla figura di Tom Keen e della sua disgraziata (si fa per dire) famiglia, per la sua inutilità ai fine del racconto principale ha rischiato di far perdere proseliti, e sicuramente per alcuni sarà così, comunque non io, come ben sapete non lascio spesso cose a metà, e considerando poi che la 4a stagione è quasi finita e ho tutta registrata, ugualmente vedrò. Ma questo è un'altro discorso, anche se Redemption viaggia più o meno sulla stessa linea temporale di The Blacklist, dato che si lega in particolare agli eventi della fine della terza stagione (qui la mia recensione), quando la temibile stratega Susan "Scottie" Hargrave entra in scena.

Taboo (1a stagione)

Recensione pubblicata su Pietro Saba World il 05/07/2017 Qui - Una storia ricca d'intrighi e doppi giochi, una città ricca e fiorente, ma anche corrotta e ripugnante, un protagonista oscuro e violento, una venatura soprannaturale e storica, tutto questo è Taboo, la serie con Tom Hardy marchiata BBC e che vanta Ridley Scott come produttore. Serie che non avevo propriamente intenzione di recuperare presto, ma grazie a Sky Atlantic, che l'ha mandata in onda dal 21 Aprile scorso, l'ho potuta finalmente vedere e il mio giudizio (nonostante alcune non lusinghiere recensioni) non può che essere positivo, perché Taboo, composta da 8 episodi, prodotta da Tom Hardy, oltre che interpretata da egli stesso, da suo padre Chips Hardy e dal grande regista, scritta e sviluppata da Steven Knight, regista di Locke, è una serie davvero affascinante. Come affascinante lo è senz'altro l'Inghilterra ottocentesca, poiché pochi periodi storici hanno visto protagonisti paesi in cui si sono trovate a convivere rivoluzioni industriali, stagioni di colonialismo sfrenato, trionfi economici e culturali. Ed è appunto in questa Inghilterra che è ambientata la serie, siamo infatti nel 1814 quando, James Keziah Delaney torna a Londra per riscuotere l'eredità del padre, morto in strane circostanze. Il suo ritorno dall'Africa dopo molti anni però, sconvolge l'intera città, poiché tutti lo davano per morto, in più sulla sua persona girano voci tanto inquietanti quanto assurde (cannibalismo, voodoo, incesto, omicidi) che non tarderanno in ogni caso a trovare conferme. Giacché la sua presenza è scomoda a molti, dalla sorella che pensava di essere finalmente libera, al cognato borioso e incompetente. Il suo unico obbiettivo difatti è generare il caos, distruggere, vendicare. Inizia così per Delaney il suo peregrinare avanti e indietro per una Londra agghiacciante popolata da grotteschi e disgustosi nobili da un lato e da orrendi e violentissimi derelitti dall'altro, minacciando, comprando e ricattando chiunque gli si pari davanti. Ma soprattutto dovrà affrontare e presumibilmente sbeffeggiare la potente Compagnia Britannica delle Indie Orientali, che per il possedimento della Baia di Nootka, un piccolo pezzo di terra tra gli Stati Uniti e il Canada, fondamentale per i commerci in occidente, farà davvero di tutto. Nel frattempo però, anche la Corona darà filo da torcere a tutti.

Salem (3a stagione)

Recensione pubblicata su Pietro Saba World il 27/06/2017 Qui - Lo scorso lunedì 8 maggio è andato in onda su Fox il decimo e ultimo episodio della terza e ultima stagione di Salem (una delle più intriganti e belle serie horror degli ultimi anni), io come sempre in ritardo, ma ciò non mi ha impedito di assistere a un evento raro, ovvero la degna chiusura di una serie, cosa che non capita proprio tutti i giorni. La serie infatti (trasmessa e prodotta dal network americano WNG), come le migliori saghe e come le migliori serie dovrebbero sempre fare, si conclude col terzo capitolo e lo fa tirando le somme di tutti i cicli narrativi iniziati, senza tralasciare nessun personaggio. Una vera fine dunque, che però grazie agli autori B. Braga e A. Simon (che probabilmente sapevano già della sua cancellazione ma volevano comunque concludere il tutto nel modo giusto) non ha deluso le aspettative, giacché la qualità del prodotto non è mai venuta meno e si è conservata intatta fino all'ultimo fotogramma, tanto da poter affermare che, imposta o no, questa conclusione lunga dieci puntate è stata capace di onorare la storia e l'affetto dei fan. Perché fin dalla prima stagione Salem, che si è dimostrata sempre e in ogni caso una serie capace di sorprendere, soprattutto dalla sua metà stagione in poi (dedicandosi giustamente a delle prime puntate che servissero più da semina per il resto della stagione), ha sempre offerto un più che discreto spettacolo orrorifico. A tal proposito la terza stagione si apre con i soliti alti presupposti, con una delle migliori season premiere di questa stagione probabilmente, dove a dominare sono le atmosfere cupe e le affascinanti suggestioni (che fanno di Salem una delle migliori del genere ultimamente, superando di gran lunga serie quali Costantine, AHS, TWDThe Strain e Outcast, soprattutto nella qualità visiva di sangue, mostri e disgustose creature, non tanto nella qualità di scrittura, narrativa o paura, giacché The Exorcist o Ash vs Evil Dead è ben altra cosa di meglio). In ogni caso, anche in questa conclusiva stagione, tutto è sempre più curato nei dettagli, dai costumi alle scenografie, passando per le colonne sonore e la fotografia scurissima.

Fortitude (2a stagione)

Recensione pubblicata su Pietro Saba World il 21/06/2017 Qui - Dopo ben due anni di attesa è tornata Fortitude, la serie televisiva britannica (venduta in 170 paesi tra cui gli Stati Uniti e vincitrice di diversi premi internazionali) che, incentrata sull'investigazione di un omicidio in una fittizia cittadina della regione artica, aveva appassionato milioni di spettatori. Purtroppo però il suo tanto atteso ritorno è stato in larga parte disatteso, probabilmente illusorio. La serie infatti, creata da Simon Donald e tornata in onda il 27 gennaio, per la sua seconda stagione, in contemporanea in cinque paesi, Regno Unito, Germania, Irlanda, Austria e Italia su Sky Atlantic, ambientata nuovamente nel Circolo Polare Artico, girata in Islanda e nel Regno Unito e diventando la produzione inglese più costosa della storia della tv, con un budget di ben 25 milioni di sterline, vanifica tutto quello che di bello era stato proposto allo spettatore. Poiché se il primo capitolo di Fortitude (visto prima che aprissi il blog), grazie anche alla presenza illustre di Stanley Tucci ed una trama davvero criptica e avvolta in un telo oscuro, era stata avvincente e trascinante, il secondo atto cambia decisamente registro, abbandonando un po' (troppo) i misteri terreni del primo copione e tuffandosi (a piedi disuniti) in quello che in apparenza sembrava essere legato al sovrannaturale, senza però riuscire ad appassionare.

Twin Peaks (1a-2a stagione)

Recensione pubblicata su Pietro Saba World il 14/06/2017 Qui - Con le serie tv ho sempre avuto dei piccoli problemi, solo negli ultimi 10 anni qualcosa è cambiato, perché prima le suddette serie, che prima venivano comunemente chiamati telefilm, raramente avevano una "normale" programmazione, e quindi io non credo di aver mai visto tutte le puntate di qualsiasi telefilm girava in televisione prima degli Anni 2000 e poco dopo, ora con internet e le pay-tv il problema non c'è più, ma per colpa di tanti fattori (come aspettare con ansia la settimana) e poiché ero davvero piccolo, ho probabilmente dimenticato di vedere, oltre ad X-Files, di cui ho provato a cominciare dalla prima stagione che ho visto ma non ho terminato (colpa anche della 10a stagione che ha svelato tanti particolari), la serie più importante di tutte, ovvero Twin Peaks, la serie capolavoro di un regista che ammiro, David Lynch (con la sua indistinguibile mente onirica e visionaria), molti sono infatti le "citazioni" al suo stile che ravvedo spesso, dato che anche ultimamente ho trovato qualcosa di lui in Legion e La Isla Minima, ma paradossalmente il suo miglior lavoro (insieme a Mark Frost) non l'avevo ancora visto. Ora con il ritorno tanto atteso della terza stagione di questa serie che fece (e fa ancora) letteralmente impazzire milioni di telespettatori in tutto il mondo, e grazie al grande amore per questa serie del nostro Mozzino, ho finalmente recuperato e visto, tutto quello che c'era da vedere di questa incredibile serie (perciò tenetevi forte, sarà un lungo post). Serie che in un rivoluzionario mix di generi fra soap opera, horror, noir e poliziesco, rivoluzionò il genere e il modo di fare televisione. Ammetto che prima non ci credevo, ma dopo averla vista, posso tranquillamente affermare che Twin Peaks lo fu e lo è davvero (anche se a distanza di anni) l'emblema di un nuovo modo di fare televisione, caratterizzato da una cura nella trama, nella caratterizzazione dei personaggi e nella regia che prima di allora non era mai nemmeno stata presa in considerazione. Perché quello che veniva trasmesso era ed è un prodotto televisivo con una trama vera, corposa, senza episodi stand-alone o filler, inoltre, il surrealismo e la costante sensazione di "quiete prima della tempesta" rende e rendeva Twin Peaks radicalmente differente non solo rispetto a quanto prodotto dalla televisione fino ad allora, ma anche rispetto a qualunque altra serie avverrà dopo.

Billions (2a stagione)

Recensione pubblicata su Pietro Saba World il 08/06/2017 Qui - Ci eravamo lasciati con un finale di prima stagione in cui il procuratore distrettuale Chuck Rhoades (Paul Giamatti) rimasto con le pive nel sacco dinanzi all'impunito ed impenitente miliardario Bobby Axelrod (Damian Lewis), vedeva sgretolarsi tutto il mondo sotto i piedi, il suo matrimonio veniva messo a dura prova da un nemico che non lesinava nulla per portare dalla propria parte la contesa. Un finale che lasciava quindi presagire un seguito nel quale la lotta sarebbe passata ad un livello successivo, senza fare ostaggi e non lesinando colpi bassi ed inganni. E così è stato, poiché se la prima stagione di Billions (serie televisiva del 2016 creata da Brian KoppelmanDavid Levien e Andrew Ross Sorkin di cui avevo già ampiamente scritto in occasione della prima eccezionale stagione, che trovate qui), l'ennesimo successo della casa produttiva Showtime, mi aveva convinto a far entrare questa serie tra le migliori serie del 2016, questa seconda stagione (andata in onda qui in Italia su Sky Atlantic) non fa altro che confermarsi un ottimo seguito, addirittura superiore in scrittura e complessità alla prima stagione della serie. Gli showrunner hanno infatti utilizzato sapientemente tutta la prima annata dello show per preparare lo spettatore a quello che avrebbe visto in questa seconda stagione, che è un vero e proprio scontro aperto tra due titani, Bobby Axelroad e Chuck Rhoades, interpretati magistralmente da Lewis e Giamatti, rispettivamente. Quei due, sono mostri di recitazione e questo era già assodato da un anno ormai, ma in questo secondo anno questa impressione non fa altro che solidificarsi nella mente dello spettatore e confermare che sia stato una scelta giusta affidare questi ruoli a questi due grandi interpreti. Gli sguardi, le sottigliezze, gli attacchi personali e legali, tutto riesce a trasparire come reale e vibrante sulle facce di questi due attori, che se l'anno scorso hanno avuto l'arduo compito di reggere buona parte del concept da soli quest'anno sono stati aiutati da un cast di supporto che ha finalmente affilato le unghie e si è affiatato sempre di più.

24: Legacy (1a stagione)

Recensione pubblicata su Pietro Saba World il 30/05/2017 Qui - Trasmessa da Fox dal 2 marzo 2017 e conclusa solo poche settimane fa, 24: Legacy, ha provato a tornare ai fasti di un tempo, c'è riuscito, ma solo sufficientemente, perché questa serie, ovviamente spin-off (o meglio revival, ponendosi a tratti come diretto seguito della serie principale anche se con diversi personaggi) dell'originale 24 con protagonista Kiefer Sutherland (tornato comunque in veste di executive producer), non è riuscita a ritagliarsi una propria personalità rispetto alla serie madre, di cui segue (fin troppo) fedelmente le orme, la suspense c'è ancora, ma senza Jack Bauer non è la stessa cosa. Poiché la serie, creata da Manny Coto e Evan Katz, anche se comunque solo in parte penalizzata da questa grande assenza, pur mantenendo tutte le caratteristiche vincenti del prototipo, ne riprende anche i principali difetti legati ad una scrittura seriale ripetitiva. Il risultato è quindi divertente ma leggermente sottotono, paradossalmente più efficace per i neofiti che per i fan storici dello show. Show che infatti è stato puntualmente cancellato perché non è riuscito soprattutto a reinventarsi in modo radicale. Dato che come detto niente è cambiato, stesso format, stessa "medesima" storia ma con un risultato finale leggermente differente in negativo. Poiché se al tempo in cui uscì, nel 2001, 24 fu una novità epocale, l'idea infatti di uno show in tempo reale, 24 episodi per altrettante ore di una stessa giornata (spot pubblicitari esclusi), era rivoluzionaria, ora così non è più. Per cui una domanda viene spontanea, era possibile riesumare il format di una serie che, dopo otto stagioni, aveva mostrato un'evidente parabola discendente? Soprattutto, l'assenza di Jack Bauer, il cui carisma ha tenuto in piedi uno show più volte sull'orlo della chiusura negli ultimi anni, era necessaria? Forse sì e forse no, ma l'azzardo, dopo il comunque scontato finale e a conti fatti, non è bastato a risollevarlo.

Constantine (1a stagione)

Recensione pubblicata su Pietro Saba World il 24/05/2017 Qui - Più o meno l'anno scorso in occasione della messa in onda della quarta stagione di Arrow e la seconda di Flash, un'altra serie a prima vista interessante durante la pubblicità veniva pubblicizzata e dopo aver visto il protagonista in una puntata proprio della quarta stagione dell'arciere verde, avevo deciso di provare a recuperarla, ci sono adesso riuscito, ma la grande attesa e il risultato finale non è stato del tutto soddisfacente come invece mi aspettavo. Perché dopo il disastroso Constantine (anche se sufficientemente visibile), film diretto Francis Lawrence nel 2005 con protagonista Keanu Reeves, le avventure dell'esorcista maledetto John Constantine (che gira per gli Stati Uniti con l'intento di contrastare l'Oscurità che dilaga nel mondo in maniera sempre maggiore), che sembravano essere state abbandonate fino a quando la Nbc annunciò la serie tv, affidandone la scrittura a Daniel Cerone (Dexter e The Blacklist) e la regia a Neil Marshall (uno dei produttori di Timeless, regista di Doomsday: Il giorno del giudizio, della puntata 1x03 di Westworld nonché facente parte della The October Society e del loro primo film Tales of Halloween), c'era la possibilità che potesse rimediare (almeno per i fan del famoso fumetto a cui la serie si ispira, ovvero Hellblazer) allo smacco cinematografico, e invece poca cosa davvero, anche se alquanto intrigante e interessante. L'episodio pilota però non ha aiutato di certo a partire con il piede giusto. Una scrittura di basso livello, quasi da compito a casa, e una premessa di partenza con la frase abusata "un'antico male si risveglia" hanno fatto subito storcere il naso di fronte a questo nuovo Constantine.

Sleepy Hollow (4a stagione)

Recensione pubblicata su Pietro Saba World il 16/05/2017 Qui - Che Sleepy Hollow fosse in alto mare lo si era visto già nella scorsa stagione, la terza dello show Fox (supernatural drama horror ed action), in cui avevo espresso più di un dubbio, nonostante mi fosse sufficientemente piaciuta come dimostra la mia recensione di un anno fa, qui. In più dopo le vicende, dal sapore auto-conclusivo, del season finale, le probabilità che la serie fosse riconfermata erano più che scarse. Con sorpresa di molti però (anche la mia), Sleepy Hollow è stata, poco dopo, confermata per una quarta stagione. Una decisione che ha stupito non poco, sembra quasi infatti che i vertici della Fox abbiano preso la faccenda come usa sfida personale, ma lo show, dopo una buona prima stagione ha avuto costanti cali di ascolti e contenuti, culminando con la conclusione della scorsa stagione in cui la co-protagonista della serie, Nicole Beharie, che interpretava il personaggio di Abbie Mills, muore eroicamente per chiudere il vaso di Pandora e salvare il suo amico Ichabod Crane (Tom Mison). Una morte che ha posto un problema di non poca importanza e forse una sfida che gli autori hanno voluto accettare per vedere se, con una nuova ambientazione e nuovi personaggi, sarebbe stato possibile salvare lo show. Purtroppo nonostante i buoni intenti e nuove soluzioni, non c'è stato scampo, è notizia di giorni infatti della cancellazione dello show. Show che ovviamente, con la nuova stagione e la prima puntata, pone subito le basi su drastici cambiamenti. Anzitutto, come anticipato dal finale di stagione, Ichabod Crane viene portato a Washington dove "c’è bisogno di lui". Prelevato da una segreta organizzazione, il protagonista deve affrontare un demone che minaccia la città. Qui fa conoscenza dell'Agente Diana Thomas (Janina Gavankar), la nuova co-protagonista. Con Diana, vengono introdotti anche nuovi personaggi, Jake Wells (Jerry MacKinnon) e Alex Norwood (la bella Rachel Melvin), curatori dell'Agenzia 355 che si occupa di forze sovrannaturali che minano la sicurezza nazionale. Viene introdotto anche un misterioso villain di nome Dreyfuss e la figlia decenne di Diana Thomas, Molly (Oona Yaffe, ex MasterChef, si avete capito bene), stranamente legata ad Ichabod. I riferimenti col passato poi non mancano, c'è anche lei, Jenny Mills, sorella di Abbie, l'unico personaggio che accompagna Ichabod Crane dalle prime stagioni.

Legion (1a stagione)

Recensione pubblicata su Pietro Saba World il 10/05/2017 Qui - Solo poche settimane fa, si è conclusa su Fox, la prima, mirabolante stagione, della grande sorpresa targata Bryan Singer e Marvel Television, ovvero Legion, che per quanto potrebbe sembrare non è affatto l'ennesima serie action sui supereroi, perché devo ammettere di non aver mai visto nessuna serie sui supereroi simile a questa. Poiché (dopo alcuni giorni da quanto ho finito di vedere ed altri per venirne a capo) non mi viene in mente nulla nel panorama delle serie tv che assomigli anche solo lontanamente a Legion, probabilmente quelle di Netflix (che comunque non ho visto nemmeno una), forse Westworld per il suo essere "cerebrale", ma non ne sono del tutto sicuro, dato che questo è senza dubbio un prodotto televisivo nuovo, e non solo perché è una serie sugli X-Men (che in tv ancora mancavano, anche se come gli onesti produttori hanno subito dichiarato non ci sono connessioni né con il fumetto, né con l'universo filmico dei mutanti Marvel, dato che la vicenda è ambientata in un universo parallelo dove non ci sono gli X-Men, dove al contrario c'è un'America ancora poco consapevole della presenza dei mutanti), ma anche perché ci regala un modo assolutamente anti convenzionale di approccio a questo mondo, niente a che vedere con i film della 20th Century Fox. Basta uno sguardo al primo episodio e all'incredibile pilot, per rendersene conto. Poiché né a livello registico, né a livello di sceneggiatura, né a livello di cast, non troppo blasonato ma comunque azzeccato e preciso, può essere comparato a prodotti simili, di questo potete fidarvi. Invece non potrete fidarvi di ciò che vedrete, perché quello che vedrete potrebbe non essere reale. Di reale c'è solo la qualità che troverete ad ogni nuovo episodio, di quella c'è da fidarsi eccome.

Timeless (1a stagione)

Recensione pubblicata su Pietro Saba World il 04/05/2017 Qui - Da estimatore della fantascienza, del fantasy e in generale di tutto ciò che è "altro" (come d'altronde molte volte avete visto e letto) rispetto alle classiche (comunque eccezionali) serie procedural-crime, quando vengo a sapere di una nuova serie potenzialmente immaginifica mi esalto un po'. Certo, negli anni e con l'esperienza abbiamo noi tutti nonché io anche fatto il callo alle possibili fregature, e così sappiamo che se un prodotto di questo tipo arriva dalla tv "generalista" americana, il rischio di polpettone insipido è sempre dietro l'angolo (a parte rare eccezioni, pochissime a dir la verità). D'altronde la fantascienza, in generale, è un brutto cliente (i viaggi nel tempo poi, tematica molto affascinante in ambito fantascientifico, anche di più), se la fai come si deve, per venire incontro alle esigenze dei fan di lungo corso, puoi costruirti una base di fan appassionata e leale, allo stesso tempo, quella stessa fantascienza "come si deve" rischia di essere troppo "stretta" per la tv generalista, che ha bisogno di rivolgersi a una platea più ampia e di gusti più variegati. Per questo trovare un equilibrio è sempre difficile, ed è un attimo scivolare nei flop alla Terra Nova o Minority Report di casa Fox (la stessa che ha trasmesso questo). Dalla straordinaria trilogia di Ritorno al Futuro in avanti questa tematica (dei viaggi del tempo ovviamente) è stata infatti riutilizzata innumerevoli volte, ma vediamo in questo caso com'è andata. Poiché con Timeless, NBC tentando un nuovo giro di roulette, un nuovo modo di volgere alla fantascienza, un po' fa bene e un po' fa male.

mercoledì 29 maggio 2019

The Walking Dead (7a stagione/seconda parte)

Recensione pubblicata su Pietro Saba World il 27/04/2017 Qui - Dopo un'attesa non propriamente estenuante e una prima abbastanza inconcludente (qui), ho finalmente completato, seppur in leggero ritardo come sempre mi capita, la settima stagione (con le restanti otto puntate) di The Walking Dead, la serie campione d'ascolti, che ancora una volta mi lascia leggermente perplesso ed annoiato. Questo nonostante mi è sempre piaciuta, e continua a farlo, soprattutto dopo l'introduzione di un villain di tutto rispetto come Negan, ma non solo la settima stagione conferma ed accentua le debolezze generali della stagione e della serie, ormai in discesa (sia negli ascolti che nei risultati), ma sfrutta in modo abbastanza maldestro proprio il potenziale legato all'esordio vero e proprio di Negan, che mi aveva sì dato un gran gusto, ma dopo un po' ha davvero stancato, dato che questa seconda parte mi ha abbastanza annoiato ed indispettito. Soprattutto l'estenuante procedura di preparazione, l'introduzione di altri personaggi e altri gruppi, è quello che ho trovato in generale piuttosto irritanti. In più tempi inutilmente dilatati e poca azione zombie davvero memorabile attraversano un ciclo di episodi che ha comunque il pregio di porre le basi, sulla carta, per un nuovo corso narrativo, diverso da quanto visto finora, ma l'incipit alla guerra lanciato a fine stagione non sembra tanto allettante, soprattutto se sarà solo quello l'unico focus dell'ottava stagione. Anche se a dire il vero è quello che aspettavo, però riuscirà a mantenere una promessa simile senza "diluire" troppo? Si vedrà, intanto vediamo cosa è successo nella seconda parte della settima stagione che si concentra soprattutto nell'ultima puntata, dato che nelle restanti 7 praticamente non succede niente di davvero interessante se non come detto l'estenuante procedura di preparazione alla guerra, che finalmente viene dichiarata apertamente.

Vikings (3a stagione)

Recensione pubblicata su Pietro Saba World il 19/04/2017 Qui - Dopo solo poche settimane eccoci di nuovo insieme per la terza straordinaria stagione di Vikings, perché l'attesa e la voglia di vederla era alta, dato che grazie a lei ho imparato a non temere i vichinghi e a godermi una delle più interessanti serie viste ultimamente. Interessanti, non belle, perché magari qualcosa nell'intreccio (come anche detto in occasione delle precedenti recensioni, qui la seconda e qui la prima) potremo lasciarlo per strada, perché i caratteri spesso sono troppo rigidi, perché alcune svolte sono troppo rapide e altre semplicemente non portano a nulla. Eppure Vikings che torna a raccontarci una vicenda di conquista tra epica, mitologia e storia, rimane e rimarrà eccezionale. E proprio questa terza, è stata la stagione più grande, più ambiziosa e più intensa della serie. Da una simile altezza qualche caduta è inevitabile, ma la serie di History Channel riesce a sorprendere nuovamente in più di un momento. La terza stagione di Vikings infatti può considerarsi la consacrazione di una serie che si è saputa evolvere e maturare grazie a due elementi. Da una parte è ormai una certezza di qualità la scrittura (alquanto shakespeariana) di un talento nato delle cronache storiche, quella di Michael Hirst (Elizabeth, The Tudors), ma è evidente l'impronta di History Channel, che da anni si è inserita con furbizia sul mercato, producendo ultimamente documentari che avessero sia una validità accademica che un forte senso dello spettacolo, e così è stato.

Scream Queens (2a stagione)

Recensione pubblicata su Pietro Saba World il 12/04/2017 Qui - Giusto pochi giorni fa è calato il sipario anche sul secondo (e forse ultimo) anno di Scream Queens, l'esperimento televisivo di Ryan Murphy e Brad Falchuk che mescola un genere, l'horror-splatter, a personaggi e situazioni comiche, dissacranti, da inserire nella miglior tradizione "trash" della storia del piccolo schermo. Marchio di fabbrica dei suoi artefici, questo prendersi poco sul serio ha avuto fin dalla prima (eccezionale) stagione (la recensione qui) un effetto destabilizzante e al tempo stesso contagioso. Purtroppo però le disavventure delle tre improbabili eroine in rosa, le spietate e alla moda Chanel #1, #3 e #5 raccontate attraverso il linguaggio giovanile tipico del periodo in cui viviamo e una leggerezza di fondo che aiutava a sopportare le gravi falle di sceneggiatura, che resero Scream Queens un prodotto complessivamente piacevole, perfetta combinazione di divertimento e disimpegno che difficilmente trova paragoni simili in tv (o almeno, non con la stessa irriverenza e spiazzante sincerità), non ha trovato seguito in questa seconda, dato che nonostante le buone intenzioni di Ryan Murphy nell'unire nuovamente l'horror con il demenziale, lo show di Fox che aveva brillato nel corso della prima stagione perché si era presentata come la novità della stagione, nella seconda ha fallito perché ha ripresentato lo stesso schema. In più l'ironia al limite dell'assurdo che ci aveva fatto apprezzare la prima stagione è diventata noia quasi insostenibile nella seconda, la sceneggiatura di Scream Queens 2 infatti è clamorosamente una volontaria ripetizione di quella (certamente passabile da questo punto di vista) della prima stagione. I meccanismi narrativi sono difatti gli stessi della prima, un assassino senza scrupoli vuole vendicarsi di qualcosa successo anni prima che ha coinvolto un genitore (dalla madre si è passati al padre), indossa un costume elaborato (anche se l'unica differenza sembra essere il colore) e uccide in modi orribili le sue vittime. Improvvisamente si scopre che di killer ce n'è più di uno. Insomma, nessuna novità.

Agents of S.H.I.E.L.D. (3a stagione)

Recensione pubblicata su Pietro Saba World il 07/04/2017 Qui - Dopo due stagioni che a questo punto potrei ora e adesso definire come di presentazione, la serie tv Marvel's Agents of SHIELD, con la terza stagione, inizia finalmente a partire davvero, e si eleva rispetto alle precedenti (comunque discrete), presentando sì dei toni ben diversi (e più interessanti), ma nel contesto non perfetta dato la presenza di alcune puntate lente e punti secondo me poco trattati, anche se m'è piaciuta tanto. Ad altri probabilmente no, dato che quando si parla di Agents of S.H.I.E.L.D. (che ritornano in azione, pronti ad affrontare non solo l'HYDRA ma anche gli Inumani, con a capo il malvagio Hive), non ci sono mezze misure, o la si ama o la si odia. Sicuramente, ed ovviamente in questi casi, la verità sta nel mezzo, perché di certo non è la miglior serie tratta da comics in circolazione, ma nemmeno la peggiore. E questa terza stagione conclusasi tempo fa ma vista nell'ultimo mese, si è confermata di ottima fattura, sebbene (come detto) con più di qualche difetto rispetto alla precedente. Una cosa però è certa, la Marvel sta indirizzando lo show verso una nuova direzione e, sebbene qualche battutina non manca mai (poiché tipici del MCU), il tono sta diventando sempre più oscuro e drammatico, quasi come mi pare di capire (poiché ancora da vedere) quelle targate Netflix. La serie sembra aver subito insomma un'evoluzione chiara e determinata, il che fa presagire (almeno sulla carta) ottime cose per il futuro. Ma di scoprire se ciò sarà vero scopriamo insieme se questa stagione è effettivamente promossa oppure no.

Victoria (1a stagione)

Recensione pubblicata su Pietro Saba World il 04/04/2017 Qui - Dopo aver tenuto incollati agli schermi di ITV (la stessa rete di Downton Abbey) oltre 7 milioni e mezzo di inglesi in media, è arrivata in Italia in prima tv assoluta su laeffe (Sky canale 139) Victoria, la serie tv basata sui diari personali della leggendaria regina, che è andata in onda da venerdì 3 marzo per quattro settimane. Creata da Daisy Goodwin (produttrice televisiva e scrittrice), alla sua prima serie tv dopo diversi programmi di intrattenimento, e nonostante non sia quasi per niente (la serie intendo) nelle mie corde, Victoria ha abbastanza sorpreso anche me, perché quella che sarebbe potuta essere un polpettone, invece non lo è, anzi, se la viaggia che è un piacere. La serie infatti, che ha come protagonista Jenna Coleman, Clara di Doctor Who, che racconta i primi anni di regno, più o meno dal 1837 al 1840, della Regina Vittoria, la seconda più longeva regnante inglese, non annoia mai, affascina e conquista, grazie soprattutto ai personaggi e agli interpreti. Musiche, costumi e riprese poi sono quasi iconiche. Inoltre sia la canzone che fa da sottofondo all'incoronazione (davvero bella) e sia gli abiti indossati dal cast sono davvero degni di una corte reale. Infine la serie (dove si distingue inoltre la colonna sonora, a cura del premio Bafta Martin Phipps), girata per la maggior parte nello Yorkshire in location da fiaba (Castle Howard per Kensington Palace, Harewood House per Buckingham Palace, Carlton Towers per il Castello di Windsor, Beverley Minster per l'Abbazia di Westminster) oltre a queste sontuose ambientazioni, affascinanti costumi, vanta soprattutto un cast d'eccezione, fra cui spicca ovviamente la protagonista Jenna Coleman, capace di trasmettere tutte le sfumature del carattere di una donna unica ed eccezionale.

Vikings (2a stagione)

Recensione pubblicata su Pietro Saba World il 30/03/2017 Qui - Con ben sapete, o forse no, da febbraio ho cominciato a vedere una serie tanto attesa, uno dei tanti recuperi che quest'anno spero di fare, dato che prima di vedere la terza stagione di Twin Peaks urge un recupero, come quello entro fine anno di Penny Dreadful e Banshee in primis (gli altri dipende), per cui dopo la sorprendente ed eccezionale prima stagione rieccoci tornati con Vikings che, come c'era da aspettarsi, fa un salto di circa 4 anni rispetto alla prima (potete leggere qui la mia recensione), ma questa seconda stagione ha riservato non poche sorprese, innescando quello scossone narrativo che per certi versi sembrava essere assente nella prima stagione, la quale ha però avuto il merito di introdurre lo spettatore nelle atmosfere di quella antica civiltà e di inquadrare i personaggi, solidificando le loro caratterizzazioni e cominciando a tessere la trama di ambizioni e intrighi che costituiscono la spina dorsale del racconto. Un racconto che in questa straordinaria seconda stagione inizia con il botto e finisce altrettanto con il botto. In questa seconda stagione ci sono stati infatti molti più colpi di scena della prima, soprattutto nella spiazzante parte finale, che non m'aspettavo, soprattutto per l'eccellente recitazione di Floki, che come vedremo (probabilmente e successivamente) di continuo, ha un rapporto di amore/odio con Ragnar (che svela finalmente la sua vera natura, spietato contro chiunque faccia del male alla propria famiglia), anche se su una cosa c'è una certezza, Floki (che continua ad essere uno dei miei preferiti) non tradirebbe mai il suo amico. In ogni caso, senza soffermarsi sulla trama o gli eventi nello specifico (per non rovinare il gusto di vederla a chi non l'ha ancora vista o per non annoiare chi l'ha già vista e adorata), vediamo ancora Ragnar Lothbroke e l'intero villaggio di Kattegat alla ricerca di un'autonomia d'azione e una volontà di potenza che ha sempre a che fare con la convinzione di una predestinazione di grandezza sancita dagli dei.

The Affair (3a stagione)

Recensione pubblicata su Pietro Saba World il 21/03/2017 Qui - L'aggettivo che più si addice alla terza stagione di The Affair, la serie tv di Showtime acclamata da pubblico (anche da me, qui) e critica nei primi due cicli, è 'strana'. Complice il fatto che la stagione 2 aveva chiuso il cerchio della storia, complice il fatto che la terza nell'intenzione iniziale degli ideatori Hagai Levi e Sarah Treem doveva essere il capitolo finale ma il telefilm è stato rinnovato per un quarto ciclo, c'è stata quindi un po' di confusione narrativa (forse troppa) fin dalla premiere di stagione. Certo, dopo due stagioni era chiaramente improponibile continuare a raccontare le conseguenze drammatiche della relazione adultera tra Noah e Alison e il disfacimento inarrestabile delle loro famiglie con la necessario riassestamento nelle vite anche dei loro ex coniugi Helen e Cole, soprattutto perché il season finale del secondo anno aveva mostrato un Cole finalmente in cammino verso una nuova serenità con Luisa e un Noah volutamente sacrificatosi prendendosi la colpa della morte di Scotty pur di salvare il presente di Helen e Alison. Iniziare la terza stagione con un salto temporale di tre anni era perciò una necessità comprensibile, dal momento che permetteva di avere tutti i personaggi (incluso un Noah appena scarcerato) in una situazione differente da cui ripartire iniziando un nuovo viaggio che si sperava fosse interessante. Ma un viaggio verso dove? Su che strade? In compagnia di chi? Proprio il non aver saputo rispondere in maniera interessante a queste tre domande è la condanna di questa stagione, dato che la stessa rimane impressa nella mente dei suoi appassionati come quella del vorrei ma non so come fare. Esemplare, in questo senso, il percorso di Helen che rincorre disperatamente Noah invece di guardare al presente che ha creato con Vik ed è disposta a distruggere la rinnovata serenità familiare, che il fin troppo comprensivo dottore ha portato (venendo accettato in pieno dai ragazzi), per espiare la colpa di essere stata la ragione dell'immolarsi dell'ex marito. Un andirivieni umiliante per un personaggio che finisce per farsi odiare per la sua caparbia insistenza nel fare le scelte sbagliate, al punto che anche la confessione finale diventa l'occasione per mostrarsi inopportuna invece che per una necessaria catarsi. Il season-finale potrebbe suggerire una finalmente ritrovata consapevolezza, ma dura troppo poco per essere sicuri che non si tratti di una accettazione forzata di una situazione indesiderata. Anche se è il nono episodio che si è però dimostrato più risolutivo del finale, con Helen in gran forma che si conferma (nonostante tutto) il miglior personaggio di tutta la serie.

Z Nation (3a stagione)

Recensione pubblicata su Pietro Saba World il 09/03/2017 Qui - Sin dalla prima puntata della prima stagione, Z Nation, la serie action-adventure made in USA che ha rivoluzionato il genere zombie, che con un mix di violenza e comicità davvero unico nel suo genere ha divertito e appassionato tanti spettatori tra cui anche me, dato che ha saputo fin dall'inizio distinguersi per la sua originalità e ironia, proponendo sempre uno spettacolo spassoso, irriverente e divertente, pareva migliorare sempre più. Ora arrivati alla terza stagione il giocattolo sembra essersi lesionato, se la prima stagione risultava una novità, una eccezionale novità, e la seconda la riconferma delle sue straordinarie peculiarità, questa terza perde un po' la bussola e scivola nella banalità, perché a parti rari momenti non ha saputo divertire in modo esagerato come fece nelle prime due. Seppur i 14 episodi della terza stagione di Z Nation calano lo spettatore in una realtà ancora più feroce, con i nostri sopravvissuti che si trovano a fronteggiare una missione sempre più incerta, mentre sono ancora alla ricerca di Murphy (Keith Allan), ora alla guida di un vero e proprio esercito di ibridi, un genere a metà tra zombie ed umani, impegnati a diffondere il messaggio 'No Fear' in tutto il paese. Toccherà al gruppo formato da Roberta Warren (Kellita Smith), Doc (Russell Hodgkinson), Addy (Anastasia Baranova), e ai nuovi membri del team, Hector Alvarez (Emilio Rivera), unitosi dopo tante vicissitudini, e Sun Mei (Sydney Viengluang), unitosi dopo che la squadra inviata da Pechino (nell'incredibile finale della seconda) muore, cercare di fermare Murphy prima che sia troppo tardi. Ma nuove minacce intralceranno il loro cammino, con la comparsa di nuovi impressionanti orrori come i Wolf-Z, gli Electro-Shock Z, e i selvaggi vagabondi. E tutti i protagonisti si troveranno ad affrontare delle sfide ancora più impegnative e paurose, ma allo stesso tempo ancora più spettacolari, ancora più folli e più zombie che mai. Soprattutto quello che cambia è lo scenario, la missione è cambiata, la composizione della stessa squadra di eroi difatti è cambiata e tutti questi elementi rendono l'apocalisse zombie ancora più 'apocalittica', ma in definitiva meno avvincente e appassionante, perché come detto all'inizio, la stanchezza comincia a farsi sentire, dopo che nelle prime due si è visto di tutto, ma proprio tutto di folle, pazzo e delirante.

The Strain (3a stagione)

Recensione pubblicata su Pietro Saba World il 23/02/2017 Qui - Venerdì 20 Gennaio scorso si è conclusa la terza stagione di The Strain, la serie horror creata da Guillermo del Toro e Chuck Hogan, di cui avevo già parlato in occasione della seconda stagione, qui, dove come ovvio trovate molte info, tra cui quella che la serie è basata sulla trilogia di libri Nocturna, fatto importante dato che considerando che le tre stagioni di The Strain hanno coperto tutti e tre i libri della serie, molti si aspettavano un epilogo. E invece le aspettative si sono infrante quando FX ha annunciato una quarta e ultima stagione. La terza stagione, per questo motivo, viene caratterizzata da un'atmosfera di passaggio che rende ben chiaro, nella mente degli spettatori, che niente è definitivo. E questa linea viene portata avanti fino alla fine, fino all'ultimo secondo dell'ultima puntata, dove assistiamo nuovamente al secondo season finale di fila rovinato dal giovane Zach. Ma prima di arrivare alla fine partiamo dall'inizio, un inizio con una prima puntata classica, ovvero una tipica ripresa in cui è necessario ricordare agli spettatori 'dove eravamo rimasti'. Poi una novità, la nuova sigla, completamente rinnovata, che sembra fissare un tono quasi inedito per le puntate a venire. Le immagini del tema iniziale scorrono in un clima potenzialmente più dark e decisamente più bellico. Le ambientazioni sono immerse nel buio e partono dalle profondità della città di New York. Saranno episodi di lotta, militareschi, contro la grande minaccia Strigoi. The Strain 3 infatti si concentra particolarmente sulla battaglia tra il male, molto rinforzato per la crescita degli strigoi, e il bene, che darà del filo da torcere al Maestro, soprattutto dopo aver scoperto una nuova arma e dopo aver trovato un nuovo alleato (Palmer, Jonathan Hyde). Difatti la prima puntata come questa terza stagione non delude, dato che non ha nulla da invidiare alle altre, abbiamo lo splatter giusto, i personaggi ben analizzati come sempre, i colpi di scena quasi in ogni puntata, un finale di stagione stratosferico, e sopra ogni cosa, la terza stagione è caratterizzata dall'azione inarrestabile, resa migliore rispetto alle precedenti seasons. La serie poi non prende derive inaspettate e prosegue nel suo intento tra azioni avventate dei protagonisti e momenti raccapriccianti. Molti personaggi invece hanno un ruolo più centrale, ovvero Kelly Goodweather (Natalie Brown), Gus, Quinlan, Angel, Justine e ovviamente Fet.

The Fall (3a stagione)

Recensione pubblicata su Pietro Saba World il 23/02/2017 Qui - Due anni, nell'universo della serialità televisiva, possono rappresentare un tempo vastissimo, soprattutto quando l'ultimo tassello di un racconto era costituito da un importante cliffhanger destinato a ribaltare equilibri e rapporti di forza fra i personaggi, nonché la natura stessa di una serie. È quanto accaduto con The Fall, serie thriller a sfondo poliziesco della BBC Two, creata, sceneggiata e diretta da Allan Cubitt e andata in onda per la prima volta nel maggio 2013 (su Sky Atlantic in Italia poco dopo e alcuni giorni fa), raccogliendo notevoli consensi in patria e non solo. E quindi The Fall fa il suo ritorno con una terza stagione dal compito non facile, ovvero, concludere il percorso legato alla caccia al serial killer Paul Spector (Jamie Dornan), lo "Strangolatore di Belfast", dopo i fondamentali sviluppi della stagione precedente, nel corso della quale Spector era stato prima individuato, poi arrestato (da parte della detective sovrintendente Stella Gibson alias Gillian Anderson) e infine ferito gravemente da un colpo d'arma da fuoco nel concitato season finale. E purtroppo non si dimostra all'altezza delle due ottime annate precedenti. The Fall infatti cambia natura, anche se era un passaggio obbligato, perché il thriller con la polizia a caccia del temibile serial killer con la visione di efferati reati non avrebbe più avuto senso di essere. Neppure una riproposizione delle vicende con un diverso contesto sarebbe più potuta essere una cosa interessante. The Fall perciò cambia pelle e si trasforma in una profonda e affascinante analisi dell'animo umano, delle motivazioni del dolore e dei gesti della disperazione. Si trasforma in un'approfondimento su ogni uomo e donna e sul loro essere vittima ancor prima che carnefice. Mantiene il suo sguardo approfondito sulla condizione umana, ma lo dispiega in una narrazione non adatta a chi ama l'azione, ma da chi brama l'approfondimento psicologico e da chi vuole sentirsi profondamente toccato nelle corde emotive. Non proprio intrigante e interessante, anche se è utile per conoscere il finale della storia.

Vikings (1a stagione)

Recensione pubblicata su Pietro Saba World il 23/02/2017 Qui - Spinto dalla curiosità e dalle lusinghiere recensioni di molti, e grazie soprattutto a Sky Atlantic, che sta mandando in onda le prime tre stagioni (la quarta non credo), ho deciso di recuperare Vikings (ovviamente partendo dalla prima di cui adesso vi parlerò), serie tv canadese di genere storico creata a scritta interamente da Micheal Hirst (I Tudors). Il primo episodio della serie debuttò il 3 marzo 2013 sulla rete televisiva History, successivamente venne trasmessa in Italia da Rai4, ma ora finalmente la serie, ambientata nell'800 circa, tra le isole della scandinavia e le isole britanniche, che racconta in chiave romanzata e fantastica le avventure e le scoperte del vichingo Travis Fimmel alias Ragnarr Loðbrók (si pronuncia lothbrok), sono riuscita a vederla. E niente, davvero bella e affascinante, con una bella sigla, belle musiche, grandi interpretazioni, intriganti personaggi, tanto che mai vorresti finire di vedere. Infatti in origine la serie fu programmata soltanto come una miniserie, ma visto il successo riscontrato, fu rinnovata per una seconda stagione e via di seguito. E ora so il perché. La prima stagione, della quale mi limiterò a parlare in questo post, è composta di 9 episodi ed introducono se vogliamo in quella che è la storia di un villaggio vichingo alle soglie della loro scoperta dell'ovest e delle possibilità di espansione che quella ancora inesplorata parte del mondo poteva riservare. Nel corso delle prime puntate la storia comincia a carburare innescando quel tipico processo di affezione nello spettatore adito ai serial che già comincia ad identificare il proprio personaggio preferito (Floki, Gustaf Skarsgård, per esempio, ben caratterizzato nella gestualità e nell'aspetto che ricorda un po' un folletto dei boschi, solo un po' più gotico e misterioso, senza dimenticare tutti gli altri, tra cui tante donne, e che donne).

Marte (1a stagione/seconda parte)

Recensione pubblicata su Pietro Saba World il 23/02/2017 Qui - Dopo quasi due mesi dall'ultima puntata, mi sono accorto solo ora che avevo sì parlato di Marte (Mars), la miniserie evento di National Geographic (prodotta da Brian Grazer e Ron Howard), ma riguardante solo i primi tre episodi, ora nonostante il tempo trascorso e poiché una novità è stata annunciata riguardo alla serie, è venuto il momento di parlare della seconda parte della prima stagione e dare un giudizio definitivo. Prima di tutto se volete conoscere davvero tutto quello che c'è da sapere, vi suggerisco di leggere il mio post di metà dicembre, qui, dove spiegavo praticamente tutto di questo grande progetto, un progetto che dal suo debutto ha avuto un successo clamoroso, dato che la prima stagione della serie, che ha unito sceneggiato dramma e gli effetti speciali con sequenze documentaristiche, è stata vista da 36 milioni di telespettatori a livello mondiale lo scorso autunno ed è diventata la serie più vista nella storia della rete. Questo perché la serie è stata indubbiamente una sorpresa, ovvero che sia personalmente che probabilmente come altri, ha davvero spiazzato per la sua spettacolarità, nonché innovativa, insomma convincente e promossa con ottimi voti. Una prima stagione che ha mantenuto alti gli standard, che mai ha vacillato, che mai ha perso smalto, anche se come ovvio la prima parte è risultata diversa dalla seconda, ma solo nei temi, perché la qualità e la messa in scena è stata identica, ossia eccezionale, tanto che spinta dal successo ottenuto, National Geographic ha dato il via libera ad una seconda stagione che però non ha ancora una direzione già impostata, nonostante la conclusione della serie stessa potesse sia pensare ad una continua ma anche la fine.

The Exorcist (1a stagione)

Recensione pubblicata su Pietro Saba World il 17/02/2017 Qui - Dopo la mediocre e neanche tanto eccezionale prova di Outcast, la Fox è tornata sul tema demoniaco e l'ha fatto rispolverando un classico della cinematografia, The Exorcist di William Friedkin. Un ritorno in grande stile dato che la lotta contro il famigerato demone sumero Pazuzu, che è proseguito senza esclusione di colpi in questa serie, è stata così intensa che secondo me ha fatto personalmente diventare, la serie, uno degli show targati Fox più ipnotici, sorprendenti e, perché no, divertenti degli ultimi anni. Perché The Exorcist, serie televisiva americana del 2016, ideata da Jeremy Slater e trasmessa dal 23 settembre 2016 dall'emittente Fox, rivela fin dal pilot un'ottima direzione tecnica che vede svilupparsi principalmente una scenografie e fotografia da Oscar, le atmosfere fumose e dark e l'utilizzo di una luce fredda quasi asettica danno alla serie la giusta atmosfera da brividi. Anche se quello che manca ed è mancata per buona parte è ed è stata soprattutto una giusta dose di 'terrore', quello vero, poiché nonostante la serie è stata indubbiamente capace di creare tensione, merito principalmente di una regia capace e di una storyline costruita ad hoc, è stata ben lontana dall'essere lo sconvolgente show figlio di uno dei film più spaventosi di tutti i tempi. Colpa probabilmente e ovviamente di una sceneggiatura non originale, anche se l'autore (in una famosa intervista di qualche tempo fa) si dichiarava intenzionato a creare qualcosa di nuovo, di inedito e alternativo, limitarsi a ricalcare la formula del film originario non gli interessava, il suo The Exorcist non avrebbe rappresentato un reboot né un remake, e non avrebbe esaurito le sue potenzialità in seguito a qualche 'classica' scena dedicata a un paio di preti intenti a spruzzare un po' d'acqua santa sulla faccia di una povera ragazzina con le guance sporche di muco. Il rispetto per la pellicola diretta da William Friedkin avrebbe rappresentato una componente importante, certo, eppure la necessità di raccontare una storia completamente nuova, fresca, solida e convincente avrebbe dovuto avere la priorità su tutto. Ed è quello che è successo, perché nonostante non nutrivo grandi aspettative, a proposito di questo particolare progetto, un po' perché il film è uno dei miei classici horror preferiti di sempre, un po' perché la Fox ci ha dimostrato, nell'arco delle ultime cinque o sei stagioni televisive, di riuscire ormai a partorire solo idee trite, concentrati di banalità e sceneggiati iper-commerciali, volgarotti o semplicemente stantii, e anche se in tutta onestà io non posso considerarmi un esperto della saga originale, a tal punto non vorrei mai lanciarmi in chissà quale paragone dettagliatissimo, dico che il risultato è più che soddisfacente.

The Walking Dead (7a stagione/prima parte)

Recensione pubblicata su Pietro Saba World il 09/02/2017 Qui - In attesa di vedere cosa, come e soprattutto se i nostri eroi riusciranno nel tentativo di vendicarsi dall'assalto morale e mortale di Negan, il nuovo villain (che presumibilmente farà la stessa fine degli altri, almeno me lo auguro, anche se non sarebbe male se finisse tutto con lui), che vedremo a partire da lunedì 13 febbraio, facciamo un passo indietro e tiriamo le somme della mid-season finale e dell'intera prima parte della settima stagione di The Walking Dead, sarà stata promossa, bocciata o rimandata? Ma prima di sapere, facciamo un altro grande passo indietro per scoprire qualcosa in più di quello che già avevo detto all'epoca del mio post sulla seconda parte della sesta stagione (qui). Innanzitutto sappiamo tutti come si è conclusa la scorsa stagione, con quel poco gradito cliffangher in soggettiva con la cinepresa che diventava rossa di sangue e ciao ciao tanti saluti al prossimo anno, sappiamo anche per colpa della FOX, che involontariamente o volontariamente chissà, ha spoilerato un po' tutto sulla prima, questa parte, della settima stagione (soprattutto per chi come me non ha visto in contemporanea la serie, ma solo dopo tutte le 8 puntate, e la cosa ovviamente mi ha infastidito parecchio), dove vediamo chi è, anzi, chi sono i due che sono finiti nelle 'grazie' di Lucille, la nostra nuova beniamina. Comunque nel corso della seconda parte della sesta stagione si era avuta la sensazione che ciò che interessava davvero a questa serie fosse diventato sorprendere gli spettatori, prenderli in giro, che l'obiettivo fosse spiazzarli di continuo e non di raccontare una storia (basandosi totalmente su l'unica caratteristica, la morte) nonostante appunto qualcosa era cambiato, anche se in modo leggermente forzato. Insomma la produzione, probabilmente, aveva perso un po' la strada maestra, eppure, ripartendo col piede giusto per la settima stagione, che si preannunciava molto più movimentata rispetto a quelle passate, si poteva ancora tentare di raddrizzare il tiro, se il gran ritorno della serie fosse stato gestito bene. Non gestire bene il gran ritorno della serie avrebbe significato realizzare un intero episodio su Negan che trolla Rick e tortura i suoi amici a bastonate, non gestire bene il gran ritorno della serie avrebbe voluto dire rivelare chi Negan avesse effettivamente ucciso a 15-20 minuti dall'inizio dell'episodio, attraverso vari flashback, e invece è proprio quello che hanno fatto.